2019-10-13
Assolto l’immigrato che pesta le donne. Questa volta la scusa è il «vizio di mente»
Un mese fa Aboudel Manaf Cocobissi, 24 anni, prese a pugni due signore a Lecco. Ora il togolese andrà in una struttura protetta.Aboudel Manaf Cocobissi, chi ricorda questo nome? Era il 9 settembre scorso quando prese a pugni in faccia, senza alcun motivo, due donne incontrate casualmente nel sottopassaggio della stazione di Lecco. L'immigrato, con precedenti penali e originario del Togo, prima spintonò a terra una diciottenne per poi colpire con un forte pugno in pieno volto una neurologa di 56 anni, Elena Conti, finita all'ospedale con prognosi di 30 giorni. Subito dopo il giovane, 24 anni, stazza imponente e con permesso di soggiorno, era stato rintracciato dalla polizia e arrestato mentre aspettava l'autobus alla fermata, come se non fosse accaduto nulla. Ma la reclusione durò pochissimo: due giorni dopo Cocobissi, per decisione dei magistrati, uscì di galera e venne messo agli arresti domiciliari. Ci furono motivate proteste, soprattutto da parte del sindacato di polizia Sulp che bollò la scarcerazione come uno «schiaffo morale a chi tutti i giorni si alza per adempiere al giuramento e al senso del dovere». Da aggiungere che il pestaggio era stato ripreso in tutta la sua brutalità dalle telecamere della Polfer e il video ha fatto il giro del Web.Ebbene: venerdì a mezzogiorno il tribunale di Lecco lo ha definitivamente assolto per totale infermità di mente. Il giudice monocratico, Enrico Manzi, aveva affidato l'incarico di verificare le sue capacità d'intendere e volere allo psichiatra Giuseppe Giunta. Esito della perizia: il giovane non è responsabile delle sue azioni e quindi non punibile dalla giustizia. Tuttavia non tornerà in libertà, perlomeno non ci tornerà subito, dal momento che con l'assoluzione è stato disposto anche il suo ricovero per due anni in una struttura Rems (Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza), quello che un tempo veniva chiamato ospedale psichiatrico giudiziario. C'è però un problema: sembra che al momento non ci siano posti disponibili nelle Rems e quindi l'aggressore del sottopassaggio dovrà attendere che se ne liberi uno. Nel mentre resterà «parcheggiato» in carcere a Como, penitenziario fornito di presidio psichiatrico. Ulteriore e più inquietante problema è cosa succederà tra due anni, quando Cocobissi finirà di scontare la pena: vizio di mente o meno si tratta di un individuo socialmente pericoloso e violento, come ha dimostrato il 9 settembre scorso.Una preoccupazione in qualche modo condivisa anche dalla madre dell'immigrato, Emanuelle, che era in aula alla lettura della sentenza assieme all'avvocato Giulia Angeleri e al genero, Antonio Ciancola. Dopo aver chiesto scusa e abbracciato le due vittime del figlio, ha dichiarato: «Ora per due anni sarà al sicuro, spero solo che possa essere aiutato anche in seguito». Una speranza che abbiamo tutti, sempre che «aiutarlo» significhi renderlo inoffensivo e non una minaccia per chi sta andando tranquillamente a prendere il treno. In altre parole sarebbe forse opportuno trattenerlo per sempre, o comunque più a lungo, in una struttura protetta. Fuori dal tribunale ha parlato anche Ciancola, cognato dell'imputato: «Quindici giorni prima di quanto successo avevamo avvisato il Cps (Centro psicosociale, ndr) che le condizioni di Manaf si erano aggravate», ha raccontato, «la cosa più brutta è stata sentirsi dire che non c'erano né posti né risorse per poter dargli un sostegno». I problemi psichiatrici di cui soffre Cocobissi sarebbero infatti noti da anni e in passato, a seguito di altri guai giudiziari, era stato affidato a una comunità del territorio ma poi, al termine del periodo stabilito, se ne tornò in famiglia. Esattamente come rischia di accadere anche questa volta. «Non è un problema che riguarda solo Manaf», ha proseguito Ciancola, «ma tutte le persone che soffrono un problema come il suo. Queste lacune diventano un problema sociale, non solo per la famiglia del paziente, ma anche per altre persone che ci vanno di mezzo, come è successo a queste due donne». Con rispetto per il grave disagio psichico del giovane immigrato, resta il fatto che più importante di curarlo è metterlo in condizioni di non nuocere. Questo per evitare che i pugni si trasformino in qualcosa di letale: come avvenne la mattina dell'11 maggio 2013 a Milano, quando il ghanese Adam Kabobo aggredì quattro passanti a sprangate e ne uccise altri tre a colpi di piccone.
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