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2023-01-10
«Ha solo protetto la sua famiglia». Libero l’uomo che ha ucciso il vicino
La ruspa guidata da Gezim Dodoli contro la villetta di Sandro Mugnai (Ansa)
Scarcerato. Il giudice ha valutato le carte e ha deciso che tre giorni di prigione fossero anche troppi per Sandro Mugnai, l’artigiano di Arezzo di 53 anni accusato di omicidio volontario per aver imbracciato il fucile e aver fatto fuoco da una finestra verso la cabina della ruspa che gli stava demolendo la casa. A manovrarla era Gezim Dodoli, 57 anni, operaio albanese da molti anni in Italia, in preda a un raptus di follia. Un colpo, due colpi, tre colpi di benna con l’intento di devastare e sbriciolare l’abitazione mentre all’interno la famiglia Mugnai stava cenando con i parenti (attorno al tavolo erano in sette) la vigilia dell’Epifania. Un incubo, poi il silenzio, con il ronzio del motore del Caterpillar al minimo. Quattro dei cinque proiettili erano andati a segno.
«Non c’era altro modo di fermarlo, dovevo difendere la mia famiglia», ha spiegato il fabbro. Al termine dell’interrogatorio di garanzia il gip Giulia Soldini gli ha creduto perché ha sconfessato il pm che aveva richiesto i domiciliari. E ha ritenuto, pur convalidando l’arresto, di annullare le misure cautelari lasciando libero l’omicida perché «non ci sono né pericolo di fuga, né di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove». L’accusa di omicidio volontario, con tutto quel che ne consegue, resta difficile da sostenere. In aula, il gip ha peraltro fatto esplicito riferimento alla legittima difesa. Anche perché dalla casa che tremava era impossibile fuggire: sull’ingresso c’era l’escavatore. Gli avvocati difensori Marzia Lelli e Piero Melani Graverini hanno puntato sulla legittima difesa (continueranno a farlo nel procedimento penale) e hanno avuto ragione; la legge fortemente voluta dal centrodestra per tutelare la proprietà privata e i cittadini vittime di aggressione predeterminata ha qui un’applicazione doverosa nel segno del garantismo.
«Ora andiamo a casa», ha detto Mattia Mugnai abbracciando il padre all’uscita del tribunale. Andranno a vivere dai parenti perché la villetta di San Polo (frazione di Arezzo) in sasso a vista è stata dichiarata inagibile dai Vigili del fuoco, gravemente danneggiata nella facciata e nel tetto dalla furia meccanica. Prima di avventarsi sulla casa, Dodoli aveva accatastato una sull’altra (distruggendole) le quattro auto trovate sulla sua strada nel cortile. Essendo un esperto operatore di mezzi di movimento terra, la vittima sapeva manovrare perfettamente la ruspa, di sua proprietà. Sposato e padre di due figli, Gezim aveva lavorato anche in Germania, poi a Seveso, e ultimamente è tornato ad Arezzo da solo mentre il resto della famiglia è rimasto in Lombardia.
Alla base dell’aggressione - fermata a fucilate con una carabina per la caccia al cinghiale detenuta regolarmente -, ci sarebbero dissapori e screzi tra i due vicini di casa. Fra le altre cose Dodoli accusava Mugnai di non voler riparare la fognatura che emetteva odori pestilenziali. San Polo è un borgo con 200 abitanti, si conoscono tutti. E tutti stimano i Mugnai per la correttezza dei rapporti e per la generosità nei confronti della comunità: padre e figlio sono molto attivi nel sociale come volontari. Il parroco don Natale Gabrielli prova a ricostruire i rapporti fra le due famiglie. «È una storia terribile, posso testimoniare che i due vicini di casa un tempo si frequentavano. Sono andato più volte a mangiare da entrambi; i bambini, ora uomini, servivano messa con me e stavano in parrocchia. Poi la famiglia Dodoli si era trasferita a Milano ma, da qualche tempo, Gezim era tornato da solo. Cosa sia successo non lo so. Ma so che Sandro forse voleva difendere la propria famiglia: il tetto stava crollando sotto i colpi della benna, sarebbero morti tutti schiacciati».
