True
2022-12-09
Attivisti omosessuali sull’utero in affitto: «L’amore non c’entra è questione di soldi»
iStock
La cosmesi linguistica è un’arte che la sinistra sta sempre più affinando, con risultati a dir poco sorprendenti. Facciamo un esempio facile facile. I «clandestini» prima sono diventati «profughi». Poi, quando si è scoperto che non scappavano da alcuna guerra, sono diventati «migranti»: un participio presente che, però, vale anche quando hanno fatto capanna ormai da anni nei nostri centri di accoglienza. Infine, dato che il termine non commuove più di tanto, ecco che i caporali dei media nostrani hanno iniziato a chiamarli «fragili» e «naufraghi»Anche se sono ragazzoni in perfetta salute o hanno pagato migliaia di dollari per salire su un barcone creato apposta per affondare. Bene, bravi, bis.
Ma l’esempio forse più clamoroso di questa truffa terminologica - elevata a vero e proprio bon ton politicamente corretto - è rappresentato dalla neolingua gender. Qui anche una pratica abominevole come l’utero in affitto è stata trasformata prima in «maternità surrogata» e poi, come in un crescendo rossiniano, è stata definita «gestazione per altri» e, dulcis in fundo, «maternità solidale». Capito? Anche la compravendita di esseri umani - ché questo è l’utero in affitto - rientra nell’ambito della solidarietà e dell’inclusività.
Per chi non lo sapesse, in Italia e in altre nazioni civili, questo contrabbando di carne umana è ancora un reato. Del resto, nella stragrande maggioranza dei casi funziona così: una coppia di omosessuali piena di soldi offre del denaro a una donna indigente per incubare il bambino che, al termine della gravidanza, le verrà strappato dalle braccia. Il sacro vincolo materno ridotto a mercimonio e mercato delle vacche.
Forse i lettori ricorderanno la famosa foto che, nel 2014, «ha commosso il Web»: due gay canadesi che, in lacrime, stringono al petto il loro pargolo appena nato (e legalmente acquistato). Ma se il Web (tradotto: gli utenti di sinistra) gridarono al miracolo dell’amore, altri si accorsero che, accanto a genitore 1 e genitore 2, si scorgeva la mamma surrogata con sguardo assente e aria disfatta. Una femminista d’antan avrebbe parlato di uomini che mercificano un bambino e sfruttano una donna, ma in quel caso le paladine della lotta al patriarcato si misero a fischiettare.
Visto che le femministe tacciono, e anzi rivendicano il diritto alla sterilità come «emancipazione di genere», non sorprende che a Bruxelles abbiano deciso di pigiare il piede sull’acceleratore. Come denunciato ieri da La Verità, infatti, la Corte europea dei diritti umani ha di fatto sancito la legalità dell’utero in affitto, con un precedente che farà giurisprudenza, mentre la Commissione Ue sta preparando una legge per imporre le adozioni gay a tutti gli Stati membri dell’Unione, Italia inclusa. È il solito copione: quando si tratta dei «diritti», l’ordinamento giuridico delle nazioni può essere tranquillamente calpestato.
Ad ogni modo, non tutte le femministe e non tutti gli omosessuali sono d’accordo con la compravendita di bambini spacciata per «diritto umano». Di certo non sono d’accordo due scrittici e studiose francesi, l’attivista lesbica Marie-Josèphe Devillers e l’attivista per i diritti delle donne Ana-Luana Stoicea-Deram. L’opera che hanno curato di recente, e in cui diversi autori - soprattutto donne - hanno preso posizione, è stata da poco tradotta in italiano con il titolo programmatico Per l’abolizione della maternità surrogata (Ortica Editrice).
