Banchi a rotelle, ventilatori polmonari e super siringhe. I disastri impuniti di Arcuri

- Finora i pm hanno toccato solo alcuni filoni della fallimentare gestione del Covid. Lo scandalo dei «mediatori d'oro» che hanno incassato 70 milioni di provvigioni.
- Ex Irisbus: in arrivo 16 milioni di euro. I manager passano da uno a due (nonostante i debiti).
Lo speciale contiene due articoli.
La lista degli acquisti miliardari (in euro) per contrastare la pandemia è lunga, melmosa e maleodorante. E da quando il boiardo di Stato Domenico Arcuri ha cominciato a fare avanti e indietro dalla sede della Protezione civile in qualità di commissario straordinario per l'emergenza in pectore, fino a quando, a marzo 2021 è stato rimosso dall'appena insediato Mario Draghi, anche la lista dei misteri nella gestione degli approvvigionamenti si è allungata quasi quanto quella della spesa. Ora l'ex premier Matteo Renzi chiede una commissione parlamentare d'inchiesta per fare chiarezza e nel suo libro, Controcorrente, edito da Piemme, ripercorre dal punto di vista del politico (che in piena emergenza ha aperto una crisi di governo) le fasi più critiche nella gestione targata Conte bis. Non mancano le sottolineature sull'assenza di trasparenza e una forte denuncia su chi ha fatto uscire notizie da un fascicolo d'inchiesta sull'approvvigionamento di mascherine. I buchi neri, come ha svelato La Verità, sono molteplici. E non lasciano fuori l'acquisto dei banchi a rotelle, che per un po' è stato al centro del dibattito. Complice anche l'avvicinamento dell'inizio delle scuole, un anno fa, in molti si interrogavano su quale fosse la reale utilità di quello strumento. Arcuri di banchi a rotelle ne ha acquistati 430.000 al prezzo di 119 milioni di euro. Ai quali si aggiungono i 199 milioni sborsati per quelli tradizionali. Il primo intoppo è arrivato dall'Anac (Autorità nazionale anti corruzione), che ad aprile ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione: «L'affidamento delle forniture di banchi e sedute tradizionali sembrerebbe essere avvenuta a un prezzo in media superiore a quello stimato». I banchi fortemente voluti dall'ex ministro dell'Istruzione, Lucia Azzolina, supportata da Arcuri, sarebbero costati, cada uno, 18 euro in più rispetto a quanto preventivato. Ma anche il rifornimento di ventilatori polmonari (il cui prezzo medio si aggira intorno ai 25.000 euro l'uno) è rimasto pieno di punti oscuri: 300 di quelli spediti in Piemonte sono rimasti nei magazzini perché malfunzionanti. Quelli del Lazio addirittura non erano a norma e sono stati ritirati. La Verità ha scoperto che la società che li aveva intermediati in una delle email finite nell'istruttoria dell'affidamento faceva riferimento a rassicurazioni ricevute da Massimo D'Alema, il politico che Arcuri l'ha rilanciato. Un capitolo importante, però, è quello delle mascherine. E di certo è l'affare (per i mediatori) più rilevante: 801 milioni di mascherine in cambio 1,25 miliardi di euro versati dalla struttura commissariale a tre consorzi cinesi è stato concluso dal giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, dall'imprenditore Andrea Vincenzo Tommasi e dall'ecuadoriano Jorge Solis. Un business che ha generato commissioni per oltre 70 milioni di euro. Un fascicolo della Procura di Roma, nel quale è finito anche Arcuri, sta cercando di ricostruire non pochi ipotizzati reati (a vario titolo tra gli indagati): peculato, ricettazione, riciclaggio, traffico di influenze illecite in concorso e aggravato dal reato transnazionale, illeciti amministrativi in materia di responsabilità amministrativa degli enti. E grazie alle intercettazioni si è scoperto che, tramite un suo sherpa, Arcuri aveva incontrato Benotti per fargli sapere che da quel momento non potevano più vedersi, dopo una soffiata da Palazzo Chigi (come confermato dallo stesso Benotti).
Ma non finisce qui. Grazie alla Procura di Gorizia si è scoperto pure che 250 milioni di mascherine comprate dalla struttura commissariale e sequestrate tra febbraio e maggio scorsi, erano fallate. E che il 2021 sia stato un anno a dir poco complicato per Arcuri lo dimostra anche un'inchiesta della Procura di Catanzaro: tra i nomi presenti nel fascicolo figura quello di Natale Errigo, stretto collaboratore del commissario. Il 21 gennaio scorso Errigo è stato arrestato con l'accusa di voto di scambio aggravato dal metodo mafioso, poi il Tribunale del riesame dopo aver riqualificato la contestazione in reato elettorale (senza aggravante mafiosa), ne ha disposto la scarcerazione e il trasferimento ai domiciliari. Le grane, però, non sono finite: tra gli acquisti con pecche di trasparenza c'è quello delle super siringhe: 157 milioni del tipo con cono e ago che si avvita, denominate luer lock. Le uniche, secondo l'ex commissario, in grado di estrarre sei dosi invece di cinque da ogni fiala del vaccino Pfizer. Circa 10 milioni di euro spesi, finiti al centro di due fascicoli aperti dalla Procura di Roma e dalla Corte dei conti del Lazio. Oltre ai costi, le super siringhe sono finite al centro delle polemiche anche per il loro funzionamento non proprio al top, come si è verificato anche al Pio Albergo Trivulzio di Milano.
