La Verità aveva anticipato sei giorni fa la revoca della commercializzazione, martedì Astrazeneca ha reso noto di aver avviato il ritiro mondiale del suo vaccino adenovirale contro il Covid-19. Vaxzevria, così denominato dal 2021, sviluppato in collaborazione con l’Università di Oxford, viene tolto a causa di una «eccedenza di vaccini aggiornati disponibili» contro le nuove varianti del coronavirus, fa sapere il colosso biofarmaceutico anglosvedese. Dopo l’annuncio, l’indice azionario di riferimento Ftse 100 di Londra aveva aperto a un livello record guidato da Astrazeneca.
L’azienda ha affermato che lavorerà con le autorità di regolamentazione di altri Paesi per «allinearsi su un chiaro percorso da seguire», inclusa la revoca delle autorizzazioni dove non è prevista alcuna futura domanda commerciale. Negli Stati Uniti invece il prodotto Vaxzevria non è stato mai autorizzato dalla Food and drug administration (Fda). Anche l’edizione australiana di AbcNews ha dato la notizia, sottolineando che Vaxzevria «non è disponibile in Australia dal marzo 2023», dopo la somministrazione di circa 13 milioni di dosi, con 173 casi «probabili» o «confermati» di trombosi con trombocitopenia (Tts), e otto decessi associati alla sindrome, segnalati alla Therapeutic goods administration (Tga).
Il ritiro deciso da Astrazeneca avrebbe una motivazione commerciale. Il vaccino non genera entrate dall’aprile 2023, afferma la società, per questo lo scorso 5 marzo aveva presentato domanda di revoca dell’autorizzazione a immettere in commercio il farmaco. La Commissione europea il 27 marzo ha concesso la revoca, entrata in vigore martedì 7 maggio. Da due giorni, il vaccino non è più autorizzato all’uso nei Paesi Ue e, singolare coincidenza, da qualche mese nel Regno Unito è stata intrapresa contro Astrazeneca una class action da 100 milioni di sterline. Vittime di eventi avversi e familiari di persone decedute post vaccino, in particolare per Tts, una sindrome caratterizzata da coaguli di sangue e basso numero di piastrine, si sono riunite al fine di ottenere un risarcimento.
Vaxzevria ha provocato diversi problemi, riconosciuti a febbraio dalla stessa azienda che, a detta del Telegraph, avrebbe ammesso all’Alta corte inglese: «Può, in casi molto rari, causare la Tts. Il meccanismo causale non è noto». Delle 51 famiglie che avevano citato in giudizio a Londra il colosso farmaceutico, 12 si sarebbero ritirate dalla richiesta di risarcimento danni nel timore di vedersi respinti i ricorsi e di dover sostenere pesanti costi legali, come ha riferito il Daily Telegraph, ma le altre accuse restano in piedi e rappresentano una preoccupazione per Astrazeneca.
Certo, un’azienda che si può permettere di aumentare la retribuzione del proprio amministratore delegato, Pascal Soriot, portandola a 18,7 milioni di sterline l’anno, come hanno convenuto i soci azionisti nell’assemblea dello scorso 11 aprile, non si fa spaventare da 100 milioni di risarcimenti richiesti. Però, se la class action andasse a buon fine, da ogni parte del mondo scatterebbero richieste di indennizzo e forse anche questa eventualità ha portato Astrazeneca ad accelerare la richiesta di revoca della commercializzazione.
«Ora lavoreremo con le autorità di regolamentazione e i nostri partner per allinearci su un chiaro percorso da seguire per concludere questo capitolo e dare un contributo significativo alla pandemia di Covid-19», ha dichiarato l’azienda. Oltre a rafforzarsi sul mercato dei farmaci antiobesità con investimenti da 2 miliardi di dollari, a puntare su un anticorpo monoclonale sperimentale a lunga durata d’azione contro il Covid-19, e su medicinale per l’immunizzazione passiva dei bambini contro la malattia del tratto respiratorio inferiore da virus respiratorio sinciziale (Rsv), Astrazeneca freme per vedersi autorizzare un nuovo vaccino anti Covid a mRna, ancora in fase 1. Di sicuro voleva tagliare con Vaxzevria, che non rendeva più commercialmente, che ha causato danni e sulla cui relazione con il rischio di sindrome trombocitopenica trombotica doveva presentare il rapporto finale. C’era scritto chiaramente, nell’ultimo «Piano di gestione dei rischi dell’Unione europea (Rmp) relativo a Vaxzevria», del 15 settembre scorso, che l’azienda era impegnata in uno studio retrospettivo sulla Tts.
Utilizzava database secondari collegati in Inghilterra attraverso l’Nhs digital trusted research environment (Tre), fornendo la copertura dei dati nazionali di tutti i pazienti relativi ad assistenza primaria, vaccinazione, ricovero ospedaliero, risultati dei test Covid-19, dati sulla mortalità. Potevano emergere relazioni, numeri importanti. Dopo lo stato di avanzamento nel primo trimestre 2023, la presentazione del rapporto finale dello studio era «nel secondo trimestre 2024». Adesso l’azienda non è più tenuta a scoprire le carte. «Siamo incredibilmente orgogliosi del ruolo svolto da Vaxzevria», si legge nel comunicato rilasciato da Astrazeneca, riportando che secondo alcune stime indipendenti, solo nel primo anno di utilizzo oltre 6,5 milioni di vite umane sarebbero state salvate grazie a quel vaccino. Le vittime di gravi eventi avversi si dissociano da tanto entusiasmo.