Nel libro fresco di stampa si possono leggere passaggi molto sorprendenti, come nel contributo di Gary Powell intitolato Il punto di vista di un uomo gay: «Se la maternità surrogata offre una parità ai gay benestanti in termini di possibilità di diventare genitori, la fornisce principalmente a coloro che godono di una grande ricchezza». E ancora: «La maternità surrogata commerciale è stata gradualmente lavata con l’arcobaleno e Big fertility sta entrando nelle legislazioni occidentali sulla scia di una lobby Lgbt+ aggressiva e misogina che nessuno può offendere, turbare o anche solo mettere in discussione. Qualsiasi critica rischia di essere denunciata come «odio», secondo la neolingua che ci viene imposta da coloro che desiderano colonizzare il nostro linguaggio e i nostri movimenti politici».
Insomma, spiega Powell, l’amore c’entra poco in questa faccenda: è soprattutto una questione d’affari, con un giro di soldi multimiliardario. E poi, ovviamente, c’è anche l’aspetto etico, per non dire persino medico: «La maternità surrogata non solo strumentalizza le donne e i bambini in modo disumanizzante: è anche un processo fisicamente pericoloso che può portare a gravi malattie, traumi psicologici e morte».
Ecco, il problema - sottolinea ancora l’attivista gay - è che denunciare questi dati di fatto è diventato praticamente impossibile: «La reazione frequente degli attori della lobby Lgbt+ nei confronti di chi si esprime contro la maternità surrogata è molto simile a quella che viene riservata a chi si oppone all’ideologia di genere più estrema. Si tratta di gettare fango, di dire mezze verità fuorvianti e subdole e di puro odio». In sostanza, chiosa Powell, «la lobby di attivisti che è la prima ad accusare gli altri di “odio” ad ogni occasione, è essa stessa un corpo completamente intossicato dall’odio e dall’ignoranza intenzionale».
Con queste premesse - note a tutti, eccetto alle Cirinnà e alle Murgia di turno - già possiamo immaginarci in che clima sereno e rilassato verrà affrontato il dibattito in sede europea e nelle nostre trasmissioni televisive. Sempre che questo dibattito abbia effettivamente luogo, beninteso.
Cappato, una nuova autodenuncia per i tour della morte in Svizzera
Massimiliano, 44 anni, toscano, affetto da sclerosi multipla, è morto ieri in una clinica Svizzera con il suicidio assistito. Mib, così veniva chiamato dal padre Bruno, era apparso in un video in cui chiedeva di poter porre fine alle sue sofferenze in Italia, senza dover andare all’estero perché non essendo «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Consulta. L’uomo, in attesa di una risposta da parte della politica italiana, aveva già prenotato l’appuntamento in Svizzera dove è stato accompagnato da Felicetta Maltese, dell’associazione Luca Coscioni e attivista della campagna Eutanasia Legale e da Chiara Lalli, giornalista e bioeticista. Quell’ultimo appello era stato lanciato nel giorno in cui Marco Cappato riceveva a Milano l’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza concessa dal Comune, per il suo impegno nell’affermare le libertà civili e i diritti umani, per aver fatto, si legge nella motivazione, «della disobbedienza civile non violenta uno strumento per risvegliare la coscienza collettiva e per stimolare il parlamento a colmare i vuoti legislativi che ancora esistono in materia di fine vita».
Per Cappato disobbedienza civile è non rispetto della legge visto che nel nostro Paese, in base alla decisione della Corte, il suicidio assistito è legale quando la persona malata che ne fa richiesta risulta affetta da patologia irreversibile. Tale malattia dev’essere fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma non deve alterare la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Quel che più importante, deve trattarsi di una persona sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. A verificare la sussistenza di tali condizioni, infine, dev’essere il Servizio sanitario nazionale.
E questa mattina, a Firenze, alla stazione carabinieri Santa Maria Novella, Maltese e Lalli autodenunceranno la propria azione di disobbedienza civile, per la quale rischiano fino a 12 anni di carcere per il reato di aiuto al suicidio. Anche Marco Cappato, che in questa occasione non ha direttamente accompagnato Massimiliano, si autodenuncerá in veste di legale rappresentante dell’associazione Soccorso civile che ha organizzato e finanziato il viaggio di Massimiliano verso la Svizzera. Saranno assistiti da Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni.