Mentre attendeva l’uscita del padre dalla Procura, Mattia Mugnai ha rivissuto l’angoscia della tragedia. «Quelli che abbiamo vissuto sono stati momenti di grande agonia. Adesso aspetto il babbo, lo riporto a casa e cercheremo di stare tranquilli insieme. Purtroppo so che ancora non è finita questa storia ma la scarcerazione è quello che ci aspettavamo tutti. La mia famiglia è ancora sotto shock per quanto accaduto. Lo stato d’animo, come potete comprendere, non è affatto tranquillo. Conoscevo Gezim, avevamo rapporti di cordiale conoscenza. Non c’erano tensioni irrecuperabili. Noi non abitiamo più a casa nostra perché la struttura è stata resa inagibile ma, per fortuna, possiamo contare sul supporto di parenti e amici che ci hanno accolto. Non so neanche se riusciremo mai più a rientrare a casa, viste le condizioni in cui si trova». Secondo gli esperti, ancora un paio di colpi di ruspa e il tetto sarebbe crollato in testa ai famigliari convenuti per la cena.
Anche se sarà costretto a rivivere il dramma mille volte - il fragore della ruspa, i colpi che fanno vacillare la parete, la finestra in frantumi, la paura per la famiglia, i cinque colpi di carabina e un uomo senza vita - ora Sandro Mugnai è libero. Spiega l’avvocato Lelli: «È rimasto tranquillo, ha appreso la notizia della sua scarcerazione in maniera molto pacata. È un uomo che si è trovato a dover reagire ad una situazione eccezionale, imprevedibile, dove ad essere in pericolo c’era la vita di tutti i componenti della famiglia». La battaglia giudiziaria sarà lunga e accidentata, ma la legge sulla legittima difesa può diventare un importante ombrello protettivo. Ci volevano una ruspa, una casa che trema e una possibile strage per capirlo.
Già a processo il primo ultrà dell’A1
A distanza di 24 ore dal blocco dell’Autostrada 1 per la guerriglia in autogrill tra ultras romanisti e napoletani, gli identificati da parte delle forze dell’ordine sono 180, mentre oggi è prevista la direttissima per Martino Di Tosto, il supporter della Roma ferito da una coltellata e arrestato per rissa aggravata nell’area di servizio Badia al Pino. La stessa in cui nel 2017 l’ex agente della Stradale Luigi Spaccarotella uccise il tifoso laziale Gabriele Sandri.
Il primo bilancio dell’attività delle forze dell’ordine è frutto di due operazioni di polizia che hanno portato all’identificazione di un’ottantina di ultras azzurri a Genova e di poco più di un centinaio di ultras giallorossi a Milano. Con tutta probabilità saranno destinatari di Daspo, sulla cui efficacia però i rappresentanti delle forze dell’ordine sono già sembrati scettici.
«Stiamo concentrando le nostre energie e quelle della Polizia per arrivare quanto prima all’identificazione dei responsabili di questo gesto folle e assurdo», ha assicurato il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi.
Inquirenti e investigatori setacciano le chat dei gruppi ultras alla ricerca dei retroscena per ricostruire quello che a tutti gli effetti è sembrato uno scontro organizzato da tifoserie ostili: «Da quello che so i napoletani erano già pronti, stavano all’autogrill e i romanisti sono scesi. So che ci sono stati parecchi feriti: i napoletani le hanno date, pure parecchie, anche qualche napoletano era ferito». È l’audio di un romanista, che prosegue: «I napoletani hanno fatto una bella azione, studiata nei minimi particolari. I romanisti ci stavano, sono scesi, si sono compattati per andare allo scontro».
