2024-12-15
L’antifa ossessivo che si sente il Duce dei libri
Antonio Scurati (Getty Images)
Antonio Scurati, rimasto intrappolato nella biografia di Mussolini, con i colleghi usa il manganello. Mentre è convinto di meritarsi una medaglia dall’Anpi per una mancata ospitata in Rai. Da quando interpreta il ruolo di vittima ha un nuovo nome: l’oScurato.Venerdì 25 aprile 2025, Natale degli antifascisti, si festeggeranno gli 80 anni dalla Liberazione, la fine - evviva - della dominazione di nazisti e camicie nere.Ma rimarremo ostaggi dell’ennesimo capitolo della saga, ricchissima saga M. sul Duce, di Antonio Scurati: «Quel giorno vorrei dare alle stampe il quinto - e ultimo - volume. Vorrei fosse il mio contributo al 25 aprile». E anche, sfruttando la ghiotta occasione per il marketing editoriale, al proprio conto corrente - il che non guasta, sia detto con somma invidia - per la serie Va’ dove ti porta l’iban, se la citazione obliqua di Susanna Tamaro non indispone. Ha aggiunto Scurati: «Non escludo che potrei sconfinare in un altro medium. Ovviamente non sulla Rai».Dove però è «ovviamente» tornato, nell’indifferenza dei più, lo scorso novembre, ospite di Marco Damilano su Rai 3, a sei mesi da «quer pasticciaccio brutto de viale Mazzini». Dopo i giorni di fuoco del 2024 (titolo d’apertura - no, dico: di apertura - di Repubblica del 23 aprile: «Scurati scuote la destra»), ecco quindi che già si prefigura la catastrofe mediatica prossima ventura. A Natale il quarto tomo, a Pasqua il quinto, e sempre sia lodato/l'antifascismo di mercato.Ma attenzione, amici & compagni: non si può, non si deve evocare Scurati dimenticando la brutale censura di cui fu vittima in primavera. Ricorderete la tragedia. Invitato da Serena Bortone nel suo programma Rai, si ritrovò con il contratto annullato. Bortone denunciò il tutto «con sgomento» su Instagram. Risultato? I social-indignados scatenarono un bombardamento virtuale da far impallidire quello degli alleati su Dresda nel 1945. Innalzando agli altari antifascisti non solo Bortone (di colpo trasformata in una pasionaria a metà strada tra Rosa Luxemburg e Dolores Ibárruri, con tanto di cover dell’edizione digitale di Vanity Fair), ma soprattutto Scurati, facendolo diventare l’oScurato per antonomasia, l’ultimo martire da palcoscenico, categoria che a sinistra ha ormai solo posti in piedi.Tutto merito degli illuminati dirigenti della tv di Stato, che sono entrati a gamba tesa sulla prevista ospitata, realizzando un fulgido esempio di eterogenesi dei fini. Non volendo che dell’argomento e dell’autore annunciati si parlasse, oscurando Scurati hanno creato le condizioni perché non si smettesse per giorni di discutere di lui e del suo mancato intervento (peraltro finito in Rete ancora prima di essere scritto). Un capolavoro comunicativo. Stigmatizzato perfino dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, cofondatore di Fratelli d’Italia, democristiano prima, berlusconiano poi, antifascista sempre: «Un diktat fuori dal tempo. Censurare qualcosa oggi significa dargli una spinta mediatica fortissima e moltiplicare la forza di un messaggio». D’emblée, Scurati non è più stato solo lo scrittore da centinaia di migliaia di copie vendute, ma un’icona della rinnovata Resistenza, un novello Roberto Saviano.Che però, davanti al sorpasso dell’ultimo arrivato sul Golgota, ha scandito, come Oscar Luigi Scalfaro buonanima: «Io non ci sto». E come mai? Perché, si è lamentato il Gomorrense, «quando è successo a me, in molti hanno taciuto». Fornendo quindi uno strepitoso argomento a chi sospetta che l’antifascismo, per tanti, sia un comodo taxi di moda su cui saltare: «È un valore condiviso. L’antimafia invece non lo è, quindi non ci si muove o si reagisce con egual solerzia», ecco.Scurati c’ha messo del suo, per acquisire l’aura del perseguitato numero uno.Ha gagnolato: «Quando il capo (leggi: Giorgia Meloni) punta il dito contro il nemico e i “giornasquadristi” fiancheggiatori del governo ti mettono sulle prime pagine, con il titolo sotto “l’uomo di M.”, ti disegnano in faccia un bersaglio. Poi magari qualcuno che mira a quel bersaglio c’è. Succede, è già successo».In verità, 20 anni fa fu l’allora trentaseienne scrittore a convertire in un target Bruno Vespa, in occasione del premio Campiello vinto con il suo Il sopravvissuto, ex aequo con Pino Roveredo. Dall’Unità del 19 settembre 2005: «Dopo aver criticato il modo di fare informazione tipico di trasmissioni come Porta a porta, a una battuta di Vespa che gli chiedeva se avrebbe potuto uccidere (come il protagonista del suo libro, nda) qualcuno degli altri quattro finalisti per intascare il premio, Scurati ha risposto: «Se stasera dovessi