Cappato, ex consigliere comunale milanese nonché rappresentante del Partito radicale all’Onu, dopo aver accompagnato in Svizzera, nel 2017, dj Fabo, Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale, ha commesso ulteriori atti simili, accompagnando due persone che avevano chiesto di morire, autodenunciandosi al rientro in Italia.
Il tesoriere della Luca Coscioni ha voluto dedicare l’Ambrogino d’oro proprio a Dj Fabo. Ma non sono mancate le polemiche. Il consigliere comunale di Milano popolare, Matteo Forte, ha lasciato il tavolo della commissione degli Ambrogini, sul palco del teatro Dal Verme, appena è stato annunciato il nome di Cappato, mentre all’esterno attivisti dei Pro Vita hanno appeso uno striscione con scritto: «Il Comune di Milano premia chi commette reati e porta la gente in Svizzera per farla morire avvelenata. Come siamo caduti in basso».
Difende la scelta il sindaco Beppe Sala: «Forse è discutibile per una parte della popolazione milanese, ma che Cappato si sia mosso con un istinto di generosità e impegno è vero». Impegno e generosità ad accompagnare a morire che coinvolgerà altri volontari perché, sostiene Cappato, «ci sono più di 20 persone al mese a richiedere il modulo per accedere al suicidio medicalmente assistito».
Continua a leggereRiduci
Un libro si scaglia contro la compravendita di bimbi spacciata per «diritto umano». E la «lobby Lgbt+ aggressiva e misogina».L’associazione del neo Ambrogino ha finanziato il viaggio di un altro suicida fuorilegge.Lo speciale contiene due articoli. La cosmesi linguistica è un’arte che la sinistra sta sempre più affinando, con risultati a dir poco sorprendenti. Facciamo un esempio facile facile. I «clandestini» prima sono diventati «profughi». Poi, quando si è scoperto che non scappavano da alcuna guerra, sono diventati «migranti»: un participio presente che, però, vale anche quando hanno fatto capanna ormai da anni nei nostri centri di accoglienza. Infine, dato che il termine non commuove più di tanto, ecco che i caporali dei media nostrani hanno iniziato a chiamarli «fragili» e «naufraghi»Anche se sono ragazzoni in perfetta salute o hanno pagato migliaia di dollari per salire su un barcone creato apposta per affondare. Bene, bravi, bis.Ma l’esempio forse più clamoroso di questa truffa terminologica - elevata a vero e proprio bon ton politicamente corretto - è rappresentato dalla neolingua gender. Qui anche una pratica abominevole come l’utero in affitto è stata trasformata prima in «maternità surrogata» e poi, come in un crescendo rossiniano, è stata definita «gestazione per altri» e, dulcis in fundo, «maternità solidale». Capito? Anche la compravendita di esseri umani - ché questo è l’utero in affitto - rientra nell’ambito della solidarietà e dell’inclusività. Per chi non lo sapesse, in Italia e in altre nazioni civili, questo contrabbando di carne umana è ancora un reato. Del resto, nella stragrande maggioranza dei casi funziona così: una coppia di omosessuali piena di soldi offre del denaro a una donna indigente per incubare il bambino che, al termine della gravidanza, le verrà strappato dalle braccia. Il sacro vincolo materno ridotto a mercimonio e mercato delle vacche. Forse i lettori ricorderanno la famosa foto che, nel 2014, «ha commosso il Web»: due gay canadesi che, in lacrime, stringono al petto il loro pargolo appena nato (e legalmente acquistato). Ma se il Web (tradotto: gli utenti di sinistra) gridarono al miracolo dell’amore, altri si accorsero che, accanto a genitore 1 e genitore 2, si scorgeva la mamma surrogata con sguardo assente e aria disfatta. Una femminista d’antan avrebbe parlato di uomini che mercificano un bambino e sfruttano una donna, ma in quel caso le paladine della lotta al patriarcato si misero a fischiettare.Visto che le femministe tacciono, e