2023-01-10
«Ha solo protetto la sua famiglia». Libero l’uomo che ha ucciso il vicino
La ruspa guidata da Gezim Dodoli contro la villetta di Sandro Mugnai (Ansa)
Il gip scarcera Sandro Mugnai, l’artigiano di Arezzo accusato di omicidio volontario per aver colpito a morte un conoscente che gli stava demolendo casa con la ruspa. Finalmente il diritto a difendersi entra nelle aule.Oggi la direttissima per Martino Di Tosto, il romanista ferito e arrestato negli scontri di domenica in autogrill. Il ministro Matteo Piantedosi: «Vietare trasferte ai tifosi? Si può fare».Lo speciale contiene due articoli.Scarcerato. Il giudice ha valutato le carte e ha deciso che tre giorni di prigione fossero anche troppi per Sandro Mugnai, l’artigiano di Arezzo di 53 anni accusato di omicidio volontario per aver imbracciato il fucile e aver fatto fuoco da una finestra verso la cabina della ruspa che gli stava demolendo la casa. A manovrarla era Gezim Dodoli, 57 anni, operaio albanese da molti anni in Italia, in preda a un raptus di follia. Un colpo, due colpi, tre colpi di benna con l’intento di devastare e sbriciolare l’abitazione mentre all’interno la famiglia Mugnai stava cenando con i parenti (attorno al tavolo erano in sette) la vigilia dell’Epifania. Un incubo, poi il silenzio, con il ronzio del motore del Caterpillar al minimo. Quattro dei cinque proiettili erano andati a segno.«Non c’era altro modo di fermarlo, dovevo difendere la mia famiglia», ha spiegato il fabbro. Al termine dell’interrogatorio di garanzia il gip Giulia Soldini gli ha creduto perché ha sconfessato il pm che aveva richiesto i domiciliari. E ha ritenuto, pur convalidando l’arresto, di annullare le misure cautelari lasciando libero l’omicida perché «non ci sono né pericolo di fuga, né di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove». L’accusa di omicidio volontario, con tutto quel che ne consegue, resta difficile da sostenere. In aula, il gip ha peraltro fatto esplicito riferimento alla legittima difesa. Anche perché dalla casa che tremava era impossibile fuggire: sull’ingresso c’era l’escavatore. Gli avvocati difensori Marzia Lelli e Piero Melani Graverini hanno puntato sulla legittima difesa (continueranno a farlo nel procedimento penale) e hanno avuto ragione; la legge fortemente voluta dal centrodestra per tutelare la proprietà privata e i cittadini vittime di aggressione predeterminata ha qui un’applicazione doverosa nel segno del garantismo.«Ora andiamo a casa», ha detto Mattia Mugnai abbracciando il padre all’uscita del tribunale. Andranno a vivere dai parenti perché la villetta di San Polo (frazione di Arezzo) in sasso a vista è stata dichiarata inagibile dai Vigili del fuoco, gravemente danneggiata nella facciata e nel tetto dalla furia meccanica. Prima di avventarsi sulla casa, Dodoli aveva accatastato una sull’altra (distruggendole) le quattro auto trovate sulla sua strada nel cortile. Essendo un esperto operatore di mezzi di movimento terra, la vittima sapeva manovrare perfettamente la ruspa, di sua proprietà. Sposato e padre di due figli, Gezim aveva lavorato anche in Germania, poi a Seveso, e ultimamente è tornato ad Arezzo da solo mentre il resto della famiglia è rimasto in Lombardia. Alla base dell’aggressione - fermata a fucilate con una carabina per la caccia al cinghiale detenuta regolarmente -, ci sarebbero dissapori e screzi tra i due vicini di casa. Fra le altre cose Dodoli accusava Mugnai di non voler riparare la fognatura che emetteva odori pestilenziali. San Polo è un borgo con 200 abitanti, si conoscono tutti. E tutti stimano i Mugnai per la correttezza dei rapporti e per la generosità nei confronti della comunità: padre e figlio sono molto attivi nel sociale come volontari. Il parroco don Natale Gabrielli prova a ricostruire i rapporti fra le due famiglie. «È una storia terribile, posso testimoniare che i due vicini di casa un tempo si frequentavano. Sono andato più volte a mangiare da entrambi; i bambini, ora uomini, servivano messa con me e stavano in parrocchia. Poi la famiglia Dodoli si era trasferita a Milano ma, da qualche tempo, Gezim era tornato da solo. Cosa sia successo non lo so. Ma so che Sandro forse voleva difendere la propria famiglia: il tetto stava crollando sotto i colpi della benna, sarebbero morti tutti schiacciati».Mentre attendeva l’uscita del padre dalla Procura, Mattia Mugnai ha rivissuto l’angoscia della tragedia. «Quelli che abbiamo vissuto sono stati momenti di grande agonia. Adesso aspetto il babbo, lo riporto a casa e cercheremo di stare tranquilli insieme. Purtroppo so che ancora non è finita questa storia ma la scarcerazione è quello che ci aspettavamo tutti. La mia famiglia è ancora sotto shock per quanto accaduto. Lo stato d’animo, come potete comprendere, non è affatto tranquillo. Conoscevo Gezim, avevamo rapporti di cordiale conoscenza. Non c’erano tensioni irrecuperabili. Noi non abitiamo più a casa nostra