
Il 75% degli smartphone con la Mela è assemblato dal Dragone. Spinta da Donald Trump, Cupertino fa sapere di volersi svincolare. Dietro c'è lo zampino di Taiwan che manovra a favore del conflitto Pechino-Washington.C'è un nuovo capitolo nella guerra commerciale e tecnologica che, ormai da un anno, sta dividendo Stati Uniti e Cina. Foxconn, che figura tra i principali partner di Apple, non appare infatti troppo preoccupata per probabili blocchi alla produzione in Cina. La società ha non a caso fatto sapere ieri di essere perfettamente in grado di provvedere all'intera richiesta di iPhone negli Stati Uniti, producendo in territori diversi e aggirando dunque eventuali restrizioni di stampo politico o economico. A renderlo noto, è stato Young Liu, a capo della divisione semiconduttori dell'azienda, secondo cui: «Il 25% della nostra capacità di produzione è fuori dalla Cina e quindi possiamo aiutare Apple nelle sue necessità per il mercato statunitense. Abbiamo sufficiente capacità per eguagliare la domanda di Apple». In particolare, Foxconn potrebbe, nel caso, rivolgersi principalmente ai propri stabilimenti produttivi collocati in India. Senza dimenticare che, due anni fa, la società abbia accettato di realizzare una struttura in Wisconsin in cambio di oltre 4,5 miliardi di dollari in incentivi governativi. Un progetto che è tuttavia finito al centro di numerose polemiche, a causa di salari bassi e licenziamenti improvvisi. Pochi giorni fa, Foxconn ha tuttavia annunciato nuove assunzioni entro la fine del prossimo anno.La disponibilità mostrata dall'azienda costituisce comunque una notizia che dovrebbe almeno parzialmente alleviare le preoccupazioni dalle parti di Cupertino. Con il rinfocolarsi della guerra commerciale tra Washington e Pechino il mese scorso, Apple – la cui produzione è collocata quasi interamente in Cina – rischia di subire un dazio sull'importazione del 25%. Come ha recentemente notato Bloomberg, questa situazione sta quindi mettendo il colosso davanti a un'alternativa non di poco conto: o intaccare pesantemente i profitti della società o aumentare i prezzi di prodotti già in sé stessi costosi. In particolare, si stimerebbe un incremento dei prezzi compreso tra il 9 e il 16%, con un conseguente calo della domanda tra il 10 e il 40%. Non sarà stato del resto un caso che, poco dopo l'annuncio della nuova escalation tariffaria tra Stati Uniti e Cina, le azioni di Apple abbiano registrato una seria perdita in Borsa. E, proprio in quest'ottica, sono mesi che i vertici del colosso esercitano pressioni sulla Casa Bianca, per evitare l'imposizione di dazi ai danni degli iPhone. Certo è che, anche qualora Foxconn riesca a dar seguito alle sue assicurazioni sulla produzione fuori dal territorio cinese, sarà molto difficile per Cupertino restare totalmente incolume dagli effetti di questo nuovo capitolo della guerra commerciale tra Washington e Pechino.In generale, l'annuncio di Foxconn sembrerebbe inserirsi nel più complessivo quadro della strategia statunitense di rendere lo Zio Sam il più possibile autonomo dalla dipendenza economica e tecnologica cinese. Non è del resto da oggi che le tensioni tra Stati Uniti e Cina stanno assumendo connotazioni che vanno ben al di là della mera sfera commerciale. Un mese fa, la Casa Bianca ha siglato un ordine esecutivo che ha di fatto messo al bando Huawei. Una mossa, alla cui base sono non a caso ravvisabili molteplici ragioni. Innanzitutto, c'è una questione legata alla sfera militare e di intelligence: il Pentagono considera infatti il colosso cinese come una minaccia soprattutto per quanto riguarda la realizzazione della rete 5G. E, in questo quadro, le alte sfere dell'esercito americano hanno esercitato non poche pressioni, affinché la Casa Bianca adottasse una linea particolarmente dura. Ciò detto, il dossier Huawei è comunque finito nel mezzo delle dinamiche, connesse alla guerra tariffaria. Non va infatti dimenticato che, alcune settimane fa, Donald Trump abbia dichiarato che la questione possa essere risolta attraverso un più generale accordo commerciale con la Repubblica Popolare.Infine, non dobbiamo neppure trascurare alcune dinamiche geopolitiche. L'impegno di Foxconn a favore di Apple potrebbe forse andare anche al di là di ovvie considerazioni di natura economica (banalmente la società risulta non poco dipendente dalle sorti del colosso di Cupertino). Foxconn è infatti un'azienda taiwanese. E questo fattore potrebbe rivestire un significato particolare nelle relazioni tra Washington e Pechino. Certo: non bisogna trascurare che la società vanti profondi legami economici con la Cina. Ciononostante è altrettanto vero che, da due anni questa parte, Taipei si stia impegnando non poco per complicare i rapporti tra Washington e Pechino. Anche attraverso un'intensa attività di lobbying. Non dimentichiamo, per esempio, che qualche mese fa alcuni senatori repubblicani abbiano chiesto di invitare la presidentessa di Taiwan a parlare al Congresso e che, l'anno scorso, sia stato approvato il Taiwan travel act: una legge che incoraggia le visite tra funzionari statunitensi e taiwanesi. Una norma che, neanche a dirlo, dalle parti di Pechino non è stata apprezzata.