Dai rappresentanti sindacali delle forze di polizia è unanime la richiesta d’inasprimento dei Daspo: «Molti provvedimenti amministrativi emanati in passato sono giunti a conclusione e molti violenti si sono ricompattati nelle curve», osserva Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, «occorre rendere obbligatoria la tessera del tifoso. Le società interrompano ogni ammiccamento, assicurando posti assegnati e numerati solo ai titolari di biglietto nominativo».
«Sono delinquenti al pari dei black bloc», sottolinea il segretario del Sap, Stefano Paoloni, «Bisognerebbe vietare le trasferte ai potenziali facinorosi e rendere più afflittivo il Daspo sportivo». Per Valter Mazzetti, segretario generale della Federazione polizia di Stato, «il Daspo è più efficace quando è connesso all’obbligo di firma durante i match, ma non serve contro il tifo violento. Andrebbe inasprito, così come molto severa dovrebbe essere la risposta alla violazione: carcere e pena certa e ineludibile». La società partenopea presieduta da Aurelio De Laurentiis ha condannato con fermezza i responsabili degli scontri, invocando provvedimenti radicali dal titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ha subito raccolto gli appelli: «Vietare le trasferte ai tifosi? L’attuale quadro normativo consente di adottare dei provvedimenti restrittivi e io stesso, in qualità di prefetto, ho preso decisioni analoghe. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro con la Lega calcio e gli organi di polizia. Darò istruzioni affinché si adottino provvedimenti improntati a criteri di massima precauzione. Non so se giuridicamente si può parlare di Daspo a vita», aggiunge il Ministro dell’Interno, «ma di sicuro posso assicurarvi che l’attuale sistema di norme consente di adottare provvedimenti adeguati».
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Il gip scarcera Sandro Mugnai, l’artigiano di Arezzo accusato di omicidio volontario per aver colpito a morte un conoscente che gli stava demolendo casa con la ruspa. Finalmente il diritto a difendersi entra nelle aule.Oggi la direttissima per Martino Di Tosto, il romanista ferito e arrestato negli scontri di domenica in autogrill. Il ministro Matteo Piantedosi: «Vietare trasferte ai tifosi? Si può fare».Lo speciale contiene due articoli.Scarcerato. Il giudice ha valutato le carte e ha deciso che tre giorni di prigione fossero anche troppi per Sandro Mugnai, l’artigiano di Arezzo di 53 anni accusato di omicidio volontario per aver imbracciato il fucile e aver fatto fuoco da una finestra verso la cabina della ruspa che gli stava demolendo la casa. A manovrarla era Gezim Dodoli, 57 anni, operaio albanese da molti anni in Italia, in preda a un raptus di follia. Un colpo, due colpi, tre colpi di benna con l’intento di devastare e sbriciolare l’abitazione mentre all’interno la famiglia Mugnai stava cenando con i parenti (attorno al tavolo erano in sette) la vigilia dell’Epifania. Un incubo, poi il silenzio, con il ronzio del motore del Caterpillar al minimo. Quattro dei cinque proiettili erano andati a segno.«Non c’era altro modo di fermarlo, dovevo difendere la mia famiglia», ha spiegato il fabbro. Al termine dell’interrogatorio di garanzia il gip Giulia Soldini gli ha creduto perché ha sconfessato il pm che aveva richiesto i domiciliari. E ha ritenuto, pur convalidando l’arresto, di annullare le misure cautelari lasciando libero l’omicida perché «non ci sono né pericolo di fuga, né di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove». L’accusa di omicidio volontario, con tutto quel che ne consegue, resta difficile da sostenere. In aula, il gip ha peraltro fatto esplicito riferimento alla legittima difesa. Anche perché dalla casa che tremava era impossibile fuggire: sull’ingresso c’era l’escavatore. Gli avvocati difensori Marzia Lelli e Piero Melani Graverini hanno puntato sulla legittima difesa (continueranno a farlo nel procedimento penale) e hanno avuto ragione; la legge fortemente voluta dal centrodestra per tutelare la proprietà privata e i cittadini vittime di aggressione predeterminata ha qui un’applicazione doverosa nel segno del garantismo.