perché la struttura è stata resa inagibile ma, per fortuna, possiamo contare sul supporto di parenti e amici che ci hanno accolto. Non so neanche se riusciremo mai più a rientrare a casa, viste le condizioni in cui si trova». Secondo gli esperti, ancora un paio di colpi di ruspa e il tetto sarebbe crollato in testa ai famigliari convenuti per la cena. Anche se sarà costretto a rivivere il dramma mille volte - il fragore della ruspa, i colpi che fanno vacillare la parete, la finestra in frantumi, la paura per la famiglia, i cinque colpi di carabina e un uomo senza vita - ora Sandro Mugnai è libero. Spiega l’avvocato Lelli: «È rimasto tranquillo, ha appreso la notizia della sua scarcerazione in maniera molto pacata. È un uomo che si è trovato a dover reagire ad una situazione eccezionale, imprevedibile, dove ad essere in pericolo c’era la vita di tutti i componenti della famiglia». La battaglia giudiziaria sarà lunga e accidentata, ma la legge sulla legittima difesa può diventare un importante ombrello protettivo. Ci volevano una ruspa, una casa che trema e una possibile strage per capirlo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arezzo-ruspa-scarcerazione-giustizia-2659093111.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gia-a-processo-il-primo-ultra-della1" data-post-id="2659093111" data-published-at="1673353104" data-use-pagination="False"> Già a processo il primo ultrà dell’A1 A distanza di 24 ore dal blocco dell’Autostrada 1 per la guerriglia in autogrill tra ultras romanisti e napoletani, gli identificati da parte delle forze dell’ordine sono 180, mentre oggi è prevista la direttissima per Martino Di Tosto, il supporter della Roma ferito da una coltellata e arrestato per rissa aggravata nell’area di servizio Badia al Pino. La stessa in cui nel 2017 l’ex agente della Stradale Luigi Spaccarotella uccise il tifoso laziale Gabriele Sandri. Il primo bilancio dell’attività delle forze dell’ordine è frutto di due operazioni di polizia che hanno portato all’identificazione di un’ottantina di ultras azzurri a Genova e di poco più di un centinaio di ultras giallorossi a Milano. Con tutta probabilità saranno destinatari di Daspo, sulla cui efficacia però i rappresentanti delle forze dell’ordine sono già sembrati scettici. «Stiamo concentrando le nostre energie e quelle della Polizia per arrivare quanto prima all’identificazione dei responsabili di questo gesto folle e assurdo», ha assicurato il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi. Inquirenti e investigatori setacciano le chat dei gruppi ultras alla ricerca dei retroscena per ricostruire quello che a tutti gli effetti è sembrato uno scontro organizzato da tifoserie ostili: «Da quello che so i napoletani erano già pronti, stavano all’autogrill e i romanisti sono scesi. So che ci sono stati parecchi feriti: i napoletani le hanno date, pure parecchie, anche qualche napoletano era ferito». È l’audio di un romanista, che prosegue: «I napoletani hanno fatto una bella azione, studiata nei minimi particolari. I romanisti ci stavano, sono scesi, si sono compattati per andare allo scontro». Dai rappresentanti sindacali delle forze di polizia è unanime la richiesta d’inasprimento dei Daspo: «Molti provvedimenti amministrativi emanati in passato sono giunti a conclusione e molti violenti si sono ricompattati nelle curve», osserva Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, «occorre rendere obbligatoria la tessera del tifoso. Le società interrompano ogni ammiccamento, assicurando posti assegnati e numerati solo ai titolari di biglietto nominativo». «Sono delinquenti al pari dei black bloc», sottolinea il segretario del Sap, Stefano Paoloni, «Bisognerebbe vietare le trasferte ai potenziali facinorosi e rendere più afflittivo il Daspo sportivo». Per Valter Mazzetti, segretario generale della Federazione polizia di Stato, «il Daspo è più efficace quando è connesso all’obbligo di firma durante i match, ma non serve contro il tifo violento. Andrebbe inasprito, così come molto severa dovrebbe essere la risposta alla violazione: carcere e pena certa e ineludibile». La società partenopea presieduta da Aurelio De Laurentiis ha condannato con fermezza i responsabili degli scontri, invocando provvedimenti radicali dal titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ha subito raccolto gli appelli: «Vietare le trasferte ai tifosi? L’attuale quadro normativo consente di adottare dei provvedimenti restrittivi e io stesso, in qualità di prefetto, ho preso decisioni analoghe. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro con la Lega calcio e gli organi di polizia. Darò istruzioni affinché si adottino provvedimenti improntati a criteri di massima precauzione. Non so se giuridicamente si può parlare di Daspo a vita», aggiunge il Ministro dell’Interno, «ma di sicuro posso assicurarvi che l’attuale sistema di norme consente di adottare provvedimenti adeguati».