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2023-05-10
Dopo l'arresto di Imran Khan in Pakistan scoppia il caos
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Khan è stato arrestato dalle truppe paramilitari mentre si trovava ad un'udienza in tribunale a Islamabad. L’ex premier è stato arrestato in relazione da un caso riguardante il trasferimento di terreni per l'Università al-Qadir, vicino a Islamabad. Khan è accusato di aver concesso favori a Malik Riaz Hussain, un potente magnate del settore immobiliare, al pari di alcuni funzionari dell’università che ha ottenuto in cambio terreni e donazioni. Dopo essere stato rimosso dall'incarico con un voto di sfiducia parlamentare nell'aprile dello scorso anno, Khan sta affrontando dozzine di procedimenti giudiziari con accuse che includono terrorismo e corruzione; inoltre ha ripetutamente affrontato minacce di arresto per non essersi mai presentato in tribunale. Come facilmente prevedibile non appena si è diffusa la notizia in tutto il Paese sono scoppiati disordini. A Islamabad i suoi sostenitori hanno cercato di bloccare una grande autostrada mentre a Lahore una folla minacciosa ha dato alle fiamme delle auto parcheggiate vicino alle residenze degli ufficiali militari. Gravissima la situazione a Quetta (Balochistan) dove l’esercito pakistano ha aperto il fuoco contro la popolazione durante le proteste e secondo le prime notizie diversi dimostranti sono stati uccisi e feriti dai proiettili e allo stato la situazione è fuori controllo.
Nonostante Imran Khan abbia perso il potere la sua popolarità è addirittura cresciuta e lo stesso vale per il suo partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) che l’estate scorsa ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni locali nel Punjab — una provincia che è stata spesso il punto di riferimento per la politica nazionale — e anche nella città portuale di Karachi. Secondo il New York Times «quelle vittorie politiche sono state viste anche come una risposta al peggioramento delle condizioni economiche che il nuovo governo ha faticato ad affrontare, e come un ripudio dell'establishment militare, che ha esercitato a lungo una mano pesante nella politica pakistana. Ma hanno provocato una crescente repressione nei confronti di Khan e dei suoi sostenitori, in uno sforzo che molti osservatori ritengono essere un coordinato impegno delle autorità per smorzare le sue prospettive politiche».
Ma chi è Imran Khan? Nato nel 1952 da una famiglia agiata di etnia pashtun, non è mai stato un fervente musulmano: già leggenda nazionale della nazionale pachistana di cricket, ex playboy (tre mogli e un numero di imprecisato di figli), era un grande consumatore di alcol e, secondo le accusa di una delle sue ex mogli, anche di cocaina e di giovani uomini. Tutte pratiche aborrite dall'Islam, per alcune delle quali vige la pena di morte. Fortunatamente per lui, ha sposato in terze nozze Bushra Bibi Khan (che in Pakistan viene considerata come una donna in possesso di poteri soprannaturali) e si è rifatto l'immagine di un pio musulmano, al quale si può perdonare anche un passato a dir poco spericolato. Le tensioni politiche intorno a Khan sono arrivate al culmine nel novembre scorso, quando l'ex primo ministro è stato ferito durante un comizio dopo che un uomo non identificato ha aperto il fuoco sul suo convoglio, in quello che gli assistenti hanno definito un tentativo di omicidio. Da allora, Imran Khan si è trasferito nella sua residenza di Lahore, la seconda città più grande del Pakistan. I giornalisti conosciuto per essere schierati con l’ex premier affermano di essere stati molestati dalle autorità. Le trasmissioni in diretta dei discorsi di Khan sono state vietate dai canali televisivi di notizie.
