True
2024-07-16
Un assessore in manette, indagato Brugnaro
Il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro (Ansa)
A leggere i documenti giudiziari vergati dalle toghe veneziane e dagli investigatori della Guardia di finanza alcuni affari si sarebbero mischiati nel municipio di Venezia come in un pot pourri, dove un assessore avrebbe monetizzato i suoi «interventi» su appalti e servizi comunali per favorire imprenditori tramite funzionari comunali e delle partecipate, e il sindaco, il capo di gabinetto e il suo vice, invece, sono indagati per una vecchia speculazione su un’area inquinata. I fatti contestati sembrano tutti scollegati l’uno dall’altro. Ma nella ricetta dei pm c’è un addensante: la corruzione. Che viene contestata all’assessore alla Mobilità Renato Boraso insieme ai reati di concussione per induzione e autoriciclaggio per ben undici capi d’imputazione. Con la collaborazione della sua segretaria privata «stava distruggendo delle prove», sostiene il capo della Procura di Venezia Bruno Cherchi che, ieri, ha coordinato l’esecuzione di 15 misure cautelari, una serie di perquisizioni e il sequestro di 1 milione di euro. Boraso, a sentire il procuratore, si sarebbe «messo a disposizione dei privati facendosi pagare con fatture per prestazioni inesistenti». «Ha sistematicamente mercificato la propria funzione pubblica, svendendola agli interessi privati», riassume il gip Alberto Scaramuzza nell’ordinanza. Con una condotta che risulterebbe «indifferente» ai controlli, oltre che caratterizzata da «pericolosità sociale eccezionalmente elevata». Gli uffici comunali che avrebbero subito il suo pressing si sarebbero invece «ridotti al servizio del privato». In tutto gli indagati sono 18. Compresi il direttore generale dell’Actv, la municipalizzata della mobilità, Giovanni Seno, e il responsabile del settore appalti del Comune Fabio Cacco. Si va dall’assegnazione alla Tecnofon srl dell’efficientamento energetico degli edifici comunali, dietro il versamento, ipotizza l’accusa, di 10.000 euro più il 4 per cento dell’importo dell’appalto, all’assegnazione alla Cds srl per la vigilanza delle sedi della partecipata dei trasporti, al bando per la reception dell’Actv finito all’istituto di vigilanza Castellano. Ma ci sarebbe anche il condizionamento della dirigenza del Casinò per i lavori di giardinaggio alla società EcoGreen, poi subappaltate alla Esa 2000, di cui Boraso è proprietario, in cambio del 15 per cento dei ricavi. Un’operazione tuttavia andata male per un errore del titolare della EcoGreen nel calcolare l’offerta. E poi ci sono i 38.000 euro che avrebbero versato a Boraso due imprenditori per accelerare l’approvazione dei piani di lottizzazione e una richiesta da 40.000 euro alla Open Software srl che concorreva per il servizio di notifica digitale delle multe (un appalto da oltre 13 milioni di euro). Non manca la vendita di un terreno dell’Immobiliare Venezia (società che gestisce i beni comunali), per la quale, sempre secondo l’accusa, Boraso avrebbe chiesto 40.000 euro e «un attico» all’imprenditore Fabrizio Ormenese, finito pure lui in carcere. Infine, Boraso è accusato di aver ricevuto oltre 160.000 euro dalla società Ma.Fra. gestioni srl, alla quale avrebbe fornito informazioni sugli appalti della multiutility Veritas, della società di progettazione Insula e della Biennale. Negli accordi sarebbe rientrata anche una sponsorizzazione da 10.000 euro per la Reyer basket del sindaco Luigi Brugnaro (ex Forza Italia transitato in in Coraggio Italia, fondato insieme a Giovanni Toti) e il mandato per vendere una decina di appartamenti alla società di intermediazione immobiliare della compagna di Brugnaro. Ma era proprio Brugnaro a intimare al suo assessore di smetterla, come rivelano le intercettazioni: «Tu non mi ascolti, tu non capisci un cazzo, mi stanno dicendo che tu domandi soldi, tu non ti rendi conto, rischi troppo... ti devi controllare». La replica di Boraso viene considerata da chi indaga quasi come una confessione: «Cambio anche il telefono». E Brugnaro è sbottato: «Non è il telefono, ti hanno messo gli occhi addosso, stai attento. Devi estirparla». Le altre ipotesi di corruzione, invece, non sono passate per il gip, anche perché particolarmente datate. I fatti risalgono al 2016 e al 2017 e riguardano la compravendita dei terreni dell’area denominata i Pili, 41 ettari di terreno industriale, che si sarebbe trasformata in un affare milionario nel quale i pm sospettano che si nasconda un’ipotesi di corruzione che coinvolgerebbe Brugnaro, proprietario dei terreni tramite la Porta di Venezia srl (l’acquisto, che risale al 2006, per circa 5 milioni di euro incontrò i buoni auspici del sindaco dell’epoca Massimo Cacciari), il capo di gabinetto Morris Ceron e il suo vice Derek Donadini che, si è scoperto, è il gestore dell’impresa. Ma, ha spiegato il procuratore Cherchi, «stiamo valutando la correttezza della gestione del blind trust del sindaco, quindi l’avviso di garanzia è stato emesso per correttezza nei suoi confronti». I tre, stando all’accusa, avrebbero offerto a un imprenditore di Singapore, Ching Chiat Kwong, la vendita dei terreni per 150 milioni di euro (comprese quote sociali, immobili e un palasport). In cambio, avrebbero promesso di usare la loro influenza per raddoppiare l’indice di edificabilità e adottare le varianti urbanistiche per un progetto edilizio da 348.000 metri quadrati. Non solo: avrebbero facilitato la vendita del palazzo Poerio Papadopoli a un prezzo di 10 milioni di euro, inferiore alla stima ufficiale (14 milioni). «Sono esterrefatto», ha commentato Brugnaro, aggiungendo: «In cuor mio e in coscienza so di non aver mai tradito l’interesse pubblico».
Continua a leggereRiduci
A Renato Boraso, responsabile Mobilità del Comune, i pm contestano la corruzione. Avviso di garanzia al primo cittadino. La Procura per lui sospetta una possibile mazzetta celata dalla vendita di un terreno che possiede tramite una società.A leggere i documenti giudiziari vergati dalle toghe veneziane e dagli investigatori della Guardia di finanza alcuni affari si sarebbero mischiati nel municipio di Venezia come in un pot pourri, dove un assessore avrebbe monetizzato i suoi «interventi» su appalti e servizi comunali per favorire imprenditori tramite funzionari comunali e delle partecipate, e il sindaco, il capo di gabinetto e il suo vice, invece, sono indagati per una vecchia speculazione su un’area inquinata. I fatti contestati sembrano tutti scollegati l’uno dall’altro. Ma nella ricetta dei pm c’è un addensante: la corruzione. Che viene contestata all’assessore alla Mobilità Renato Boraso insieme ai reati di concussione per induzione e autoriciclaggio per ben undici capi d’imputazione. Con la collaborazione della sua segretaria privata «stava distruggendo delle prove», sostiene il capo della Procura di Venezia Bruno Cherchi che, ieri, ha coordinato l’esecuzione di 15 misure cautelari, una serie di perquisizioni e il sequestro di 1 milione di euro. Boraso, a sentire il procuratore, si sarebbe «messo a disposizione dei privati facendosi pagare con fatture per prestazioni inesistenti». «Ha sistematicamente mercificato la propria funzione pubblica, svendendola agli interessi privati», riassume il gip Alberto Scaramuzza nell’ordinanza. Con una condotta che risulterebbe «indifferente» ai controlli, oltre che caratterizzata da «pericolosità sociale eccezionalmente elevata». Gli uffici comunali che avrebbero subito il suo pressing si sarebbero invece «ridotti al servizio del privato». In tutto gli indagati sono 18. Compresi il direttore generale dell’Actv, la municipalizzata della mobilità, Giovanni Seno, e il responsabile del settore appalti del Comune Fabio Cacco. Si va dall’assegnazione alla Tecnofon srl dell’efficientamento energetico degli edifici comunali, dietro il versamento, ipotizza l’accusa, di 10.000 euro più il 4 per cento dell’importo dell’appalto, all’assegnazione alla Cds srl per la vigilanza delle sedi della partecipata dei trasporti, al bando per la reception dell’Actv finito all’istituto di vigilanza Castellano. Ma ci sarebbe anche il condizionamento della dirigenza del Casinò per i lavori di giardinaggio alla società EcoGreen, poi subappaltate alla Esa 2000, di cui Boraso è proprietario, in cambio del 15 per cento dei ricavi. Un’operazione tuttavia andata male per un errore del titolare della EcoGreen nel calcolare l’offerta. E poi ci sono i 38.000 euro che avrebbero versato a Boraso due imprenditori per accelerare l’approvazione dei piani di lottizzazione e una richiesta da 40.000 euro alla Open Software srl che concorreva per il servizio di notifica digitale delle multe (un appalto da oltre 13 milioni di euro). Non manca la vendita di un terreno dell’Immobiliare Venezia (società che gestisce i beni comunali), per la quale, sempre secondo l’accusa, Boraso avrebbe chiesto 40.000 euro e «un attico» all’imprenditore Fabrizio Ormenese, finito pure lui in carcere. Infine, Boraso è accusato di aver ricevuto oltre 160.000 euro dalla società Ma.Fra. gestioni srl, alla quale avrebbe fornito informazioni sugli appalti della multiutility Veritas, della società di progettazione Insula e della Biennale. Negli accordi sarebbe rientrata anche una sponsorizzazione da 10.000 euro per la Reyer basket del sindaco Luigi Brugnaro (ex Forza Italia transitato in in Coraggio Italia, fondato insieme a Giovanni Toti) e il mandato per vendere una decina di appartamenti alla società di intermediazione immobiliare della compagna di Brugnaro. Ma era proprio Brugnaro a intimare al suo assessore di smetterla, come rivelano le intercettazioni: «Tu non mi ascolti, tu non capisci un cazzo, mi stanno dicendo che tu domandi soldi, tu non ti rendi conto, rischi troppo... ti devi controllare». La replica di Boraso viene considerata da chi indaga quasi come una confessione: «Cambio anche il telefono». E Brugnaro è sbottato: «Non è il telefono, ti hanno messo gli occhi addosso, stai attento. Devi estirparla». Le altre ipotesi di corruzione, invece, non sono passate per il gip, anche perché particolarmente datate. I fatti risalgono al 2016 e al 2017 e riguardano la compravendita dei terreni dell’area denominata i Pili, 41 ettari di terreno industriale, che si sarebbe trasformata in un affare milionario nel quale i pm sospettano che si nasconda un’ipotesi di corruzione che coinvolgerebbe Brugnaro, proprietario dei terreni tramite la Porta di Venezia srl (l’acquisto, che risale al 2006, per circa 5 milioni di euro incontrò i buoni auspici del sindaco dell’epoca Massimo Cacciari), il capo di gabinetto Morris Ceron e il suo vice Derek Donadini che, si è scoperto, è il gestore dell’impresa. Ma, ha spiegato il procuratore Cherchi, «stiamo valutando la correttezza della gestione del blind trust del sindaco, quindi l’avviso di garanzia è stato emesso per correttezza nei suoi confronti». I tre, stando all’accusa, avrebbero offerto a un imprenditore di Singapore, Ching Chiat Kwong, la vendita dei terreni per 150 milioni di euro (comprese quote sociali, immobili e un palasport). In cambio, avrebbero promesso di usare la loro influenza per raddoppiare l’indice di edificabilità e adottare le varianti urbanistiche per un progetto edilizio da 348.000 metri quadrati. Non solo: avrebbero facilitato la vendita del palazzo Poerio Papadopoli a un prezzo di 10 milioni di euro, inferiore alla stima ufficiale (14 milioni). «Sono esterrefatto», ha commentato Brugnaro, aggiungendo: «In cuor mio e in coscienza so di non aver mai tradito l’interesse pubblico».
