2020-12-30
Arcuri pagò le mascherine cinesi 55 cent: la Consip gliele offriva a 51
Domenico Arcuri (Roberto Silvino/NurPhoto via Getty Images)
La Centrale acquisti propose al commissario dispositivi di protezione a prezzo minore di quelli comprati versando provvigioni enormi, su cui è aperta un'inchiesta. Per uno degli inquisiti nuovi guai a San Marino. Nella vicenda del mega appalto da 801 milioni di mascherine su cui indaga la Procura di Roma le sorprese non finiscono mai. Dai dati pubblicati dalla Consip, la centrale acquisti della pubblica amministrazione, emerge che quest'ultima aveva reperito e messo a disposizione alla struttura commissariale per l'emergenza Covid mascherine a prezzi più competitivi di quelli spuntati nella maxi commessa da 1,25 miliardi di euro che ha portato all'iscrizione sul registro degli indagati dei mediatori dell'affare (sei uomini accusati di traffico illecito di influenze).Il 25 marzo la struttura guidata da Domenico Arcuri ordinò 10 milioni di chirurgiche dalla Wenzhou Moon-ray import-export al prezzo di 55 centesimi. Al 7 aprile scorso (nel pieno delle forniture da parte della presunta cricca), Consip aveva la disponibilità di 18,23 milioni di chirurgiche a un prezzo medio più basso: 0,51 euro. In quella data (dopo averlo già fatto il 31 marzo), la centrale acquisti, secondo le nostre fonti, comunicò agli uffici del commissario la disponibilità e i prezzi medi, chiedendo l'autorizzazione per l'emissione degli ordini. Dalle informazioni in nostro possesso, nessuna «richiesta di acquisizione» è mai pervenuta alla Consip, che il 14 maggio ha provveduto allo svincolo dei fornitori dai contratti. Dopo aver ignorato l'offerta della Consip, la struttura commissariale, il 15 aprile, ha ordinato, a 0,49 euro al pezzo, 450 milioni di mascherine dalla Luokai trade co. Limited di Wenzhou, una società nata appena cinque giorni prima e controllata al 100% dalla Jiaxing Hongfa Import & Export Co., ditta dal capitale sociale di 12.500 euro che si occupa di importazione ed esportazione di tutti i tipi di merci e tecnologie, vendita di accessori hardware, di prodotti in plastica e ornamenti per la casa.INDAGINI A SAN MARINO Tra gli indagati per il mega affare cinese c'è il sammarinese Daniele Guidi. Secondo i pm capitolini, «unitamente ad Andrea Vincezo Tommasi» avrebbe «curato l'aspetto organizzativo e in particolare i numerosi voli aerei necessari per convogliare in Italia un quantitativo così ingente (di dispositivi di protezione, ndr)». Nel gennaio 2019 è stato posto agli arresti domiciliari su ordine del Tribunale di San Marino con l'accusa di associazione per delinquere e altri reati per il suo ruolo di direttore generale e amministratore delegato del Credito industriale sammarinese (Cis), banca finita in default. Questo fascicolo, il 500 del 2017, è in via di definizione. Il termine ultimo per la conclusione delle indagini è quasi scoccato e a breve dovrebbero arrivare le richieste di rinvio a giudizio dopo oltre tre anni di investigazioni. Sempre relativamente alle vicende di Banca Cis, Guidi è indagato, insieme con altri nove ex manager e sindaci, in un ulteriore procedimento, il 377/2019, per i reati di amministrazione infedele, ostacolo alle attività di vigilanza e false comunicazioni sociali. Sostanzialmente a Guidi viene contestata una falsa rappresentazione, anche nei bilanci, della situazione dei crediti di Banca Cis all'autorità di vigilanza. Il magistrato, Antonella Volpinari, indaga pure su una serie di erogazioni di credito effettuate in assenza di idonee garanzie o caratterizzate da una serie di anomalie. A beneficiare dei prestiti pure una immobiliare sammarinese riconducibile a un cittadino italiano che ha effettuato importanti investimenti nella Repubblica Ceca (aveva aperto anche una piccola ditta nel Wyoming). Banca Cis, benché il gruppo