«Ora andiamo a casa», ha detto Mattia Mugnai abbracciando il padre all’uscita del tribunale. Andranno a vivere dai parenti perché la villetta di San Polo (frazione di Arezzo) in sasso a vista è stata dichiarata inagibile dai Vigili del fuoco, gravemente danneggiata nella facciata e nel tetto dalla furia meccanica. Prima di avventarsi sulla casa, Dodoli aveva accatastato una sull’altra (distruggendole) le quattro auto trovate sulla sua strada nel cortile. Essendo un esperto operatore di mezzi di movimento terra, la vittima sapeva manovrare perfettamente la ruspa, di sua proprietà. Sposato e padre di due figli, Gezim aveva lavorato anche in Germania, poi a Seveso, e ultimamente è tornato ad Arezzo da solo mentre il resto della famiglia è rimasto in Lombardia. Alla base dell’aggressione - fermata a fucilate con una carabina per la caccia al cinghiale detenuta regolarmente -, ci sarebbero dissapori e screzi tra i due vicini di casa. Fra le altre cose Dodoli accusava Mugnai di non voler riparare la fognatura che emetteva odori pestilenziali. San Polo è un borgo con 200 abitanti, si conoscono tutti. E tutti stimano i Mugnai per la correttezza dei rapporti e per la generosità nei confronti della comunità: padre e figlio sono molto attivi nel sociale come volontari. Il parroco don Natale Gabrielli prova a ricostruire i rapporti fra le due famiglie. «È una storia terribile, posso testimoniare che i due vicini di casa un tempo si frequentavano. Sono andato più volte a mangiare da entrambi; i bambini, ora uomini, servivano messa con me e stavano in parrocchia. Poi la famiglia Dodoli si era trasferita a Milano ma, da qualche tempo, Gezim era tornato da solo. Cosa sia successo non lo so. Ma so che Sandro forse voleva difendere la propria famiglia: il tetto stava crollando sotto i colpi della benna, sarebbero morti tutti schiacciati».Mentre attendeva l’uscita del padre dalla Procura, Mattia Mugnai ha rivissuto l’angoscia della tragedia. «Quelli che abbiamo vissuto sono stati momenti di grande agonia. Adesso aspetto il babbo, lo riporto a casa e cercheremo di stare tranquilli insieme. Purtroppo so che ancora non è finita questa storia ma la scarcerazione è quello che ci aspettavamo tutti. La mia famiglia è ancora sotto shock per quanto accaduto. Lo stato d’animo, come potete comprendere, non è affatto tranquillo. Conoscevo Gezim, avevamo rapporti di cordiale conoscenza. Non c’erano tensioni irrecuperabili. Noi non abitiamo più a casa nostra perché la struttura è stata resa inagibile ma, per fortuna, possiamo contare sul supporto di parenti e amici che ci hanno accolto. Non so neanche se riusciremo mai più a rientrare a casa, viste le condizioni in cui si trova». Secondo gli esperti, ancora un paio di colpi di ruspa e il tetto sarebbe crollato in testa ai famigliari convenuti per la cena. Anche se sarà costretto a rivivere il dramma mille volte - il fragore della ruspa, i colpi che fanno vacillare la parete, la finestra in frantumi, la paura per la famiglia, i cinque colpi di carabina e un uomo senza vita - ora Sandro Mugnai è libero. Spiega l’avvocato Lelli: «È rimasto tranquillo, ha appreso la notizia della sua scarcerazione in maniera molto pacata. È un uomo che si è trovato a dover reagire ad una situazione eccezionale, imprevedibile, dove ad essere in pericolo c’era la vita di tutti i componenti della famiglia». La battaglia giudiziaria sarà lunga e accidentata, ma la legge sulla legittima difesa può diventare un importante ombrello protettivo. Ci volevano una ruspa, una casa che trema e una possibile strage per capirlo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arezzo-ruspa-scarcerazione-giustizia-2659093111.