uccidere qualcuno, quello sarebbe lei». Però. Scurati spiegherà poi che il suo era un attacco al giornalismo tv di Vespa, espresso in modo «evidentemente scherzoso e sarcastico», considerato tale però solo da lui. Tanto più che tra le caratteristiche del suo carattere spiccherebbero ombrosità, suscettibilità e scarso sense of humour. Anche nei confronti dei colleghi. Pescando random dal passato: Federico Moccia? «Un nemico della civiltà letteraria». Carlo Lucarelli? «Ultimamente si limita a fare il narratore». Massimo Carlotto? «In Nord-Est lo storytelling è un alibi per nascondere la vacuità». Giancarlo De Cataldo? «Romanzo criminale è sopravvalutato». In che senso? «Sul modello di Io non ho paura di Niccolò Ammaniti, è transmediale, sembra una sceneggiatura in attesa di diventare film». Proprio come M., si potrebbe allora obiettare, divenuta una serie tv dal budget, dicunt, esagerato. Tornando alla «sparata» su Vespa. Detto che per me era fuori luogo pure la domanda del conduttore, cosa dire della replica? Che cozza con la posa da guru, anzi: paraguru, gandhiano e non-violento assunta dopo essere stato trasfigurato in eroe civile, «un intellettuale solo contro un moloch che è il governo», ipse dixit nei vari talk in cui via via è rimbalzato, alla faccia del bavaglio, da Nove a La7. Contraddicendo lo Scurati che - già docente di Teoria e tecnica della comunicazione televisiva a Bergamo - ce l’aveva con la tv: «Non accetto che domini tutto, anche la premiazione di un concorso letterario. Gli scrittori con il loro linguaggio dovrebbero mantenere un atteggiamento antagonista rispetto alla tv». Ripensandoci in seguito, visto che è arrivato per tre volte alla finale del premio Strega, sempre trasmessa dalla Rai, vincendolo nel 2019 proprio con il primo capitolo della torrenziale biografia del capo del fascismo, M. Il figlio del secolo. Candidatura che era stata ufficializzata con il consueto low profile: «Vivo la mia partecipazione come una spinta di impegno civile. Sono convinto che questo libro possa contribuire al risveglio di una coscienza democratica». Nientemeno. Anche qui, avanzando rinculando: «Dopo la seconda volta nel 2014 avevo giurato mai più, non solo con lo Strega, ma con questo coté mondano dell’attività di scrittore». Mai più. Poi però ha rivisto le sue posizioni, aridanga, anche rispetto al piano dell’opera, che giurava sarebbe stata una trilogia:«Per me è sufficiente». E infatti siamo arrivati a cinque volumi, perché di Mussolini non si butta via niente. L’oScurato non è stato nemmeno danneggiato dalle stroncature. Come quella di Gianluigi Simonetti, che davanti a frasi come «Mussolini guarda (una donna) elettrizzato come se le colasse un rivolo di sperma all’angolo della bocca», ha commentato sul Sole 24 Ore del 3 aprile 2019: «Un Duce pieno di cliché. Tutto è enfatico, greve e spiattellato. I personaggi sono sbozzati attraverso caratterizzazioni brutali». Per non parlare di Ernesto Galli Della Loggia. Il quale sul Corriere della Sera ha segnalato una serie di macroscopici svarioni storici - per esempio, con caustica ironia: «Antonio Salandra, presidente del Consiglio che decise l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, “porta sulla coscienza 6 milioni di morti” (un antesignano pugliese di Adolf Hitler insomma)» - dovuti alla «devastante mancanza di editing nella maggior parte dell’editoria italiana», esempio del «modo raffazzonato con cui da noi si è ormai soliti fare troppe cose». «M. non è un saggio storico», ma una fiction «in cui d’inventato non c’è nulla», ha ribattuto Scurati, del resto «il romanzo deve invaginare (eh?) ogni altra forma del sapere». A proposito di invaginamenti: Scurati tende a confrontarsi con colleghi maschi. Nel 2007 organizzò a Milano un festival sulla creatività. Chiamò Roberto Saviano, Alessandro Baricco, Luciano Canfora, Alessandro Piperno, Carlo Lucarelli, Maurizio Maggiani e Gabriele Salvatores (per affrontare - da regista - il ruolo del libro in una civiltà dominata dalle immagini, chiodo fisso dello studioso Scurati, che come dimostrato detesta la pervasività della tv, salvo sedersi in uno studio appena lo convocano. Nel 2008 espresse addirittura l’intenzione di stilare un appello al governo per garantire agli intellettuali uno spazio in tv, progetto rimasto lettera morta, e per fortuna). Donne? Zero. Scurati mise le mani avanti: «Il prossimo anno sarà tutto dedicato alle donne e ai transgender». Non se ne fece nulla. Peccato. Un suggerimento, Scurati: rispolveri l’idea. In questi tempi bui di fascismo patriarcale, vuoi mettere il clangore intorno a un raduno sulla letteratura trans? Altro che M.
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