Getty Images
Attualmente gli Stati Uniti mantengono 84.000 militari in Europa, dislocati in circa cinquanta basi. I principali snodi si trovano in Germania, Italia e Regno Unito, mentre la Francia non ospita alcuna base americana permanente. Il quartier generale del comando statunitense in Europa è situato a Stoccarda, da dove viene coordinata una forza che, secondo un rapporto del Congresso, risulta «strettamente integrata nelle attività e negli obiettivi della Nato».
Sul piano strategico-nucleare, sei basi Nato, distribuite in cinque Paesi membri – Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi e Turchia – custodiscono circa 100 ordigni nucleari statunitensi. Si tratta delle bombe tattiche B61, concepite esclusivamente per l’impiego da parte di bombardieri o caccia americani o alleati certificati. Dalla sua istituzione nel 1949, con il Trattato di Washington, la Nato è stata il perno della sicurezza americana in Europa, come ricorda il Center for Strategic and International Studies. L’articolo 5 garantisce che un attacco contro uno solo dei membri venga considerato un’aggressione contro tutti, estendendo di fatto l’ombrello militare statunitense all’intero continente.
Questo impianto, rimasto sostanzialmente invariato dalla fine della Seconda guerra mondiale, oggi appare messo in discussione. Il discorso del vicepresidente J.D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, i segnali di dialogo tra Donald Trump e Vladimir Putin sull’Ucraina e la diffusione di una dottrina strategica definita «aggressiva» da più capitali europee hanno alimentato il timore di un possibile ridimensionamento dell’impegno americano.
Sul fronte finanziario, Washington ha alzato ulteriormente l’asticella chiedendo agli alleati di destinare il 5% del Pil alla difesa. Un obiettivo giudicato irrealistico nel breve termine dalla maggior parte degli Stati membri. Nel 2014, solo tre Paesi – Stati Uniti, Regno Unito e Grecia – avevano raggiunto la soglia minima del 2%. Oggi 23 Paesi Nato superano quel livello, e 16 di essi lo hanno fatto soltanto dopo il 2022, sotto la spinta del conflitto ucraino. La guerra in Ucraina resta infatti il contesto determinante. La Russia controlla quasi il 20% del territorio ucraino. Già dopo l’annessione della Crimea nel 2014, la Nato aveva rafforzato il fianco orientale schierando quattro gruppi di battaglia nei Paesi baltici (Estonia, Lettonia, Lituania) e in Polonia. Dopo il 24 febbraio 2022, altri quattro battlegroup sono stati dispiegati in Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia.
Queste forze contano complessivamente circa 10.000 soldati, tra cui 770 militari francesi – 550 in Romania e 220 in Estonia – e si aggiungono al vasto sistema di basi navali, aeree e terrestri già presenti sul continente. Nonostante questi numeri, la capacità reale dell’Europa rimane limitata. Come osserva Camille Grand, ex vicesegretario generale della Nato, molti eserciti europei, protetti per decenni dall’ombrello americano e frenati da bilanci contenuti, si sono trasformati in «eserciti bonsai»: strutture ridotte, con capacità parziali ma prive di profondità operativa. I dati confermano il quadro: 12 Paesi europei non dispongono di carri armati, mentre 14 Stati non possiedono aerei da combattimento. In molti casi, i mezzi disponibili non sono sufficientemente moderni o pronti all’impiego.
