
La Commissione Ue su input dei socialisti ha proposto una legge per imporre ai vari governi il ripristino di zone naturali in almeno il 20% della superficie terrestre e marina entro il 2030 e l’estensione a tutti gli habitat che necessitano di recupero entro il 2050. Come al solito la dicitura della confezione inganna. Chi non vuole salvare i pesci, le api e la biodiversità? Il problema è come si vuole raggiungere tali obiettivi. Un esempio su tutti. Un articolo della proposta prevede, rispetto ai fiumi, che bisognerà avere 25.000 chilometri a libero scorrimento entro il 2030, rimuovendo tutti gli ostacoli, compreso le dighe. Per le foreste l’idea invece sarebbe quella di imporre una maggior quantità di legno morto a terra, per migliorare la biodiversità e la capacità rigenerativa delle foreste. Infine, c’è l’articolo 9, che è quello che maggiormente interessa il mondo agricolo, e qui si cita un vago «ripristino degli ecosistemi agricoli» per migliorare la biodiversità.
Inutile dire che tale estremismo verde rientra nel più ampio pacchetto del Green new deal, ideato e messo a terra sempre dalla maggioranza socialista. Per fortuna però stavolta la notizia è un’altra. Ieri, in sede di commissione Agricoltura dell’Europarlamento, la proposta è stata bocciata. In prima seduta 29 voti contro 15 e due astenuti. E in seconda seduta con ben 30 voti contro 16. Per la prima volta il gruppo di centrodestra Ecr e il Ppe (guidato dal tedesco Manfred Weber) hanno votato compatti contro i socialisti. Ai primi due si è aggiunta anche Renew Europe, il gruppo di Emmanuel Macron. La relatrice del Ppe Anne Sander ha commentato: «Forse adesso la Commissione ascolterà le istanze che portiamo avanti da mesi». Sul fronte Italia Sergio Berlato, deputato di Fdi, ha aggiunto: «La Commissione Ue sta cercando di far approvare il maggior numero di provvedimenti verdi possibile, senza nessuna considerazione per il tessuto produttivo». Per poi concludere: «L’ambientalismo ha questa idea del re-wildering o di ritorno alla natura, in cui l’uomo è un problema e va eliminato e la natura deve fare da sola. Da questo punto di vista, l’opposizione totale alla costruzione di de-gassificatori, al dragaggio dei fiumi, alla pulizia dei boschi, agli aiuti agli allevatori che mantengono il territorio montano è sintomatico». Al di là della soddisfazione evidente del centrodestra di aver per il momento detto no alla legge per il ripristino della natura selvaggia, il dato che emerge è che se si lavora sugli equilibri tra Ppe ed Ecr qualcosa può cambiare. La sfida è enorme e complessa ma l’alternativa è ancora più rischiosa.
Avere un’altra tornata a maggioranza socialista. La nostra non è una considerazione di partigianeria politica ma di ripristino della democrazia.
È difficile conservare gli equilibri e garantire il corretto dibattito se l’arbitro che presiede Bruxelles non solo non è imparziale, ma addirittura gioca in campo con una delle due squadre. Basti prendere l’esempio del Pnrr. Ricapitoliamo quanto è accaduto due giorni fa. Il ministro con delega al Recovery, Raffaele Fitto, parla a un convegno. Viene avvicinato da un giornalista de La Stampa. L’indomani il quotidiano pubblica una intervista e al ministro viene attribuita una frase secondo cui gli investimenti del Pnrr sulle infrastrutture sarebbero da smantellare. Fitto smentisce. Ma gli altri giornali riprendono l’articolo e il Pd cavalca la cosa. Fino a sera quando anche la portavoce della Commissione Ue interviene sul tema spiegando che l’Italia è in ritardo almeno sulla relazione contente eventuali modifiche del Pnrr. Quindi la terza rata è ferma. A quel punto escono altri retroscena secondo i quali probabilmente salterà pure la quarta rata. Il gioco è sempre lo stesso. Alzare la palla dall’Italia e schiacciare a Bruxelles. Ieri Fitto è tornato sul tema annunciando cabina di regia per la prossima settimana, incontri bilaterali con le Regioni per rivedere singoli progetti territoriali e riscrittura di parti di Piano entro agosto.
È chiaro però che si tratta di una impresa ardua se chi è in campagna elettorale in vista delle europee del 2024 è la stessa persona che regola le manovelle dei fondi e valuta le tipologie di investimenti. La portavoce della Commissione sempre commentando il tema della terza rata del Pnrr italiano ha specificato che ogni modifica dovrà rappresentare un miglioramento o almeno un intervento di pari qualità. Senza specificare che diavolo significhi. Un cambio di calcio no, un campo di padel invece sì. Oppure tablet per le scuole sì e una strada di montagna no. Sono esempi a caso. Ma la soggettività non è ammissibile e quindi l’insegnamento che arriva dalla Commissione Agricoltura dell’Europarlamento è prezioso a da tenere come faro. La maggioranza nata tra socialisti e democristiani può modificarsi. È una strada sottile che vale però la pena percorrere. Anche per la messa in discussione del Pnrr. Certo non direttamente e non dichiaratamente (perché sappiamo che è stato approvato dal nostro Parlamento), ma di sponda è un esercizio diplomaticamente accettabile. Come? Negoziando su altre partite e usando la leva Ppe-Ecr. L’unica scelta di Palazzo Chigi che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non potrà criticare o ostacolare. Qui non c’è Manzoni che tenga.






