Arrestato il procuratore di Taranto: «Si inventava accuse su richiesta»
Dopo il falso complotto per depistare le indagini dei pm di Milano sulle tangenti pagate dall'Eni in Nigeria, che gli è costato un'accusa di abuso d'ufficio a Messina, il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo si è fatto beccare anche a costruire false ipotesi di usura per favorire i suoi amici imprenditori che, così, potevano accedere ai benefici per le vittime. Il tutto accadeva all'ombra di un sistema di relazioni che, secondo il gip del Tribunale di Potenza che ha privato il collega della libertà mandandolo ai domiciliari, rendeva gli indagati «capaci di influenzare l'andamento della giustizia». E sottolinea che Capristo «ha amicizie nelle alte sfere istituzionali». Rapporti che erano già venuti fuori dalla lettura dei documenti dell'inchiesta sull'ex stratega del Csm Luca Palamara e che riconnettono quell'indagine direttamente all'attività investigativa della Procura di Potenza. Le relazioni di Capristo e degli altri cinque indagati, tre imprenditori, un poliziotto e il procuratore di Trani, Antonino Di Maio, sono la base su cui i giudici potentini poggiano le esigenze cautelari, sottolineando «come gli stessi, se liberi, possano contare su una rete consolidata di contatti per inquinare le prove a loro carico e per evitare che vengano alla luce fatti analoghi». L'epicentro, infatti, è la Procura di Trani, dove ancora si chiacchiera molto del «sistema» scoperto solo un anno fa, quando furono arrestati il gip Michele Nardi e il pm Antonio Savasta. Tra gli uomini più vicini a Capristo viene indicato un certo Filippo Paradiso, dirigente della polizia di Stato che in passato ha prestato servizio negli uffici di diretta collaborazione dei vari sottosegretari alla Presidenza del consiglio e che ha rapporti di alto livello con le toghe. Ma che ha anche qualche grana giudiziaria (a Roma è stato indagato per traffico di influenze). E, soprattutto, era in contatto con Palamara.
Si era rivolto a lui anche l'ex pm Giancarlo Longo, coinvolto nell'inchiesta sul Sistema Siracusa e sulla compravendita di sentenze quando si era fatto venire l'idea di diventare procuratore capo di Ragusa. Per riuscirci aveva chiesto sostegno anche all'attuale presidente del Senato, Elisabetta Casellati. Ad accompagnarlo dalla Casellati c'era proprio Paradiso. Dinamiche che erano note anche a uno dei due avvocati al centro del depistaggio pro Eni, Giuseppe Calafiore, il quale ha raccontato ai magistrati: «Amara (Piero Amara, l'avvocato dell'Eni, ndr) mi spiegava che Capristo era legatissimo a Paradiso e questo legame si estrinsecò anche in occasione della nomina di Capristo a procuratore di Taranto».
È sempre lo stesso Calafiore a rivelare che «Amara può contattare tutti i componenti del Csm che hanno rapporti con Paradiso». In un passaggio, il gip scrive: «Emerge l'esistenza di un centro di potere a Trani, denominato «i fedelissimi», che include pubblici ufficiali e soggetti privati legati al procuratore Capristo, capace non solo di influenzare le scelte di quella Procura ma anche di coinvolgere altre istituzioni». In un episodio si cita addirittura il presidente della Repubblica, che un ex cancelliere del Tribunale di Trani, ritenuto vicino a Capristo, nelle intercettazioni sostiene di aver «messo in cottura». Nelle Procure pugliesi devono essere in molti ad aver puntato il presidente, visto che gli sono state dedicate attenzioni anche nel fascicolo sulla Banca popolare di Bari.
E poi c'è la Casellati, che nelle intercettazioni viene indicata come «un'amica nostra». I fatti: Capristo avrebbe compiuto atti idonei a «indurre il pm Silvia Curione, della procura di Trani, a perseguire per il reato di usura l'indagato Giuseppe Cuoccio», denunciato da tre imprenditori pugliesi, i fratelli Giuseppe, Cosimo e Gaetano Mancazzo, «pur essendo risultata infondata la denuncia a carico di Cuoccio». Il tutto per «consentire ai fratelli Mancazzo i vantaggi patrimoniali della posizione processuale di parte offesa (presunta) e aspirante parte civile, ma soprattutto l'applicazione a loro favore della legge a sostegno delle vittime di usura», con i relativi benefici. La pm, però, si è messa di traverso. E ha fatto saltare il banco. Le accuse: tentata induzione a dare o promettere utilità, falso e truffa. Capristo avrebbe utilizzato un poliziotto, «notoriamente suo alter ego» e «uomo di fiducia», Michele Scivattaro, per fare pressioni sulla collega, rammentandole che da ex procuratore di Trani aveva buoni rapporti con «l'ambiente». In particolare con colui che in quel momento era il capo della Curione, (definita da Capristo, «la bambina mia») ovvero Antonino Di Maio. In più avrebbe rappresentato alla giovane pm «la possibilità che si potesse riservare analogo destino professionale al coniuge», Lanfranco Marazia, che era un sottoposto proprio di Capristo. Il procuratore di Taranto probabilmente riuscì a trovare anche qualche entratura a Potenza, visto che dal giorno seguente all'audizione di Marazia, Capristo cominciò a mantenere un atteggiamento distaccato con il suo sottoposto. «Nessuno sapeva della mia citazione a Potenza», ha raccontato Marazia, «che mi era pervenuta sulla mail da parte del dottor Francesco Basentini (all'epoca procuratore aggiunto a Potenza, poi capo del Dap, ufficio dal quale si è dimesso, ndr), e che io proprio per non destare sospetti avevo preso un giorno di ferie». L'indagine sulla fuga di notizie fu archiviata dallo stesso Basentini. L'altra archiviazione avviene a Trani: Di Maio, dopo la segnalazione mandata dalla giovane pm, si voltò dall'altra parte. E ora è accusato di favoreggiamento e di abuso d'ufficio.