Un canale mainstream, ARY News, è stato costretto a chiudere la trasmissione dopo aver mandato in onda un'intervista con uno dei migliori collaboratori di Khan in cui faceva osservazioni anti-militari. Evidente che il suo arresto possa inasprire i toni del confronto politico e nessuno è in grado di prevedere cosa accadrà nelle piazze del Pakistan paese complicatissimo fatto chiaroscuri, intrighi internazionali e doppie e talvolta triple verità. Basta pensare al ruolo che Islamabad ricopre a livello internazionale: alleato strategico degli Stati Uniti in Asia centrale, è al tempo stesso lo Stato che ha nascosto e protetto Osama Bin Laden, e che oggi favorisce i talebani afghani e i loro alleati, compreso il gruppo armato della rete Haqqani, protagonisti del narcoterrorismo e della guerriglia contro l'Occidente nelle «terre dell'Islam». In Pakistan, inoltre, vivono indisturbati molti terroristi globali: attualmente nella lista figura anche Sajid Mir, la mente delle stragi di Mumbai del novembre 2018, che fecero 200 morti e oltre 300 feriti. Sia l'India che gli Stati Uniti ne hanno chiesto l'estradizione, senza ottenere alcuna risposta. Per capirne le ragioni, bisogna guardare alla complessa macchina dei servizi segreti nazionali: ovvero l'Isi, acronimo di Inter services intelligence, che sin dalla sua fondazione si è contraddistinto per condotte politiche spregiudicate e ben al di là delle leggi, spaziando dagli omicidi politici (di cui è stata vittima la stessa premier Benazir Bhutto nel 2007) a traffici di ogni tipo: droga, armi e componenti nucleari. Senza dimenticare lo stato delle relazioni con l'India, altra potenza nucleare con cui il governo pachistano scambia continui colpi d'artiglieria in relazione al possesso del Kashmir, la regione contesa dove solo nei primi mesi del 2020 ci sono state circa 500 violazioni del cessate il fuoco. Ma la preoccupazione più grande quando si parla di Pakistan è il fatto che possiede al marzo 2022 un arsenale nucleare stimato in circa 165 testate atomiche. Secondo l'Aca (Arms control association) è l'arsenale atomico in più veloce crescita rispetto a qualsiasi altro Paese. Il Pakistan conseguì lo status di potenza nucleare con gli esperimenti del 1998 sotto il premier Nawaz Sharif e con il coordinamento dell'ingegnere Ahmed Qadeer Khan. L'espansione del programma e le violazioni al Trattato di non proliferazione hanno determinato le sanzioni statunitensi a numerosi enti e persone. Inoltre, si ritiene che il Pakistan continui attivamente ad esportare armi e tecnologie nucleari.
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L’ex Primo ministro pakistano è stato arrestato ieri con l'accusa di corruzione. Il fermo arriva al culmine della crisi politica che vive da mesi il Paese. Negli ultimi mesi Imran Khan ha più volte apertamente sfidato l'esercito pakistano e l'attuale governo, dicendo che «stanno cospirando contro di lui». I militari invece accusano l'ex leader «di aver mosso false accuse» contro un alto funzionario dell'intelligence.Khan è stato arrestato dalle truppe paramilitari mentre si trovava ad un'udienza in tribunale a Islamabad. L’ex premier è stato arrestato in relazione da un caso riguardante il trasferimento di terreni per l'Università al-Qadir, vicino a Islamabad. Khan è accusato di aver concesso favori a Malik Riaz Hussain, un potente magnate del settore immobiliare, al pari di alcuni funzionari dell’università che ha ottenuto in cambio terreni e donazioni. Dopo essere stato rimosso dall'incarico con un voto di sfiducia parlamentare nell'aprile dello scorso anno, Khan sta affrontando dozzine di procedimenti giudiziari con accuse che includono terrorismo e corruzione; inoltre ha ripetutamente affrontato minacce di arresto per non essersi mai presentato in tribunale. Come facilmente prevedibile non appena si è diffusa la notizia in tutto il Paese sono scoppiati disordini. A Islamabad i suoi sostenitori hanno cercato di bloccare una grande autostrada mentre a Lahore una folla minacciosa ha dato alle fiamme delle auto parcheggiate vicino alle residenze degli ufficiali militari. Gravissima la situazione a Quetta (Balochistan) dove l’esercito pakistano ha aperto il fuoco contro la popolazione durante le proteste e secondo le prime notizie diversi dimostranti sono stati uccisi e feriti dai proiettili e allo stato la situazione è fuori controllo.Nonostante Imran Khan abbia perso il potere la sua popolarità è addirittura cresciuta e lo stesso vale per il suo partito Pakistan Tehreek-e-Insaf (PTI) che l’estate scorsa ha ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni locali nel Punjab — una provincia che è stata spesso il punto di riferimento per la politica nazionale — e anche nella città portuale di Karachi. Secondo il New York Times «quelle vittorie politiche sono state viste anche come una risposta al peggioramento delle condizioni economiche che il nuovo governo ha faticato ad affrontare, e come un ripudio dell'establishment militare, che ha esercitato a lungo una mano pesante nella politica pakistana. Ma hanno provocato una crescente repressione nei confronti di Khan e dei suoi sostenitori, in uno sforzo che molti osservatori ritengono essere un coordinato impegno delle autorità per smorzare le sue prospettive politiche».Ma chi è Imran Khan? Nato nel 1952 da una famiglia agiata di etnia pashtun, non è mai stato un fervente musulmano: già leggenda nazionale della nazionale pachistana di cricket, ex playboy (tre mogli e un numero di imprecisato di figli), era un grande consumatore di alcol e, secondo le accusa di una delle sue ex mogli, anche di cocaina e di giovani uomini. Tutte pratiche aborrite dall'Islam, per alcune delle quali vige la pena di morte. Fortunatamente per lui, ha sposato in terze nozze Bushra Bibi Khan (che in Pakistan viene considerata come una donna in possesso di poteri soprannaturali) e si è rifatto l'immagine di un pio musulmano, al quale si può perdonare anche un passato a dir poco spericolato. Le tensioni politiche intorno a Khan sono arrivate al culmine nel novembre scorso, quando l'ex primo ministro è stato ferito durante un comizio dopo che un uomo non identificato ha aperto il fuoco sul suo convoglio, in quello che gli assistenti hanno definito un tentativo di omicidio. Da allora, Imran Khan si è trasferito nella sua residenza di Lahore, la seconda città più grande del Pakistan. I giornalisti conosciuto per essere schierati con l’ex premier affermano di essere stati molestati dalle autorità. Le trasmissioni in diretta dei discorsi di Khan sono state vietate dai canali televisivi di notizie.Un canale mainstream, ARY News, è stato costretto a chiudere la trasmissione dopo aver mandato in onda un'intervista con uno dei migliori collaboratori di Khan in cui faceva osservazioni anti-militari. Evidente che il suo arresto possa inasprire i toni del confronto politico e nessuno è in grado di prevedere cosa accadrà nelle piazze del Pakistan paese complicatissimo fatto chiaroscuri, intrighi internazionali e doppie e talvolta triple verità. Basta pensare al ruolo che Islamabad ricopre a livello internazionale: alleato strategico degli Stati Uniti in Asia centrale, è al tempo stesso lo Stato che ha nascosto e protetto Osama Bin Laden, e che oggi favorisce i talebani afghani e i loro alleati, compreso il gruppo armato della rete Haqqani, protagonisti del narcoterrorismo e della guerriglia contro l'Occidente nelle «terre dell'Islam». In Pakistan, inoltre, vivono indisturbati molti terroristi globali: attualmente nella lista figura anche Sajid Mir, la mente delle stragi di Mumbai del novembre 2018, che fecero 200 morti e oltre 300 feriti. Sia l'India che gli Stati Uniti ne hanno chiesto l'estradizione, senza ottenere alcuna risposta. Per capirne le ragioni, bisogna guardare alla complessa macchina dei servizi segreti nazionali: ovvero l'Isi, acronimo di Inter services intelligence, che sin dalla sua fondazione si è contraddistinto per condotte politiche spregiudicate e ben al di là delle leggi, spaziando dagli omicidi politici (di cui è stata vittima la stessa premier Benazir Bhutto nel 2007) a traffici di ogni tipo: droga, armi e componenti nucleari. Senza dimenticare lo stato delle relazioni con l'India, altra potenza nucleare con cui il governo pachistano scambia continui colpi d'artiglieria in relazione al possesso del Kashmir, la regione contesa dove solo nei primi mesi del 2020 ci sono state circa 500 violazioni del cessate il fuoco. Ma la preoccupazione più grande quando si parla di Pakistan è il fatto che possiede al marzo 2022 un arsenale nucleare stimato in circa 165 testate atomiche. Secondo l'Aca (Arms control association) è l'arsenale atomico in più veloce crescita rispetto a qualsiasi altro Paese. Il Pakistan conseguì lo status di potenza nucleare con gli esperimenti del 1998 sotto il premier Nawaz Sharif e con il coordinamento dell'ingegnere Ahmed Qadeer Khan. L'espansione del programma e le violazioni al Trattato di non proliferazione hanno determinato le sanzioni statunitensi a numerosi enti e persone. Inoltre, si ritiene che il Pakistan continui attivamente ad esportare armi e tecnologie nucleari.