anzi rivendicano il diritto alla sterilità come «emancipazione di genere», non sorprende che a Bruxelles abbiano deciso di pigiare il piede sull’acceleratore. Come denunciato ieri da La Verità, infatti, la Corte europea dei diritti umani ha di fatto sancito la legalità dell’utero in affitto, con un precedente che farà giurisprudenza, mentre la Commissione Ue sta preparando una legge per imporre le adozioni gay a tutti gli Stati membri dell’Unione, Italia inclusa. È il solito copione: quando si tratta dei «diritti», l’ordinamento giuridico delle nazioni può essere tranquillamente calpestato.Ad ogni modo, non tutte le femministe e non tutti gli omosessuali sono d’accordo con la compravendita di bambini spacciata per «diritto umano». Di certo non sono d’accordo due scrittici e studiose francesi, l’attivista lesbica Marie-Josèphe Devillers e l’attivista per i diritti delle donne Ana-Luana Stoicea-Deram. L’opera che hanno curato di recente, e in cui diversi autori - soprattutto donne - hanno preso posizione, è stata da poco tradotta in italiano con il titolo programmatico Per l’abolizione della maternità surrogata (Ortica Editrice). Nel libro fresco di stampa si possono leggere passaggi molto sorprendenti, come nel contributo di Gary Powell intitolato Il punto di vista di un uomo gay: «Se la maternità surrogata offre una parità ai gay benestanti in termini di possibilità di diventare genitori, la fornisce principalmente a coloro che godono di una grande ricchezza». E ancora: «La maternità surrogata commerciale è stata gradualmente lavata con l’arcobaleno e Big fertility sta entrando nelle legislazioni occidentali sulla scia di una lobby Lgbt+ aggressiva e misogina che nessuno può offendere, turbare o anche solo mettere in discussione. Qualsiasi critica rischia di essere denunciata come «odio», secondo la neolingua che ci viene imposta da coloro che desiderano colonizzare il nostro linguaggio e i nostri movimenti politici».Insomma, spiega Powell, l’amore c’entra poco in questa faccenda: è soprattutto una questione d’affari, con un giro di soldi multimiliardario. E poi, ovviamente, c’è anche l’aspetto etico, per non dire persino medico: «La maternità surrogata non solo strumentalizza le donne e i bambini in modo disumanizzante: è anche un processo fisicamente pericoloso che può portare a gravi malattie, traumi psicologici e morte». Ecco, il problema - sottolinea ancora l’attivista gay - è che denunciare questi dati di fatto è diventato praticamente impossibile: «La reazione frequente degli attori della lobby Lgbt+ nei confronti di chi si esprime contro la maternità surrogata è molto simile a quella che viene riservata a chi si oppone all’ideologia di genere più estrema. Si tratta di gettare fango, di dire mezze verità fuorvianti e subdole e di puro odio». In sostanza, chiosa Powell, «la lobby di attivisti che è la prima ad accusare gli altri di “odio” ad ogni occasione, è essa stessa un corpo completamente intossicato dall’odio e dall’ignoranza intenzionale». Con queste premesse - note a tutti, eccetto alle Cirinnà e alle Murgia di turno - già possiamo immaginarci in che clima sereno e rilassato verrà affrontato il dibattito in sede europea e nelle nostre trasmissioni televisive. Sempre che questo dibattito abbia effettivamente luogo, beninteso. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/attivisti-omosessuali-sullutero-in-affitto-lamore-non-centra-e-questione-di-soldi-2658903779.