2024-02-06
        Dovevano restare in casa ma adesso agli asintomatici l’Inps non paga l’indennità
    
 
A inizio 2022 si è esaurita la copertura finanziaria per i dipendenti del settore privato, costretti per legge alla quarantena anche se sani. L’ente minimizza: «Sono pochi casi».La caotica gestione pandemica continua a presentare il conto. A lavoratori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia stanno arrivando contestazioni per i certificati medici dai quali risultavano assenti in quando positivi al Covid. Il periodo di riferimento è dal 1° gennaio 2022, data a partire dalla quale l’Inps non ha più versato l’indennità di malattia ai dipendenti del settore privato che avevano contratto il virus Sars-Cov-2, senza mostrare una sintomatologia evidente. «Non è possibile il riconoscimento delle indennità economiche per gli eventi riferiti alla quarantena», informava l’istituto, come invece era accaduto fino al 31 dicembre 2021. L’indennità di malattia sarebbe spettata unicamente ai sintomatici, perché era venuta a mancare la copertura finanziaria. Però l’isolamento era ancora obbligatorio per legge. Nella circolare del 30 dicembre 2021, il ministero della Salute la riaffermava, seppure con modalità differenti tra vaccinati e non. Per coloro che non avevano mai ricevuto una dose o che non avevano completato il ciclo primario, l’obbligo era di 10 giorni; per i pluridosati bastavano 5 giorni. Questo significava che un numero molto alto di lavoratori era ancora tenuto alla quarantena, breve o lunga che fosse. Guai a loro, se si fossero presentati in ufficio, in azienda, nell’attività commerciale di cui erano dipendenti: rischiavano la denuncia secondo l’articolo 260 del testo unico della legge sanitaria 265 del 1934, l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5.000 euro. Adesso si sentono dire che la certificazione medica era «non idonea», perché non potevano dichiararsi in malattia. Erano positivi, però senza sintomi. Obbligati alla quarantena ma senza retribuzione? «Non potevano uscire di casa, ed era questo aspetto a venire certificato», ha protestato Salvatore Cauchi, medico di famiglia a Treviso. I certificati erano «atti di isolamento emanati dagli Uffici igiene delle differenti aziende sanitarie», spiega al Mattino di Padova. «Noi dottori abbiamo dato un contributo, ma per giustificare la quarantena non era necessario il nostro certificato: la competenza era dell’Ufficio igiene». Quindi, le aziende sanitarie obbligavano alla quarantena i positivi, con o senza sintomi, e se i lavoratori avessero infranto le disposizioni rischiavano multa e arresto. Dovevano rimanere isolati per necessità di salute pubblica, per evitare di infettare la popolazione, però l’Inps non riconosceva l’indennità di malattia. Un cortocircuito possibile solo durante la gestione dell’emergenza sanitaria da parte dell’ex ministro della Salute, Roberto Speranza. La Cgil Modena, ad aprile 2022, segnalava: «Resta da capire come saranno remunerati i lavoratori isolati in quanto positivi al Covid, ma asintomatici. Per questi i medici di famiglia ragionevolmente dovrebbero indicare sul certificato “isolamento Covid +” e non “malattia Covid” trattandosi di soggetti che non sono a tutti gli effetti ammalati, in quanto asintomatici, ma solo positivi». Nell’agosto dello stesso anno, a Trento le tre sigle Cgil, Cisl e Uil denunciarono il mancato riconoscimento da parte dell’Inps dell’indennità di malattia agli asintomatici. Avevano già ricevuto diverse segnalazioni da parte di lavoratori e sollecitavano una risposta chiara da parte dell’istituto a livello statale, perché si trattava di «un’interpretazione indebitamente restrittiva» della «nozione di malattia». Lo ribadirono a livello nazionale i segretari confederali di Cgil, Cisl, Uil, Francesca Re David, Angelo Colombini e Ivana Veronese: «La malattia Covid è malattia anche se non si hanno sintomi». Siamo a febbraio 2024, e chiarezza non è stata fatta. I lavoratori stanno ricevendo contestazioni per periodi di malattia non immaginari, bensì imposti per legge e sarebbero già partiti i primi ricorsi. L’Inas Cisl ha riferito al quotidiano veneto di casi diversi, dalla contestazione dell’assenza di una sintomatologia precisa a «certificazioni retrodatate, magari perché, in totale buona fede, medici e pazienti erano rimasti in attesa di certificazioni dalle Aziende sanitarie arrivati in ritardo, o mai arrivati». Il dottor Cauchi respinge al mittente i rilievi. «I certificati erano atti di sanità pubblica», ha risposto, e non era necessario indicare i sintomi che accompagnavano la positività. «Quanto alla retroattività», ha aggiunto, «era stato l’Inps stesso ad autorizzarci». Dall’ufficio stampa dell’Istituto precisano che «si tratta di un numero estremamente circoscritto di casi che contempla una moltitudine di patologie non solo Covid». Inoltre ricordano «che tutti i fragili erano esclusi dalla presentazione del certificato e quindi anche dalla richiesta di integrazione partita in questi giorni». Vedremo che posizione assumerà a riguardo il ministero del Lavoro, anzi il governo, per scongiurare nuove discriminazioni.
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