Sergio Mattarella (Ansa)
Si torna quindi all’originale, fedeli al manoscritto autografo del paroliere, che morì durante l’assedio di Roma per una ferita alla gamba. Lo certifica il documento oggi conservato al Museo del Risorgimento di Torino.
La svolta riguarderà soprattutto le cerimonie militari ufficiali. Lo Stato Maggiore della Difesa, in un documento datato 2 dicembre, ha infatti inviato l’ordine a tutte le forze armate: durante gli eventi istituzionali e le manifestazioni militari nelle quali verrà eseguito l’inno nella versione cantata - che parte con un «Allegro marziale» -, il grido in questione dovrà essere omesso. E viene raccomandata «la scrupolosa osservanza» a tutti i livelli, fino al più piccolo presidio territoriale, dalla Guardia di Finanza all’Esercito. Ovviamente nessuno farà una piega se allo stadio i tifosi o i calciatori della nazionale azzurra (discorso che vale per tutti gli sport) faranno uno strappo alla regola, anche se la strada ormai è tracciata.
Per confermare la bontà della decisione del Colle basta ricordare le indicazioni che il Maestro Riccardo Muti diede ai 3.000 coristi (professionisti e amatori, dai 4 agli 87 anni) radunati a Ravenna lo scorso giugno per l’evento dal titolo agostiniano «Cantare amantis est» (Cantare è proprio di chi ama). Proprio in quell’occasione, come avevamo raccontato su queste pagine, il grande direttore d’orchestra - che da decenni cerca di spazzare via dall’opera italiana le aggiunte postume, gli abbellimenti non richiesti e gli acuti non scritti dagli autori, ripulendo le partiture dalle «bieche prassi erroneamente chiamate tradizioni» - ordinò a un coro neonato ma allo stesso tempo immenso: «Il “sì” finale non si canta, nel manoscritto non c’è».
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Scott Bessent (Ansa)
Partiamo da Washington, dove il Pil non solo non rallenta, ma accelera. Nel terzo trimestre dell’anno, da luglio a settembre, l’economia americana è cresciuta del 4,3%. Non un decimale in più o in meno: un punto pieno sopra le attese, ferme a un modesto 3,3%. Un dato arrivato in ritardo, complice lo stop federale che ha paralizzato le attività pubbliche, ma che ha avuto l’effetto di una doccia fredda per gli analisti più pessimisti. Altro che frenata da dazi: rispetto al secondo trimestre, l’incremento è stato dell’1,1%. Altro che economia sotto anestesia. Una successo che spinge Scott Bessent, segretario del Tesoro, a fare pressioni sulla Fed perché tagli i tassi e riveda al ribasso dal 2% all’1,5% il tetto all’inflazione. Il motore della crescita? I consumi, tanto per cambiare. Gli americani hanno continuato a spendere come se i dazi fossero un concetto astratto da talk show. Nel terzo trimestre i consumi sono saliti del 3,5%, dopo il più 2,5% dei mesi precedenti. A spingere il Pil hanno contribuito anche le esportazioni e la spesa pubblica, in un mix poco ideologico e molto concreto. La morale è semplice: mentre la politica discute, l’economia va avanti. E spesso prende un’altra direzione.
E l’Europa? Doveva essere la prima vittima collaterale della guerra commerciale. Anche qui, però, i numeri si ostinano a non obbedire alle narrazioni. L’Italia, per esempio, a novembre ha visto rafforzarsi il saldo commerciale con i Paesi extra Ue, arrivato a più 6,9 miliardi di euro, contro i 5,3 miliardi dello stesso mese del 2024. Quanto agli Stati Uniti, l’export italiano registra sì un calo, ma limitato: meno 3%. Una flessione che somiglia più a un raffreddore stagionale che a una polmonite da dazi. Non esattamente lo scenario da catastrofe annunciata.
Anche la Bce, che per statuto non indulge in entusiasmi, ha dovuto prendere atto della resilienza dell’economia europea. Le nuove proiezioni parlano di una crescita dell’eurozona all’1,4% nel 2025, in rialzo rispetto all’1,2% stimato a settembre, e dell’1,2% nel 2026, contro l’1,0 precedente. Non è un boom, certo, ma nemmeno il deserto postbellico evocato dai più allarmisti. Soprattutto, è un segnale: l’Europa cresce nonostante tutto, e nonostante tutti. E poi c’è la Cina, che osserva il dibattito globale con il sorriso di chi incassa. Nei primi undici mesi del 2025 Pechino ha messo a segno un surplus commerciale record di oltre 1.000 miliardi di dollari, con esportazioni superiori ai 3.400 miliardi. Altro che isolamento: la fabbrica del mondo continua a macinare numeri, mentre l’Occidente discute se i dazi siano il male assoluto o solo un peccato veniale.
