2018-08-28
Affari e sicurezza. Il futuro dei rapporti tra Australia e Cina è nelle mani del primo ministro Morrison
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L'ex stratega di Donald Trump è convinto che la futura guerra mondiale sarà combattuta da Usa e Cina. Tra i due Paesi, un terzo svolge un ruolo centrale: l'Australia. Il nuovo primo ministro Scott Morrison, ha molto lavorato per rilanciare i rapporti economici e commerciali tra Australia e Cina, ma ha anche un ruolo centrale nel bloccare alcuni importanti investimenti cinesi per motivi di sicurezza nazionale.«Quel che sta succedendo in Australia è più importante di quanto accade negli Stati Uniti e nel resto del mondo». Così parlava Steve Bannon, l'ex stratega del presidente statunitense Donald Trump, soltanto due mesi fa in un'intervista concessa al The Sydney Morning Herald. Il riferimento dell'ideologo del trumpismo è alla guerra commerciale - ma non soltanto commerciale - tra Australia e Cina. Bannon è convinto che la futura guerra mondiale sarà combattuta da Usa e Cina. E anche per questo ha sempre caldeggiato il reset delle relazioni la Casa Bianca di Trump e il Cremlino del presidente Vladimir Putin. «L'Australia è in prima linea nel contesto geopolitico del nostro tempo», ha sottolineato in quel colloquio.Ma se dell'Australia gli Usa sono i principali partner in chiave di sicurezza, la Cina è il primo mercato. Nel 2017 il commercio ha raggiunto i 129 miliardi di dollari statunitensi, in aumento del 16% rispetto all'anno precedente. Di questi, l'export australiano verso la Cina rappresentava 78,6 miliardi (+22%), mentre le importazioni sull'isola erano i restanti 50,5 miliardi (+8%). L'ultimo terremoto politico, che ha portato a Canberra il settimo primo ministro nell'arco di soli 11 anni, ha investito anche le relazioni tra i due Paesi. Visto l'addio di Malcolm Turnbull, l'ex premier liberale tra i principali promotori di una campagna contro la presenza cinese nell'isola, Pechino adesso spera in un allentamento della tensione nel Pacifico con l'avvento del nuovo primo ministro, Scott Morrison, fautore della linea dura sull'immigrazione.Raccontando le novità politiche di Canberra, il tabloid cinese nazionalista Global Times cita Zhou Fangyin, professore di studi internazionali ed esperto in relazioni sinoaustraliane. Il docente si sofferma sulla figura di Marise Payne, «falco» ex ministro della Difesa oggi agli Affari Esteri, sottolineando l'influenza che i settori della sicurezza avranno sulla diplomazia di Canberra. Ma gli osservatori australiani hanno non pochi dubbi su Morrison, che, da ministro del Tesoro (dal 2015 fino a pochi giorni, quando è diventato premier) ha molto lavorato per rilanciare i rapporti economici e commerciali tra Australia e Cina, ma ha anche un ruolo centrale nel bloccare alcuni importanti investimenti cinesi per motivi di sicurezza nazionale.L'ultima decisione in questo senso è arrivata proprio nelle ore in cui il Partito liberale si apprestava a votare Morrison come suo nuovo leader al posto di Turnbull, e quindi come nuovo premier. Morrison, da ministro del Tesoro, ha annunciato che la decisione dell'Australia di chiudere la porta del 5G a Huawei e Zte vietando ai due colossi cinesi della telecomunicazione di fornire tecnologia per la rete di quinta generazione agli operatori di telefonia mobile. Il governo di Canberra ha spiegato la decisione in un comunicato: «Vogliamo proteggere la rete 5G da accessi non autorizzati o interferenze, quindi da vendor che potrebbero essere soggetti a direttive extragiudiziali da parte di governi stranieri in conflitto con la legge australiana». Canberra punta indirettamente il dito contro Pechino per i sospetti di cyberspionaggio via fibra ottica, gli stessi che stanno limitando l'espansione delle due aziende nel mercato Usa.In articolo sul Global Times, Chen Hong, direttore dell'Australian studies center della East China normal university, sostiene che con Malcolm Turnbull, accusato da molti di essere «sinofobico», le relazioni tra i due Paesi avessero raggiunto un nuovo punto più basso nella storia. Ma l'esperto ha anche sottolineato che Morrison «ha ripetutamente denunciato l'isolazionismo economico e il populismo e ha promosso un impegno più positivo con la Cina». E i media di Stato si sono premurati di ricordare che, pur avendo bloccato alcune acquisizioni cinesi, Morrison ha approvato due anni fa l'acquisto da parte di un'azienda cinese della Van Diemen's land company, storico gruppo agricolo della Tasmania, per 280 milioni di dollari australiani.Il summit dell'Apec (organismo per la cooperazione economica asiatico-pacifica) di metà novembre in Papua Nuova Guinea e il G20 di Buenos Aires a cavallo tra novembre e dicembre sono i prossimi appuntamenti nell'agenda di Morrison in cui sarà presente anche il presidente cinese Xi Jinping. Commentando l'avvento del nuovo primo ministro, Wang Yi, ministero degli Esteri cinese, ha auspicato che il nuovo governo australiano possa portare avanti i rapporti bilaterali. Magari prendendo spunto dal cosiddetto «discorso del reset» pronunciato da Turnbull all'università del Nuovo Galles del Sud qualche settimana fa. Toni concilianti perché alla fine gli affari sono affari, purché non minaccino la sicurezza del Paese.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)