2025-04-23
Antonio Staglianò: «Dentro i suoi occhi ho sempre visto un senso di sconfitta e di impotenza»
Antonio Staglianò (Imagoeconomica)
Il vescovo emerito: «Soffriva perché le sue parole per la pace non venivano ascoltate. Il dolore fisico era nulla a confronto».Antonio Staglianò è il presidente della Pontificia accademia di teologia, nominato il 6 agosto 2022 da papa Francesco. E vescovo emerito di Noto. Monsignor Staglianò, vive a Casa Santa Marta, la residenza di Papa Francesco. Ci racconta un aneddoto di un momento informale, che dia conto del modo di essere del pontefice? «Un aneddoto per me significativo che spiega bene la sua personalità è accaduto all’inizio del suo pontificato quando, dopo l’incontro con la Conferenza episcopale italiana, dopo che tutti i vescovi erano passati da lui per il baciamano, mi stavo dirigendo verso Santa Marta e parlavo al telefono con papà, che era molto sofferente. Vidi dietro di me il Papa con la sua borsa. Gli dissi: «Sto parlando con papà». Volle che gli dessi il cellulare e parlò per 5 minuti con mio padre. Chiacchierammo come se ci conoscessimo da sempre. Non aveva nessun sussiego per essere il Papa». Se n’è andato alle 7 e 35 del mattino del Lunedì dell’Angelo, il giorno in cui l’angelo si manifestò alle donne giunte al sepolcro annunciando la resurrezione del Cristo. Una coincidenza che fa riflettere...«Sì, una coincidenza che fa riflettere dal punto di vista della Provvidenza. Noi la chiamiamo Dio-incidenza. Chi conosce qualcosa del cristianesimo sa che la morte non è annientamento, ma trasformazione. Quindi, il fatto che papa Francesco sia morto il Lunedì dell’Angelo, lo assimila al messaggio della Resurrezione. Come dire: «Ecco, adesso è trasfigurato, adesso è risorto». In più, credo che ci sia una conferma profonda nel Lunedì dell’Angelo in rapporto al suo magistero, alla sua testimonianza d’amore. È la stessa cosa che racconta il Vangelo, quando Giovanni ricevette una voce dal cielo: “Questo è il Figlio mio, l’Eletto, seguitelo”. “Ora papa Francesco è trasfigurato, sta risorgendo, seguite la sua testimonianza”». Nella domenica di Pasqua, pur molto dolorante, ha voluto immergersi tra la folla, tra le persone, incontrandole, stringendo mani. «Papa Francesco si è voluto spendere fino alla fine. Il rapporto tra lui e il popolo è sempre stato molto intenso, un rapporto d’affetto fondato su gesti simbolici e non tante parole. Amava parlare poco ma offrire gesti di vicinanza, di prossimità, specialmente verso i più poveri, i più fragili. Ricordiamo, in questo giubileo, il suo pensiero per i carcerati. Diceva: “Perché loro e non io?”. Questa è una frase che, dopo la sua morte, manifesta il suo desiderio continuo di immedesimarsi nelle fragilità e nelle sofferenze degli altri. In questo vedo un grande tratto non solo cristiano ma anche cristologico, perché parla di Gesù, il Verbo di Dio che si è fatto carne. Una prossimità da buon samaritano. La carità cristiana prosegue, continua nel tempo. Diventò papa a 76 anni e una volta mi confidò: “È stata la Provvidenza”. Ha trasformato il linguaggio cristiano nella Chiesa cattolica e nel mondo intero». Il 16 marzo 2025 lei ha scritto: «Mentre qualche luce s’intravede nel tunnel del dolore della malattia di papa Francesco, la notte di un dolore più grande s’infittisce. È straziante che si parli di riarmo, per un Papa che ha sempre predicato la non violenza e il disarmo. È il momento del Getsemani: la sofferenza vera gli fa sudare sangue». I potenti della Terra l’hanno scarsamente ascoltato. Una sconfitta del modo di essere cristiani insegnato da Cristo?«Certo, è una sconfitta, anche di papa Francesco. Ma la croce stessa di Gesù è una sconfitta. Io credo che nel volto di papa Francesco, quello che abbiamo visto tutti quando è rientrato a Santa Marta, un volto gonfio per i tanti farmaci che stava assumendo... Nei suoi occhi ho sempre visto questo senso d’impotenza, di sconfitta e di grande sofferenza. Sono convintissimo che il dolore fisico di papa Francesco che offriva al Signore per la pace era nulla rispetto alla sofferenza interiore nel considerare che le sue parole restavano inascoltate. Mentre percepisce che la sua parola è inascoltata nel mondo la offre al crocefisso e sa che, entrando nello spessore della croce, prima o poi, questa sua sofferenza, lieviterà per la pace nel mondo, non semplicemente