Alla fine, la lezione è sempre la stessa. I dazi fanno rumore, le previsioni pure. Ma l’economia parla a bassa voce e con i numeri. E spesso, come in questo caso, si diverte a smentire chi aveva già scritto il copione del disastro. Le cassandre restano senza applausi. Le statistiche, ancora una volta, si prendono la scena.
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Paolo Barletta, Ceo Arsenale S.p.a. (Ansa)
Il contributo di Simest è pari a 15 milioni e passa dalla Sezione Infrastrutture del Fondo 394/81, plafond in convenzione con il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, dedicato alle imprese italiane impegnate in grandi commesse estere che valorizzano la filiera nazionale. In termini di struttura, il capitale sociale congiunto copre la componente di rischio industriale, mentre la componente del fondo saudita sostiene la rampa di avvio del progetto, riducendo il fabbisogno di capitale a carico dei partner italiani e rafforzando la bancabilità dell’iniziativa nel Paese ospitante, presentata come modello pubblico-privato nel segmento ferroviario di lusso.
L’intesa è inserita nella collaborazione Italia-Arabia Saudita, richiamando l’apertura della sede Simest a Riyadh e il Memorandum of Understanding tra Cdp, Simest e Jiacc. «Dream of the Desert» è indicato come progetto apripista di un modello pubblico-privato nel trasporto ferroviario di lusso.
«Dream of the Desert è un progetto simbolo per il nostro gruppo e per l’industria ferroviaria internazionale. Valorizza le Pmi italiane e costituisce un caso apripista di partnership pubblico-privata nel settore ferroviario di lusso. L’accordo siglato con Simest e le istituzioni saudite conferma come la collaborazione tra imprese e istituzioni possa creare valore duraturo e promuovere le eccellenze italiane nel mondo», commenta Paolo Barletta, amministratore delegato di Arsenale.
Regina Corradini D’Arienzo, amministratore delegato di Simest, aggiunge: «L’intesa sottoscritta con un primario attore industriale come Arsenale per la realizzazione di un progetto strategico per il Made in Italy, conferma il rafforzamento del ruolo di Simest a sostegno del tessuto produttivo italiano e delle sue filiere. Attraverso la prima operazione realizzata nell’ambito del Plafond di equity del fondo pubblico di Investimenti infrastrutturali», continua la numero uno del gruppo, «Simest interviene direttamente come socio per accrescere la competitività delle nostre imprese impegnate in progetti infrastrutturali ad alto valore aggiunto, favorendo al contempo l’espansione del Made in Italy in mercati strategici ad elevato potenziale di crescita, come quello saudita. Lo strumento, sviluppato da Simest sotto la regia del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale e in collaborazione con Cassa depositi e prestiti, si inserisce pienamente nell’azione del Sistema Italia, che, sotto la regia della Farnesina, vede il coinvolgimento di Cdp, Simest, Ice e Sace. Un approccio integrato volto a garantire alle imprese italiane un supporto strutturato e complementare, dall’azione istituzionale a quella finanziaria, per affrontare con efficacia le principali sfide della competitività internazionale».
Sul piano industriale, Arsenale dichiara un treno interamente progettato, prodotto e allestito in Italia: gli hub Cpl (Brindisi) e Standgreen (Bergamo) operano con Cantieri ferroviari italiani (Cfi) come general contractor, coordinando una rete di Pmi (design, meccanica avanzata, ingegneria, lusso e hospitality). Per il committente estero, questa configurazione «turnkey (chiavi in mano, ndr.)» concentra in un unico soggetto il coordinamento di produzione, integrazione e allestimento; per l’ecosistema italiano, sposta volumi e valore aggiunto lungo la catena domestica, fino alla finitura degli interni ad alto contenuto di design.