La dipendenza diventa totale nelle capacità strategiche. Intelligence, sorveglianza e ricognizione, così come droni, satelliti, aerei da rifornimento e da trasporto, restano largamente insufficienti senza il supporto statunitense. L’operazione francese in Mali nel 2013 richiese l’intervento di aerei americani per il rifornimento in volo, mentre durante la guerra in Libia nel 2011 le scorte di bombe a guida laser si esaurirono rapidamente. Secondo le stime del Bruegel Institute, riprese da Le Figaro, per garantire una sicurezza credibile senza l’appoggio degli Stati Uniti l’Europa dovrebbe investire almeno 250 miliardi di euro all’anno. Una cifra che fotografa con precisione il divario accumulato e pone una domanda politica inevitabile: il Vecchio Continente è disposto a sostenere un simile sforzo, o continuerà ad affidare la propria difesa a un alleato sempre meno disposto a farsene carico?
Continua a leggereRiduci
(Totaleu)
Lo ha detto il Ministro per gli Affari europei in un’intervista margine degli Ecr Study Days a Roma.
Getty Images
Ed è quel che ha pensato il gran capo della Fifa, l’imbarazzante Infantino, dopo aver intestato a Trump un neonato riconoscimento Fifa. Solo che stavolta lo show diventa un caso diplomatico e rischia di diventare imbarazzante e difficile da gestire perché, come dicevamo, la partita celebrativa dell’orgoglio Lgbtq+ sarà Egitto contro Iran, due Paesi dove gay, lesbiche e trans finiscono in carcere o addirittura condannate a morte.
Ora, delle due l’una: o censuri chi non si adegua a certe regole oppure imporre le proprie regole diventa ingerenza negli affari altrui. E non si può. Com’è noto il match del 26 giugno a Seattle, una delle città in cui la cultura Lgbtq+ è più radicata, era stata scelto da tempo come pride match, visto che si giocherà di venerdì, alle porte del nel weekend dell’orgoglio gay. Diciamo che la sorte ha deciso di farsi beffa di Infantino e del politically correct. Infatti le due nazioni hanno immediatamente protestato: che c’entriamo noi con queste convenzioni occidentali? Del resto la protesta ha un senso: se nessuno boicotta gli Stati dove l’omosessualità è reato, perché poi dovrebbero partecipare ad un rito occidentale? Per loro la scelta è «inappropriata e politicamente connotata». Così Iran ed Egitto hanno presentato un’obiezione formale, tant’è che Mehdi Taj, presidente della Federcalcio iraniana, ha spiegato la posizione del governo iraniano e della sua federazione: «Sia noi che l’Egitto abbiamo protestato. È stata una decisione irragionevole che sembrava favorire un gruppo particolare. Affronteremo sicuramente la questione». Se le Federcalcio di Iran ed Egitto non hanno intenzione di cedere a una pressione internazionale che ingerisce negli affari interni, nemmeno la Fifa ha intenzione di fare marcia indietro. Secondo Eric Wahl, membro del Pride match advisory committee, «La partita Egitto-Iran a Seattle in giugno capita proprio come pride match, e credo che sia un bene, in realtà. Persone Lgbtq+ esistono ovunque. Qui a Seattle tutti sono liberi di essere se stessi». Certo, lì a Seattle sarà così ma il rischio che la Fifa non considera è quello di esporre gli atleti egiziani e soprattutto iraniani a ritorsioni interne. Andremo al Var? Meglio di no, perché altrimenti dovremmo rivedere certi errori macroscopici su altri diritti dei quali nessun pride si era occupato organizzando partite ad hoc. Per esempio sui diritti dei lavoratori; eppure non pochi operai nei cantieri degli stadi ci hanno lasciato le penne. Ma evidentemente la fretta di rispettare i tempi di consegna fa chiudere entrambi gli occhi. Oppure degli operai non importa nulla. E qui tutto il mondo è Paese.
Continua a leggereRiduci