2020-10-16
Arcuri manda nelle scuole le mascherine dei cinesi senza la certificazione Ce
Le protezioni prive di marchio di garanzia sono legali, ma non si sa quanto sicure Intanto il commissario ignora le richieste del Copasir, che vuole vederci chiaro.Finora l'Iss ha esaminato solo il 12% delle cartelle cliniche dei deceduti classificati come vittime del virus. Tra di loro, la percentuale di chi non aveva altre patologie è il 3,6%. Un comitato ne chiede conto al governo.Lo speciale contiene due articoli.C'è un buco nero intorno all'importazione di mascherine in Italia. Non è chiaro quante ne importiamo, né da dove, né quante sono prodotte dalle nostre aziende. Tanto che Antonio Zennaro, membro del Copasir (il comitato di controllo sui nostri servizi segreti) ha fatto una richiesta di accesso agli atti inviata al commissario straordinario Domenico Arcuri «per verificare quanto sia significativa la presenza delle aziende italiane quali soggetti fornitori e/o produttori di singoli dispositivi di protezione personale per conto del governo italiano». La Pec è stata spedita il 22 settembre. Ieri non era ancora arrivata risposta, anche se ci sono in totale 90 giorni di tempo per replicare. Il silenzio di Arcuri però potrebbe presto diventare un problema. Perché diversi cittadini italiani, in particolare i genitori, in concomitanza con l'aumento dei contagi, stanno iniziando a domandarsi se quelle che vengono fornite dalle istituzioni alle scuole siano davvero in regola con le normative vigenti. Così mentre il nostro Paese affronta la seconda ondata di coronavirus, da Roma a Milano iniziano a emergere casi di dispositivi di protezione senza marchio Ce in arrivo dalla Cina. In teoria le mascherine senza marchio comunitario si possono ancora vendere fino al termine dell'emergenza. Lo prevede il decreto Cura Italia, dove si legge appunto che «è previsto che siano utilizzabili, previa valutazione da parte dell'Istituto superiore di sanità, anche mascherine prive del marchio Ce (marchio di conformità alle prescrizioni europee)». In pochi conoscono la deroga, approvata anche per le lunghezze burocratiche dell'Inail. La colpa è anche della giungla di norme approvate durante il lockdown dal governo, misure che hanno creato non poca confusione, persino nelle farmacie che devono venderle. Per esempio a Milano quelle date dal Comune per gli studenti sono di origine cinese e si chiamano Kennolai. Hanno avuto il benestare anche dalla Protezione civile, come spiega alla Verità palazzo Marino. Eppure vengono vendute separatamente da quelle cinesi provenienti dall'Hubei e approvate, proprio perché non hanno il marchio Ce. Hanno solo il via libera istituzionale. Ma sono davvero sicure? Arcuri nei mesi scorsi era arrivato a promettere che entro settembre «ci sarebbero state sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane». Non è andata così. Un esempio? Pochi giorni fa, il 12 ottobre, i funzionari dell'Agenzia dogane e monopoli di Milano 3 hanno sdoganato 2.295.000 di mascherine Kn95 destinate proprio al commissario straordinario per l'emergenza Covid 19. Le merci sono arrivate via ferrovia da Xian in Cina con ingresso nell'Unione Europea attraverso la Polonia. Il 17 settembre ne sono arrivate 26 milioni, sempre da Xian e contenute in 32 container. Il 4 altri 3 milioni. Il 31 agosto 31 milioni. D'altra parte un rapporto Ocse di maggio avvertiva di come nessun Paese al mondo producesse in modo efficiente tutti i beni di cui c'è bisogno per combattere il Covid 19. Solo Germania e Stati Uniti si stanno specializzando nella produzione di dispositivi medici. Le esportazioni globali di prodotti correlati al Covid sono concentrate in pochi Paesi. I primi 5 esportatori mondiali, che insieme rappresentano il 49% del commercio, sono Germania, Stati Uniti, Svizzera, Repubblica popolare cinese e Irlanda. L'Italia è al nono posto, con appena il 4% delle esportazioni. Del resto, un'elaborazione dei dati Istat da parte di Assosistema Confindustria di fine settembre spiegava che da febbraio a maggio del 2020 sono state importate mascherine per un valore complessivo di 1,1 miliardi di