Il prodotto sarà un treno di ultra lusso con itinerari da uno a due notti: partenza da Riyadh e collegamenti verso destinazioni iconiche del Regno, tra cui Alula (sito Unesco) e Hail, fino al confine con la Giordania. Gli interni sono firmati dall’architetto e interior designer Aline Asmar d’Amman, fondatore dello studio Culture in Architecture. La prima carrozza è stata consegnata a settembre 2025; l’avvio operativo è previsto per fine 2026, con prenotazioni aperte da novembre 2025.
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Matteo Hallissey (Ansa)
Il video è accompagnato da un post: «Abbiamo messo in atto», scrive l’ex perfetto sconosciuto Hallisey, «un flash mob pacifico pro Ucraina all’interno di un convegno filorusso organizzato dall’Anpi all’università Federico II di Napoli. Dopo aver atteso il termine dell’evento con Alessandro Di Battista e il professor D’Orsi e al momento delle domande, decine di studenti e attivisti pro Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno mostrato maglie e bandiere ucraine. È vergognoso che non ci sia stata data la possibilità di fare domande e che l’attivista che stava interloquendo con i relatori sia stato aggredito e spinto da un rappresentante dell’Anpi fino a rompere il microfono. Anch’io sono stato aggredito violentemente», aggiunge il giovane radicale, «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi sulla sua partecipazione alla sfilata di gala di Russia Today a Mosca due mesi fa. Chi rivendica la storia antifascista e partigiana non può non condannare queste azioni di fronte a una manifestazione pacifica».
Rivedendo più volte il video al Var, di aggressioni non ne abbiamo viste, a parte come detto qualche spinta, ma va detto pure che quando Hallissey scrive «mentre provavo a fare una domanda a D’Orsi», omette di precisare che quella domanda è stata posta al professore, ma in maniera tutt’altro che pacata: le urla del buon Matteo sono scolpite nel video da lui stesso, ripetiamo, pubblicato. Per quel che riguarda la rottura del microfono, le immagini, viste e riviste non chiariscono se il fallo c’è o no: si vede un giovane attivista che contende un microfono a D’Orsi, ma i frame non permettono di accertare se alla fine si sia rotto o sia rimasto intero.
Quello che è certo è che ieri sono piovuti nelle redazioni i soliti comunicati di solidarietà, non solo da parte di Azione, degli stessi Radicali e di Benedetto Della Vedova, ma anche del capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia Galeazzo Bignami, che su X ha vergato un severo post: «Solidarietà a Matteo Hallissey, presidente dei Radicali italiani», ha scritto Bignami, «aggredito a un evento Anpi per aver provato a porre domande in un flash mob pacifico. Da chi ogni giorno impartisce lezioni di democrazia ma reagisce con violenza, non accettiamo lezioni». Non si comprende, come abbiamo detto, dove sia la violenza, perché per una volta bisogna pur mettere da parte il politically correct e l’ipocrisia dilagante e dire le cose come stanno: dal video emerge in maniera cristallina la natura provocatoria del flash mob pro Ucraina, e da quelle urla e da quegli atteggiamenti, per noi che abbiamo purtroppo l’abitudine a pensar male, anche se si fa peccato, fa capolino pure che magari l’obiettivo era proprio quello di scatenare una reazione violenta da parte dei partecipanti al convegno.
Non lo sapremo mai: quello che sappiamo è che i Radicali, sigla che nella politica italiana ha avuto un ruolo di primissimo piano per tante battaglie condotte in primis dal compianto Marco Pannella, sono ormai ridotti a praticare forme di puro macchiettismo politico, pur di ottenere un po’ di visibilità: ricorderete lo show di Riccardo Magi, deputato di +Europa, che vaga nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. A proposito di Magi: il congresso che lo scorso febbraio ha rieletto segretario di +Europa il deputato fantasma è stato caratterizzato da innumerevoli polemiche e altrettante ombre. Poche ore prima della chiusura del tesseramento, il 31 dicembre, dalla provincia di Napoli, in particolare da Giugliano e Afragola, arrivano la bellezza di 1.900 nuovi iscritti, praticamente un terzo dell’intera platea di tesserati, iscritti che poi si traducono in delegati che eleggono i vertici del partito. Una conversione di massa alla causa radicale degli abitanti di questi due popolosi comuni del Napoletano in sostanza stravolge gli equilibri congressuali. Tra accuse e controaccuse, un giovanissimo militante, alla fine dello stesso congresso, sconfigge nella corsa alla presidenza di +Europa uno storico esponente del partito come Benedetto Della Vedova. Si tratta proprio di Matteo Hallissey.
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