Le primule, hub per i vaccini, invece, rappresentano senza dubbio il maggior fallimento della gestione commissariale targata Arcuri. I padiglioni temporanei, progettati dall'architetto Stefano Boeri, in cui sarebbero stati somministrati i vaccini agli italiani, sono stati cancellati all'arrivo del nuovo commissario Francesco Paolo Figliuolo. Ogni struttura sarebbe costata allo Stato 409.500 euro, per una spesa complessiva da 8.599.500. Prezzi pazzi, che Figliuolo ha evitato, spiegando: «Le strutture modulari non rispondono più in termini di aderenza ai requisiti necessari per garantire una risposta pronta agli scostamenti del rapporto esigenze di vaccinazione-somministrazioni, oltre che rappresentare una onerosità elevata se rapportata ad altre modalità ora in atto col nuovo Piano vaccinale». Parole che hanno il peso di un sette in condotta. La bocciatura, invece, l'ha firmata Draghi.
Ex Irisbus, ok all’aumento di capitale. Invitalia non lascia l’ad: raddoppia
Con una decisione degna di Re Salomone, l'assemblea dei soci di Industria italiana autobus (Iia) ha accontentato entrambi gli azionisti pubblici, nominando due amministratori delegati. Confermato quindi l'ad uscente, Giovanni De Filippis, indicato da Invitalia (che detiene circa il 42% delle quote), che verrà affiancato da Antonio Liguori, manager storico del gruppo Leonardo (che detiene circa il 28% delle quote, al pari della turca Karsan) già ad di Ansaldo Breda. L'assemblea dei soci ha anche approvato una ricapitalizzazione da circa 16 milioni di euro di Iia, obbligatoria dopo che le perdite dell'ultimo anno, circa 6 milioni di euro, erano andate a sommarsi a quelle risalenti agli anni precedenti. Adesso l'azienda nata dalle ceneri di due storici marchi del settore, la Bredamenarinibus e la Irisbus, da cui ha ereditato i due stabilimenti, quello di Bologna e quello ex Fiat di Flumeri in provincia di Avellino (dismesso da Fiat con la trasformazione del marchio Irisbus in Iveco bus) avrà quindi due figure di vertice. Probabilmente un unicum per una realtà industriale da 450 dipendenti, che permette però a Invitalia, di cui è ad l'ex commissario per l'emergenza Covid Domenico Arcuri (che pare essersi speso molto per la conferma di De Filippis) di mantenere un controllo forte sulla governance. Dopo la mediazione finale per stabilire l'importo dell'aumento capitale, mediato da Andrea Parrella, capo dell'ufficio legale di Leonardo, per il nuovo management di Iia la sfida da vincere sarà quella di essere competitivi nella partita dei fondi che il governo ha destinato alla mobilità e al trasporto pubblico locale attraverso il Recovery plan. Il Pnrr varato dal governo presieduto da Mario Draghi prevede infatti l'accelerazione dell'attuazione di quanto previsto dal del Piano strategico nazionale per la mobilità sostenibile stanziando tra l'altro fondi per «l'acquisto entro il 2026 di circa 3.360 bus a basse emissioni», con lo scopo di arrivare ad un «progressivo rinnovo degli autobus per il trasporto pubblico locale e la realizzazione di infrastrutture di ricarica dedicate». Un progetto che, visto il riferimento alla ricarica sembra più finalizzato verso mezzi a propulsione elettrica o ad idrogeno, che attualmente non sono presenti nella gamma di autobus prodotti da Iia. Nel novembre scorso, in un'intervista alla testata online specializzata Autobusweb De Filippis aveva espresso posizioni molto critiche rispetto all'elettrico: «Dal punto di vista ambientale è tutto da dimostrare che i veicoli elettrici siano ambientalmente più compatibili rispetto a quelli a metano. Se si considera tutta la filiera dalla produzione dell'energia elettrica, il costo di un mezzo full electric, le autonomie ridotte, lo spinoso tema dello smaltimento delle batterie esauste possiamo dire che oggi il bilancio è ancora a favore del metano. Evidentemente le tecnologie dell'elettrico stanno andando avanti in maniera molto rapida, di questo bisognerà tenerne conto in futuro».
Secondo le dichiarazioni dell'ad Iia dovrebbe comunque presentare quest'anno un primo mezzo elettrico, ma la concorrenza straniera, compreso il socio turco Karsan è già da tempo sul mercato con modelli a zero emissioni. Il rischio per l'azienda italiana, che negli ultimi tre anni ha portato avanti anche un importante processo di reshoring, riportando in patria tutte le attività che erano state delocalizzate in Turchia, è che se l'erogazione dei fondi per le stazioni di ricarica verrà interpretata alla lettera, i mezzi a metano come quelli di sua produzione vengano scartati a favore dell'elettrico della concorrenza per finanziare con il Recovery plan anche l'adeguamento dei depositi dei bus, dove a oggi in molti casi viene erogato solo gasolio, con la necessità di investimenti cospicui per la conversione al metano.