euro. In totale si parla di 1,5 miliardi di dispositivi di protezione. Facendo un calcolo in base ai dati delle dogane, da maggio a oggi dovrebbero essere 1,7 miliardi le mascherine importate. Il 90 per cento degli articoli acquistati risulta provenire dalla Cina. Zennaro ha presentato anche un'interrogazione parlamentare, dove spiega che su quel materiale in arrivo dalla Cina è stato «autorizzato inoltre l'utilizzo di Dpi non marcati Ce privi di certificati che ne comprovino la reale efficacia». Per questo il deputato del gruppo Misto, spiega che «la provenienza dei singoli dispositivi di protezione individuale, come le mascherine, rappresenta una questione di interesse pubblico in termini di garanzia di sicurezza e rispetto dell'ambiente». Quali sono quindi i Paesi che inviano in Italia mascherine? Quali le società importatrici? Quali sono i volumi di fornitura da febbraio a settembre? Zennaro domanda soprattutto «se il governo intenda avviare una programmazione strategica nazionale per l'approvvigionamento di presidi utili contro il Covid-19 e quali iniziative intenda adottare per valorizzare le aziende italiane produttrici di Dpi marcati Ce». Al momento non è arrivata risposta. Non solo. Negli ultimi giorni a Roma è scoppiato anche il caso delle mascherine prodotte da Fca, una delle industrie più importanti nel nostro Paese. Alcuni genitori di alunni se ne sono viste recapitare a casa. Ma non riportano il marchio Ce, né sulla busta, né sulla mascherina stessa. Non hanno il ferretto per aggiustarle sul naso. E, contrariamente alle mascherine chirurgiche, hanno gli elastici sul lato lungo e non su quello corto. In teoria sono autorizzate, ma la confusione generale ha fatto correre ai ripari le famiglie che hanno fornito ai figli altre mascherine acquistate in farmacia, con marchi e certificazioni. Si attendono spiegazioni dal commissario straordinario. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arcuri-manda-nelle-scuole-le-mascherine-dei-cinesi-senza-la-certificazione-ce-2648220596.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="controlli-lumaca-sui-decessi-da-covid-medici-e-legali-invocano-trasparenza" data-post-id="2648220596" data-published-at="1602789334" data-use-pagination="False"> Controlli lumaca sui decessi da Covid. Medici e legali invocano trasparenza Nel nostro Paese, i morti fino ad oggi per Covid-19 e senza patologie pregresse potrebbero essere «solo» 1.296. Il numero, infinitamente più basso delle cifre ufficiali, è frutto di un semplice calcolo statistico elaborato sui dati forniti dall'Istituto superiore della sanità (Iss). A ragionare in base alle tabelle e non in astratto sulla ben minore letalità del virus rispetto allo spauracchio quotidiano in cui ci costringono a vivere da mesi, sono alcuni avvocati e medici di Trieste che formano il gruppo Presidio 2020. Attenti a tutte le violazioni dei diritti dei cittadini e della Costituzione perpetrate «con la scusa del lockdown», si sono resi conto che dei 36.051 decessi registrati da inizio epidemia sono state esaminate appena 4.400 cartelle cliniche. Poco più del 12% del totale. Su Epicentro, il sito di epidemiologia dell'Iss rivolto agli operatori del servizio sanitario nazionale, i dati aggiornati al 4 ottobre sono stupefacenti: solo 160 pazienti (il 3,6% del campione) non presentava altre patologie, quindi sarebbero certamente morti per il coronavirus. Quanto agli altri, 599 (il 13,6%) soffrivano già di una patologia; 874 (il 19,9%) di due e 2.767 (il 62,9%) presentavano tre o più infermità. «La prima questione, scandalosa, è perché procedano così a rilento nell'esaminare le cartelle. Poi, perché non pubblicizzino questi risultati, assieme a tanti altri di cui ci inondano?», osserva l'avvocato Pierumberto Starace che assieme ai colleghi Alessandra Devetag e Stefano Sibelja, al consigliere regionale del Friuli Venezia Giulia, Walter Zalukar, alla senatrice Laura Stabile e ad altri professionisti hanno dato vita a Presidio 2020. «La nostra conclusione è che non si voglia far sapere che i morti per Covid, senza altre patologie, sono stati solo il 3,6% dei decessi fino