Maurizio Landini (Ansa)
La Cgil proclama l’ennesima protesta di venerdì (per la manovra). Reazione ironica di Meloni e Salvini: quando cade il 12 dicembre? In realtà il sindacato ha stoppato gli incrementi alle paghe degli statali, mentre dal 2022 i rinnovi dei privati si sono velocizzati.
Sembra che al governo avessero aperto una sorta di riffa. Scavallato novembre, alcuni esponenti dell’esecutivo hanno messo in fila tutti i venerdì dell’ultimo mese dell’anno e aperto le scommesse: quando cadrà il «telefonatissimo» sciopero generale di Landini contro la manovra? Cinque, dodici e diciannove di dicembre le date segnate con un circoletto rosso. C’è chi aveva puntato sul primo fine settimana disponibile mettendo in conto che il segretario questa volta volesse fare le cose in grande: un super-ponte attaccato all’Immacolata. Pochi invece avevano messo le loro fiches sul 19, troppo vicino al Natale e all’approvazione della legge di Bilancio. La maggioranza dei partecipanti alla serratissima competizione si diceva sicura: vedrete che si organizzerà sul 12, gli manca pure la fantasia per sparigliare. Tant’è che all’annuncio di ieri, in molti anche nella maggioranza hanno stappato: evviva.
Nel riquadro in alto l'immagine dei postumi dell’aggressione subìta da Stephanie A. Nel riquadro in basso un frame del video postato su X del gambiano di 26 anni che l'ha aggredita (iStock)
L’aggressore è un gambiano con una lunga fila di precedenti, però si era visto accordare la protezione speciale per restare in Italia. I clandestini sono 50 volte più pericolosi, ma sinistra e magistrati legano le mani agli agenti.
Vittime sacrificali di criminali senza pietà o effetti collaterali della «inevitabile» migrazione di massa? In questo caso il grande abbraccio che tanto intenerisce la Cei si concretizza con un pugno, una bottigliata, un tentativo di strangolamento, qualche calcione mentre era a terra, sputi, insulti. «Mi diceva che mi avrebbe ammazzata», scrive sui social Stephanie A., modella di origini brasiliane, aggredita lunedì sera nello scompartimento di un treno regionale Trenord della linea Ponte San Pietro-Milano Garibaldi, nella zona di Arcore. La giovane ha postato gli scatti dei colpi subìti ma anche alcune foto che ritraggono l’aggressore, fondamentali per identificarlo. Il suo appello non è caduto nel vuoto.
Per la sinistra, il crimine aumenta a causa dei tagli alle forze dell’ordine. Il governo ha assunto uomini, però polizia e carabinieri hanno le mani legate. Mentre le toghe usano i guanti di velluto con facinorosi e stranieri.
Ogni giorno ha la sua rapina e la sua aggressione. La maggior parte delle quali fatte da clandestini. L’ultima è quella compiuta da uno straniero su un treno lombardo ai danni di una modella. Ma nonostante l’evidenza dei fatti c’è ancora chi si arrampica sugli specchi per negare la realtà. Non sono bastati gli ultimi dati del ministero dell’Interno, che mostrano un aumento dei reati commessi da immigrati quasi sempre senza permesso di soggiorno o addirittura con in tasca un foglio di espulsione dal Paese.
Ansa
Utile oltre le stime a 1,37 miliardi nei primi nove mesi del 2025. Lovaglio: «Delisting per Piazzetta Cuccia? Presto per parlarne».