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="gia-a-processo-il-primo-ultra-della1" data-post-id="2659093111" data-published-at="1673353104" data-use-pagination="False"> Già a processo il primo ultrà dell’A1 A distanza di 24 ore dal blocco dell’Autostrada 1 per la guerriglia in autogrill tra ultras romanisti e napoletani, gli identificati da parte delle forze dell’ordine sono 180, mentre oggi è prevista la direttissima per Martino Di Tosto, il supporter della Roma ferito da una coltellata e arrestato per rissa aggravata nell’area di servizio Badia al Pino. La stessa in cui nel 2017 l’ex agente della Stradale Luigi Spaccarotella uccise il tifoso laziale Gabriele Sandri. Il primo bilancio dell’attività delle forze dell’ordine è frutto di due operazioni di polizia che hanno portato all’identificazione di un’ottantina di ultras azzurri a Genova e di poco più di un centinaio di ultras giallorossi a Milano. Con tutta probabilità saranno destinatari di Daspo, sulla cui efficacia però i rappresentanti delle forze dell’ordine sono già sembrati scettici. «Stiamo concentrando le nostre energie e quelle della Polizia per arrivare quanto prima all’identificazione dei responsabili di questo gesto folle e assurdo», ha assicurato il procuratore di Arezzo, Roberto Rossi. Inquirenti e investigatori setacciano le chat dei gruppi ultras alla ricerca dei retroscena per ricostruire quello che a tutti gli effetti è sembrato uno scontro organizzato da tifoserie ostili: «Da quello che so i napoletani erano già pronti, stavano all’autogrill e i romanisti sono scesi. So che ci sono stati parecchi feriti: i napoletani le hanno date, pure parecchie, anche qualche napoletano era ferito». È l’audio di un romanista, che prosegue: «I napoletani hanno fatto una bella azione, studiata nei minimi particolari. I romanisti ci stavano, sono scesi, si sono compattati per andare allo scontro». Dai rappresentanti sindacali delle forze di polizia è unanime la richiesta d’inasprimento dei Daspo: «Molti provvedimenti amministrativi emanati in passato sono giunti a conclusione e molti violenti si sono ricompattati nelle curve», osserva Enzo Marco Letizia, segretario dell’Associazione nazionale funzionari di polizia, «occorre rendere obbligatoria la tessera del tifoso. Le società interrompano ogni ammiccamento, assicurando posti assegnati e numerati solo ai titolari di biglietto nominativo». «Sono delinquenti al pari dei black bloc», sottolinea il segretario del Sap, Stefano Paoloni, «Bisognerebbe vietare le trasferte ai potenziali facinorosi e rendere più afflittivo il Daspo sportivo». Per Valter Mazzetti, segretario generale della Federazione polizia di Stato, «il Daspo è più efficace quando è connesso all’obbligo di firma durante i match, ma non serve contro il tifo violento. Andrebbe inasprito, così come molto severa dovrebbe essere la risposta alla violazione: carcere e pena certa e ineludibile». La società partenopea presieduta da Aurelio De Laurentiis ha condannato con fermezza i responsabili degli scontri, invocando provvedimenti radicali dal titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che ha subito raccolto gli appelli: «Vietare le trasferte ai tifosi? L’attuale quadro normativo consente di adottare dei provvedimenti restrittivi e io stesso, in qualità di prefetto, ho preso decisioni analoghe. Nei prossimi giorni ci sarà un incontro con la Lega calcio e gli organi di polizia. Darò istruzioni affinché si adottino provvedimenti improntati a criteri di massima precauzione. Non so se giuridicamente si può parlare di Daspo a vita», aggiunge il Ministro dell’Interno, «ma di sicuro posso assicurarvi che l’attuale sistema di norme consente di adottare provvedimenti adeguati».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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