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cappato-una-nuova-autodenuncia-per-i-tour-della-morte-in-svizzera" data-post-id="2658903779" data-published-at="1670555713" data-use-pagination="False"> Cappato, una nuova autodenuncia per i tour della morte in Svizzera Massimiliano, 44 anni, toscano, affetto da sclerosi multipla, è morto ieri in una clinica Svizzera con il suicidio assistito. Mib, così veniva chiamato dal padre Bruno, era apparso in un video in cui chiedeva di poter porre fine alle sue sofferenze in Italia, senza dover andare all’estero perché non essendo «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale», non rientrava nei casi previsti dalla sentenza 242/2019 della Consulta. L’uomo, in attesa di una risposta da parte della politica italiana, aveva già prenotato l’appuntamento in Svizzera dove è stato accompagnato da Felicetta Maltese, dell’associazione Luca Coscioni e attivista della campagna Eutanasia Legale e da Chiara Lalli, giornalista e bioeticista. Quell’ultimo appello era stato lanciato nel giorno in cui Marco Cappato riceveva a Milano l’Ambrogino d’oro, la massima onorificenza concessa dal Comune, per il suo impegno nell’affermare le libertà civili e i diritti umani, per aver fatto, si legge nella motivazione, «della disobbedienza civile non violenta uno strumento per risvegliare la coscienza collettiva e per stimolare il parlamento a colmare i vuoti legislativi che ancora esistono in materia di fine vita». Per Cappato disobbedienza civile è non rispetto della legge visto che nel nostro Paese, in base alla decisione della Corte, il suicidio assistito è legale quando la persona malata che ne fa richiesta risulta affetta da patologia irreversibile. Tale malattia dev’essere fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma non deve alterare la capacità di prendere decisioni libere e consapevoli. Quel che più importante, deve trattarsi di una persona sottoposta a trattamenti di sostegno vitale. A verificare la sussistenza di tali condizioni, infine, dev’essere il Servizio sanitario nazionale. E questa mattina, a Firenze, alla stazione carabinieri Santa Maria Novella, Maltese e Lalli autodenunceranno la propria azione di disobbedienza civile, per la quale rischiano fino a 12 anni di carcere per il reato di aiuto al suicidio. Anche Marco Cappato, che in questa occasione non ha direttamente accompagnato Massimiliano, si autodenuncerá in veste di legale rappresentante dell’associazione Soccorso civile che ha organizzato e finanziato il viaggio di Massimiliano verso la Svizzera. Saranno assistiti da Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’associazione Luca Coscioni. Cappato, ex consigliere comunale milanese nonché rappresentante del Partito radicale all’Onu, dopo aver accompagnato in Svizzera, nel 2017, dj Fabo, Fabiano Antoniani, rimasto tetraplegico dopo un incidente stradale, ha commesso ulteriori atti simili, accompagnando due persone che avevano chiesto di morire, autodenunciandosi al rientro in Italia. Il tesoriere della Luca Coscioni ha voluto dedicare l’Ambrogino d’oro proprio a Dj Fabo. Ma non sono mancate le polemiche. Il consigliere comunale di Milano popolare, Matteo Forte, ha lasciato il tavolo della commissione degli Ambrogini, sul palco del teatro Dal Verme, appena è stato annunciato il nome di Cappato, mentre all’esterno attivisti dei Pro Vita hanno appeso uno striscione con scritto: «Il Comune di Milano premia chi commette reati e porta la gente in Svizzera per farla morire avvelenata. Come siamo caduti in basso». Difende la scelta il sindaco Beppe Sala: «Forse è discutibile per una parte della popolazione milanese, ma che Cappato si sia mosso con un istinto di generosità e impegno è vero». Impegno e generosità ad accompagnare a morire che coinvolgerà altri volontari perché, sostiene Cappato, «ci sono più di 20 persone al mese a richiedere il modulo per accedere al suicidio medicalmente assistito».
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
Continua a leggereRiduci
Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
Continua a leggereRiduci
Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
Continua a leggereRiduci