2022-12-24
Attaccano Rocca che pagò i suoi errori e fischiettano sui compagni impuniti
Dopo la sfilza di scandali collezionati, la sinistra ha il coraggio di berciare sul candidato di Fdi in Lazio, condannato 36 anni fa. La sinistra bellaciao è perplessa, quella repubblichina con l’eskimo che penzola dagli attaccapanni di redazione è indignata, quella grillo-manettara che tifa per il reddito di cittadinanza ai mafiosi ha la gastrite. Si profila un brutto Natale per il progressismo illuminato e il motivo è sorprendente: la candidatura di Francesco Rocca a governatore del Lazio, fortemente voluta da Giorgia Meloni, supportata da tutto il centrodestra e con concrete possibilità di vincere. Il motivo è lunare, soprattutto se letto in chiave garantista: una condanna a tre anni per spaccio di stupefacenti subita dall’ex presidente della Croce Rossa quando aveva 19 anni. Adesso ne ha 57. Così, avviandoci verso il presepe politico fra sotterfugi e ipocrisie, scopriamo che il vizio della redenzione è inferiore a quello della memoria. E che la riabilitazione vale per i terroristi ma non per chi nuota in piscine diverse da quella rossa.La vicenda ha qualcosa di surreale. Rocca è avvocato penalista, è stato manager della Sanità, ha diretto per un decennio la principale associazione di volontariato del mondo con onore, è stato nominato in due tornate numero uno della Croce Rossa internazionale con un plebiscito (per la prima e forse unica volta israeliani e palestinesi hanno votato lo stesso nome), si è spesso schierato per le ragioni dei migranti, si è distinto per atteggiamenti bipartisan, ha caratteristiche da organizzatore e da politico avveduto che gli vengono riconosciute dalle istituzioni. Ma quella condanna rimane lì, enfatizzata come unico tratto distintivo del suo curriculum. La Repubblica l’ha presentato con colori forti: «Dalla condanna per spaccio al vertice della Croce Rossa, chi è l’uomo voluto da Meloni», era il titolo del suo profilo. Con la stoccata: «Luci e ombre nel curriculum», manco si trattasse di un sosia invecchiato di Jesse Pinkman, lo spacciatore di metanfetamina in Breaking Bad. È lo stesso Rocca a spiegare la remota vicenda e in un’intervista a La Stampa lo fa con la naturalezza che manda ai matti i denigratori. «Non posso e non voglio nascondere il mio passato. Ma sono trascorsi 38 anni, all’epoca ne avevo 19 ed ero pieno di problemi e fragilità». Racconta che la madre era in fin di vita a causa di un tumore e che lui, smarrito fra le insicurezze, fu coinvolto nello spaccio da parte di un clan di persone di origine nigeriana. «Vivevo a Ostia e sono finito in un giro di amicizie sbagliate. Ma ho pagato il conto con la giustizia, ho fatto un anno di arresti domiciliari e ho iniziato un proficuo percorso di recupero». In quel periodo studiò Giurisprudenza, si laureò e cominciò a occuparsi di volontariato mettendosi in gioco in prima persona con la Caritas. «Da allora non ho mai smesso di essere in prima linea sul sociale».Ha pagato il conto e chiede rispetto. Difficile negarglielo, e ancor più difficile credere che il veleno arrivi dai salotti della tolleranza per decreto, da coloro che a pranzo e a cena citano il «percorso riabilitativo delle socialdemocrazie» come il più alto esempio di civiltà. Vale per tutti ma non per chi cammina sull’altro marciapiede politico. La solita doppia morale. A voler ben guardare Rocca dovrebbe essere scomodo per la destra, invece suscita rigurgiti di giacobinismo forcaiolo fra i difensori (a parole) dei diritti universali. Gli stessi che per 20 anni hanno prima coperto e poi giustificato («Un compagno che sbaglia») le fughe di Cesare Battisti, assassino conclamato, gridando alla barbarie quando è stato estradato dal Brasile e incarcerato in Italia a scontare la pena. Gli stessi che sostengono con orgoglio le ragioni degli ex terroristi in pensione dorata a Montmartre e minacciano di scendere in piazza se la Francia - in attuazione di norme del diritto internazionale - decidesse di rimandarli a casa davvero, senza nascondersi dietro cavilli a raffica. Per loro, che pure hanno lasciato dietro di sé scie di sangue, «il passato è passato». Per Rocca no.Lo spettacolo è deprimente e il palcoscenico social si distingue per ferocia. «Uno pulito fra i meloniani esiste?» è la domanda retorica più gettonata fra i grillini sul divano. La Notizia, quotidiano di riferimento del Movimento 5 Stelle sottolinea: «La destra candida un ex pusher». Nella sinistra da salotto la prendono sul ridere: «L’unico Francesco Rocca votabile è questo» (foto del Rocca detto Kawasaki, terzino sinistro della Roma), scrive Roberto Di Giovan Paolo, ex senatore del Pd e docente universitario. Fra i big del Nazareno regna il silenzio, forse perché i trolley di denaro trovati due settimane orsono nei soggiorni di Bruxelles oscurano le sentenze di 38 anni fa. O forse perché in settembre il candidato dem a governatore Alessio D’Amato è stato condannato per danno erariale dalla Corte dei Conti. Le travi a vista fanno più arredamento delle pagliuzze.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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