ad oggi. Preferiscono alimentare la psicosi dei morti». Il gruppo di avvocati e medici non si è limitato a segnalare un dato tranquillamente ignorato, sebbene ufficiale. Ha considerato che se la tendenza è la medesima con appena il 3,6% dei decessi che vengono attribuiti esclusivamente al virus, una volta esaminate tutte le 36.051 cartelle mediche risulteranno morte solo per Covid 1.296 persone. «Se uno aveva il diabete o altre complicanze, come si fa a metterlo nello stesso calderone?», si chiede Starace, ricordando che «anche i pazienti tornati negativi al tampone, se muoiono sono catalogati decessi Covid, come ha dichiarato il governatore del Veneto, Luca Zaia. Ma so anche di annegati finiti a “far numero" perché erano risultati positivi». L'avvocato commenta ironico: «È vero che i dati non contano molto per il premier Giuseppe Conte, secondo il quale i morti per Covid sarebbero 135.000, ma il governo ha l'obbligo di essere meno opaco sui decessi certi». Le cartelle cliniche dovevano essere già controllate da mesi, rendendo noti i risultati. Sono l'unico mezzo di indagine per accertare l'impatto dell'infezione sulla mortalità totale, dal momento che autopsie non se ne fanno o se ne autorizzano troppo poche. Lo scorso 29 luglio Stefano Manera, chirurgo, medico anestesista e rianimatore che aveva prestato servizio in modo volontario all'Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo durante l'emergenza Covid, commentava sui social: «Oggi in sede ufficiale, nel Parlamento Italiano, ho chiesto ragione sul perché le autopsie siano state negate, così come perché le domande sulle terapie non abbiano avuto risposta. L'unica risposta è stato ottenere l'avvio di un procedimento disciplinare nei miei confronti». Come già a maggio precisò Manera «la circolare diffusa il 2 aprile a tutti gli ospedali italiani dal ministero della Salute retto da Roberto Speranza, diceva: “Per l'intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all'esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid-19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio". Questa indicazione ministeriale risale già all'inizio dell'epidemia perché gli ospedali autorizzati a eseguire autopsie erano solo quelli dotati di sala autoptica con requisiti di sicurezza elevati». A detta di Manera «questa indicazione è stata interpretata e utilizzata come divieto nel marasma gestionale». Aggiunse: «Tutte le autopsie, tranne “quelle indispensabili", non erano da eseguire, lo comunicò il procuratore di Milano, Francesco Greco, in una circolare interna nella quale motiva a la decisione con “ragioni di sicurezza". C'era tra l'altro anche il problema del luogo in cui si sarebbero dovute svolgere, ossia l'ospedale cittadino Sacco, che risultava “già oberato" a causa del virus che aveva colpito soprattutto la Lombardia». Oggi, dal 12% delle cartelle mediche osservate sappiamo che i morti solo per Covid sono stati 160 sui 4.400 che ci vogliono far credere. Sarebbe ora che il ministro della Salute rendesse trasparenti questi dati, completando in tempi meno assurdi il controllo dei documenti sul percorso diagnostico terapeutico dei 36.051 pazienti fatti passare per morti da coronavirus. Uno spauracchio agitato in continuazione per costringerci ad accettare ogni restrizione imposta a colpi di Dcpm. «Tutto il sistema di soppressione e di forte compressione delle nostre libertà è illegale e non ha copertura legislativa sia a livello nazionale, sia a livello europeo», precisa l'avvocato Starace. «A differenza di altri Stati europei aderenti alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, l'Italia mai ha provveduto a segnalare le misure prese e i motivi che le hanno determinate. Questa è una violazione dell'articolo 15 della convenzione e come Comitato Rodotà abbiamo segnalato la violazione al Consiglio d'Europa. È ora allo studio un ricorso da presentarsi presso la Corte europea dei diritti umani».
(Totaleu)
«Strumentalizzazione da parte dei giornali». Lo ha dichiarato l'europarlamentare del Carroccio durante un'intervista a margine della sessione plenaria al Parlamento europeo di Strasburgo.