non belligeranza, ma pace vera, specialmente se si superano ingiustizie e iniquità strutturali. La pace è non aver bisogno di armi per mantenerla. Gesù Cristo disse: “Vi toglierò questo cuore di pietra e vi darò un cuore nuovo”. Quello che Francesco ha detto con l’enciclica Dilexit nos, il suo vero testamento spirituale per il terzo millennio, la risposta al metaverso di Zuckerberg e al possibile disastro dell’Intelligenza artificiale, a quel paradiso della tecnica che, diceva Emanuele Severino “sarà l’inferno degli umani”».La mattina di Pasqua, papa Bergoglio ha ricevuto il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance. Un uomo al capolinea della sua esistenza terrena che tenta fino all’ultimo un dialogo per cercare la pace. «Credo che quello dell’incontro con Vance sia un segno che, nel futuro, dovrà essere meglio compreso per il suo significato teologico. Papa Francesco ha portato avanti ciò che il Concilio Vaticano II aveva nominalmente già prodotto: la fine del primato del Papa come sovrano. Con il Concilio Vaticano II il potere temporale viene progressivamente dismesso e papa Francesco ha dato un’accelerazione a questo processo, portandolo a compimento. Il vescovo di Roma è capo di uno Stato sovrano, ma il potere dei re non lo vuole avere. Vuole invece avere un grande potere morale. Credo che per noi cattolici questo incontro con Vance abbia voluto dire questo: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La coscienza dell’essere umano deve ascoltare il messaggio del magistero spirituale del vescovo di Roma, figlio dell’unità della Chiesa. Quella di Francesco è una voce che parla alla coscienza dei potenti, li interpella nelle fibre più profonde del loro cuore. La politica e il potere sono al servizio dell’umanità o per dominare gli esseri umani e distruggerli?».Francesco ha rinunciato all’appartamento papale e a oggetti evocanti opulenza. Ha manifestato tentativi di comprensione per gli omosessuali, senza mai dimenticare l’obiettivo generale della castità nella Chiesa, e aperture per la possibilità di comunicarsi per i divorziati. Fermo nel giudizio negativo su aborto ed eutanasia. I conservatori hanno visto possibili derive, i progressisti l’hanno accusato di essere conservatore. Forse cercava soltanto di comprendere un mondo molto complesso, sollecitazione in fondo, anche evangelica? «Quello del magistero di Francesco è stato il linguaggio dei segni. Segno è qualcosa di chiaro e visibile, ma non ti puoi accontentare del significato superficiale. Invece di stare nel palazzo apostolico, pone un segno. I vescovi sono i successori degli apostoli e non dei faraoni. Per cui la Chiesa trionfalista sorta dopo Costantino, costruita con vescovi conti, vescovi baroni, feudatari, una cristianità assurda e finita. Quanto alle coppie divorziate o “irregolari”, e la questione degli omosessuali come questione a parte, il Papa si è mantenuto assolutamente fermo sulla dottrina di sempre, sul matrimonio cristiano e sulla dignità infinita della persona. Per queste persone che si sono sentite fuori dalla Chiesa, estranee, papa Francesco ha voluto, nella sua misericordia, porre dei segni e dare loro la possibilità e di restare nella Chiesa in un cammino spirituale in cui non si sentano completamente estranei e possano avviare un percorso pur faticoso di avvicinamento, di riconoscimento della dottrina della Chiesa sull’amore. Certo, Amoris laetitia ha infastidito tanto a destra quando a sinistra. E questo dimostra la posizione di centro assunta da un Papa con grande apertura. È una questione di cammino nella fede non fatta con l’accetta delle regole e dei regolamenti. È questione di vita interiore, d’incontro con Gesù. La Chiesa indica la via. Papa Francesco ha annunciato la misericordia». Francesco può aver avuto, nel suo intimo, l’umano timore di andare nel Purgatorio, per qualche ragione? «Se si va a leggere la pagina che Benedetto XVI ha scritto sul Purgatorio, potrebbe essere un’esperienza bella e interessante, in vista del Paradiso... Il vero problema della vita del cristiano è che non si vada all’Inferno. Papa Francesco sicuramente ha obbedito al comandamento di Gesù. Ha potuto fare errori di valutazione su persone di cui si è attorniato, può aver ferito la sensibilità di alcune persone, ma per amore della Chiesa».
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