dell'imprenditore originario di Latina fosse in situazione di criticità da anni, ha continuato a erogare credito (sino a un totale di 25 milioni di euro) e a considerare il debitore in bonis nonostante, a partire dal 2016, non avesse effettuato alcun rimborso né di capitale, né di interessi. Il titolare, il cinquantottenne A.G., in passato è stato condannato per bancarotta e arrestato per associazione per delinquere e ricettazione.AUTO A SCROCCOGuidi, nell'affare delle mascherine, avrebbe messo in contatto l'ecuadoriano Jorge Solis, a sua volta in rapporti con i fornitori cinesi, con l'ingegnere Tommasi, il gancio della struttura commissariale. O almeno questa è la ricostruzione di Solis e del suo avvocato Francesco Tagliaferri. Intanto sull'imprenditore sudamericano, denunciato per diversi reati, emergono nuove testimonianze. Per esempio l'avvocato Paolo Adriano, sindaco di Mondovì, ricorda perché l'azienda di leasing da lui rappresentata abbia presentato due querele per appropriazione indebita contro Solis: «Il Gruppo Nathan Srl (di cui era titolare Solis) nel settembre del 2007 ha preso in leasing due Suzuki Gran vitara. Quando ha smesso di pagare, dopo alcuni solleciti, l'azienda ha presentato denuncia. Una delle auto è stata recuperata e rivenduta nel luglio 2011. Per tale motivo una delle due querele è stata rimessa». E la seconda macchina? «Quella non è mai stata recuperata e quindi la querela non è mai stata rimessa» conclude il legale. Ma quello delle auto deve essere un pallino dell'ecuadoriano, il quale ha provato a comprare una Opel Corsa usata con un assegno da 500 euro post datato. Donatella Perissi, figlia di Giovanni, intestatario dell'auto ricorda: «Lo chiamai dopo 30 giorni per chiedergli se potessi incassare l'assegno, come pattuito con mio padre. Il tizio mi chiese di “posticipare ulteriormente". Dopo 3 mesi, arrabbiatissima, minacciai di “bancare" l'assegno. Solis mi rispose: “No ti prego, mi rovini, ho un locale (un pub a Re di Roma, ndr)". Ho capito fin da subito che avevo di fronte un furbetto. Per questo mi sono indispettita, sono andata in banca a incassare l'assegno e l'ho fatto protestare. Dopodiché sono andata dai carabinieri e ho fatto denuncia. Da tempo non ho più notizie dal Tribunale. Temo che sia stato tutto prescritto». OPEN E invitaliaUn'ultima notizia. Nell'inchiesta fiorentina sulla fondazione Open di Matteo Renzi (indagato per finanziamento illecito) le Fiamme gialle hanno accesso i riflettori sul finanziamento da 150.000 euro in due tranche del gruppo Getra di Marcianise (Caserta) alla vigilia del referendum del 4 dicembre 2016. Gli investigatori hanno allegato a un'informativa un articolo di giornale che raccontava la visita in pompa magna di Renzi all'azienda quattro mesi prima di quella erogazione. Ad accompagnare l'allora premier c'erano anche il governatore campano Vincenzo De Luca e l'ad di Invitalia Arcuri. E sul sito dell'agenzia apparve in comunicato stampa entusiastico di quella visita. Comunicato che i finanzieri hanno stampato e depositato, così come la visura dell'Anagrafe tributaria di Arcuri e le visure dell'Agenzia per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa Spa e della controllata Invitalia partecipazioni Spa. Il comunicato era intitolato: «Sud, Arcuri: Invitalia al fianco delle imprese d'eccellenza». In esso si rilevava «come il gruppo Getra abbia beneficiato di misure agevolative». Da una parte Arcuri definiva la Getra «un'azienda eccellente che è capace di innovare ed esportare prodotti di alta tecnologia», nonché «la dimostrazione (…) che spesso i luoghi comuni sul Mezzogiorno vanno sfatati» e si augurava «più giornate come questa». Marco Zigon, presidente della Getra, ringraziava «Invitalia che ci ha supportato con il suo contributo in questo impegnativo percorso». Alla fine baci e abbracci e finanziamenti per Renzi.