2024-06-15
Arrestato l’organizzatore della fuga del faccendiere di Mosca dall’Italia
Artem Uss. Nel riquadro, Dmitriy Chirakadze (Ansa)
Dmitriy Chirakadze è il gestore dei sistemi informatici dei tribunali di Putin. Secondo i pm ha predisposto il viaggio in Russia di Uss, che era ai domiciliari nella sua casa di Basiglio in attesa di estradizione negli Usa.Pur non essendo saltate fuori spie russe nella rocambolesca fuga di Artem Uss, il figlio dell’ex governatore di una regione della Siberia coinvolto in un intricato giro di traffici illeciti tra Italia, Russia e Stati Uniti, che è evaso dalla sua abitazione di Basiglio (Milano) il 22 marzo dello scorso anno dopo che la Corte d’Appello meneghina aveva dato il via libera alla sua estradizione negli Usa, i fiancheggiatori che avrebbero orchestrato la sua fuga sembrano essere usciti da una spy story. Ieri infatti è saltato fuori un nuovo personaggio, che è stato arrestato: Dmitriy Chirakadze, russo anche lui, 54 anni, residente a Ginevra e con legami aristocratici in Georgia. L’indagato è sposato con la facoltosa Lyubov Orlova, con cui gestisce imprese e società immobiliari (tra le quali un importante resort in Sardegna, il Sardinia luxury, e la tenuta di caccia a Krasnojarsk, in Siberia, frequentata proprio da babbo Alexander Uss. Tra i Chirakadze e gli Uss sono emersi anche collegamenti societari. In particolare nella società mineraria Sibugol limited liability company. Inoltre è il fondatore del gruppo Pravo.ru, un’azienda che offre servizi digitali al sistema di giustizia elettronica dei Tribunali di Vladimir Putin. Chirakadze, secondo il pm della Procura di Milano Giovanni Tarzia, sarebbe uno degli organizzatori del piano che ha trasformato Uss in una Primula rossa. Ieri mattina i carabinieri del Nucleo investigativo milanese hanno atteso che da Olbia si spostasse verso l’aeroporto di Fiumicino e gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip Sara Cipolla. Sul documento giudiziario, però, il primo nome che compare è quello di Maria Yagodina, la moglie di Uss, che si trova in Russia, e che, scrive il gip, «non risulta essere rientrata in Italia dopo la procurata evasione del marito». Ora è ricercata con un mandato internazionale per procurata evasione. Ma tutto sembra ruotare attorno al nome di Chirakadze, che, secondo l’accusa, rappresenta un livello organizzativo superiore rispetto agli esecutori materiali e agli agevolatori dell’operazione, in totale sei persone (già individuate): Vladimir e Boris Jovancic (padre e figlio di origini bosniache), Matej Janezic (sloveno), Srdjan Lolic e Nebojsa Ilic (serbi) ed Emirada Ibo detta «Emy», titolare di un bar piadineria a Soiano del Lago. Secondo quanto sono riusciti a ricostruire i carabinieri, Chirakadze avrebbe monitorato da vicino l’esito della decisione della Corte d’Appello di Milano sull’estradizione di Uss negli Stati Uniti al fine di attuare il piano che aveva già in mente. Avrebbe poi coordinato tutte le fasi della fuga, partecipando personalmente agli incontri principali e mantenendo costanti contatti con i familiari di Uss. Dopo l’esfiltrazione si sarebbe anche incontrato più volte con i complici all’estero.Tutto ha funzionato alla perfezione: prima dell’evasione il gruppo ha pianificato l’operazione, effettuando sopralluoghi, procurando le automobili necessarie (la moglie di Uss avrebbe anticipato 7.000 euro per l’acquisto dell’auto usata in Italia) e attivando le utenze dedicate (ovvero usate solo per l’operazione), poi ha prelevato Uss dalla sua residenza a Basiglio e, infine, lo ha accompagnato fino alla frontiera con la Slovenia. Attraverso i contatti oltre confine è stata varcata la frontiera a Gorizia utilizzando tre veicoli diversi in Slovenia, Bosnia e Serbia il giorno stesso della fuga.Uno degli arrestati, Vladimir Jovancic, interrogato dai carabinieri, ha descritto Chirakadze come un individuo che «lavora per la famiglia (Uss, ndr)» e come uno che «risolve tutto». Ma Jovancic ha svelato anche dettagli cruciali: sostiene di essere stato avvicinato dalla Yagodina e (probabilmente) da Chirakadze, che con lui però si sarebbe presentato col nome «Dima». Uno dei summit, stando sempre al racconto di Jovancic, sarebbe avvenuto nel ristorante Mamma Rosa a Milano. In quell’occasione c’erano anche i due Lolic e una quarta persona che non masticava il serbo e che parlava con loro solo in inglese. Un mister X che finora è rimasto nell’ombra.Alle dichiarazioni di Jovancic è seguita un’attività investigativa, coordinata dal procuratore di Milano Marcello Viola, che si è concentrata su hotel di lusso, tracciamenti telefonici e voli internazionali, scoprendo una rete ben organizzata. «Le attività di intelligence», sostengono gli inquirenti, «insieme alle comunicazioni pervenute dalla polizia svizzera hanno indicato il nome dell’intestatario» di una delle utenze dell’intrigo: Chirakadze. Questi l’8 febbraio 2023, un epoca che gli inquirenti valutano come «compatibile» con il primo incontro con altri due uomini della banda, è stato registrato in ingresso all’aeroporto di Belgrado. Dopo averlo tracciato anche in Italia, seguendo le celle telefoniche agganciate dai suoi telefoni cellulari, i suoi spostamenti sono stati definiti «compatibili con i luoghi di interesse, dove sono avvenuti incontri e riunioni propedeutiche alle fasi organizzative» della fuga. Ora è considerato «referente e organizzatore» di un «sodalizio criminale organizzato, impegnato in attività criminali in più di uno Stato».
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci