
Pieri sostiene la linea della «Verità». E anche Collina suggerisce di rivedere le regole. Dalle chiacchiere da bar alle chiacchiere da Var, il calcio italiano è riuscito in un’impresa sulla carta titanica: introdurre uno strumento tecnologico per ridurre gli errori arbitrali e le conseguenti polemiche, sospetti e veleni, e ottenere l’effetto opposto, ovvero moltiplicare gli errori arbitrali, aggiungendo a quelli dei fischietti in campo quelli dei colleghi in sala monitor, e moltiplicare così polemiche, sospetti e veleni. L’episodio del calcio d’angolo assegnato all’Inter dal quale è scaturito l’autogol del vantaggio nerazzurro lunedì sera sulla Fiorentina è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: Bastoni crossa quando il pallone ha superato la linea di fondo di almeno 20 centimetri. Il Var? Non può intervenire perché il protocollo non lo consente. Risultato: quella immagine viene pubblicata milioni di volte sui social, sui siti e sui giornali, il clima diventa mefitico. Ieri La Verità ha rilanciato una proposta di puro buon senso e trasparenza: introdurre il Var a chiamata. Dare la possibilità all’allenatore o al capitano di una squadra di chiedere l’intervento del Var per un certo numero di volte in ogni match, richiamare l’arbitro al video e avere almeno la soddisfazione di sgomberare il campo da quella frase, «ma almeno valla a vedere!», che è entrata a far parte del lessico comune del popolo del pallone italiano. Tiziano Pieri, ex arbitro di Serie A, ieri ha messo il timbro dell’addetto ai lavori su questa proposta: «La soluzione migliore», ha detto Pieri, in riferimento alle feroci polemiche sugli arbitraggi, «è introdurre il Var a chiamata del quale si parla già da un po’. Il capitano o l’allenatore, una sola volta per tempo, può chiedere una on field review». Lo stesso Pierluigi Collina, icona dei fischietti globali, in una intervista a Repubblica, pur senza entrare nel merito della questione, ha suggerito di introdurre delle riforme. Certo, l’ok dovrebbe arrivare dall’ International Football Association Board, ma le resistenze sono tutte del sistema italiano, con il designatore Gianluca Rocchi contrario: «È chiaro che il Var a chiamata deresponsabilizza molto», ha detto Rocchi lo scorso 27 dicembre a Radio 1, «mettendo la responsabilità della chiamata in capo al club o all’allenatore». Secondo Rocchi, quindi, vanno nella direzione sbagliata i vertici internazionali di basket, hockey, karate, pallavolo, tennis, scherma, baseball e pure la Nfl, la leggendaria lega del football americano, che appena tre giorni fa ha celebrato l’evento del super bowl. Qui un coach non convinto della regolarità di un’azione al termine di questa lancia in campo un fazzoletto rosso e chiama l’arbitro al video per il cosiddetto «challenge». Può farlo per due volte a partita, che diventano tre se nelle prime due l’arbitro cambia decisione dopo aver rivisto l’azione. Negli ultimi due minuti, non si possono chiamare challenge per evitare che vengano usati per perdere tempo. Una procedura evidentemente troppo trasparente e lineare per essere adottata dal calcio italiano.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






