
Dietro l'attacco «xenofobo» all'abitazione dell'ex ministro Kyenge c'è, in realtà, un vicino esasperato: «Non ha mai raccolto le feci dell'animale». Ma lei non demorde: «È tutta una scusa, sfruttano il mio cucciolo per mascherare un crimine di odio».Per manifestarle solidarietà si è mosso mezzo Pd, tutta la sinistra e pure il sottobosco antirazzista. Tutti a gridare allo scandalo xenofobo, che farebbe anche gioco adesso che la Lega vola così alto. Invece gli escrementi con cui qualcuno ha sporcato i muri dalla casa modenese dell'europarlamentare dem, Cecile Kyenge, non erano mossi da una mano razzista e rancorosa contro le lotte a favore dello ius soli. Bensì erano quelli del cane di famiglia, che un vicino esasperato ha rilanciato all'interno del cancello, dopo averli per l'ennesima volta calpestato uno, non raccolto, per strada.La tragicommedia ha tenuto banco per tutto il week end nel capoluogo emiliano, dove risiede l'eurodeputata, già ministro per l'Integrazione durante il governo di Enrico Letta. Svegliandosi sabato mattina, Kyenge, o chi per lei, visto che l'europarlamentare per lavoro è spesso fuori casa, ha trovato i muri dell'abitazione di famiglia, che si trova a Gaggio in provincia di Modena, imbrattati di sterco. Nessuna scritta, nessuna minaccia, solo qualche cacca qua e là sparsa sul muro. Oro colato, politicamente parlando, per un partito allo sfascio. E, infatti, poche ore dopo apriti cielo: tutti a gridare all'attentato razzista, alimentato (questo era sottinteso) dalla caduta del Pd, unico baluardo contro l'avanzare della pericolosa ondata di populismo e di intolleranza. «Cécile è stata colpita per il suo impegno a favore dell'integrazione multiculturale e le modalità barbare e violente dell'atto vandalico, deturpando persino le pareti della sua abitazione, centro degli affetti, rendono il gesto particolarmente esecrabile e da condannare. La violenza non sconfiggerà mai le idee», tuonava il sindaco di Modena, Giancarlo Muzzarelli. «L'atto di vandalismo avvenuto la notte scorsa è davvero inquietante. Non si può non guardare con preoccupazione al moltiplicarsi, di iniziative di questo tipo, che costituiscono un attacco preoccupante alla libertà di pensiero e di azione politica», rincarava la dose l'ex senatrice Maria Cecilia Guerra, già sottosegretario all'Economia nel governo Monti e viceministro durante la legislatura di Letta.«Ogni atto razzista indica la miseria umana e l'abisso morale di chi lo compie. Piena solidarietà e vicinanza alla Kyenge per il suo impegno a favore della convivenza e della integrazione multiculturale», gli faceva eco, tra gli altri, Piero Fassino.L'unico ad avere qualche sospetto che si trattasse sostanzialmente di una grande bufala era stato l'ex senatore Carlo Giovanardi che con una nota inviata alle redazioni locali, cercava di mettere in guardia da sonori scivoloni: «Se l'accaduto risultasse doloso andrebbe perseguito, ma per ora certe dichiarazioni appaiono assolutamente incendiarie e rischiano ancora una volta di evocare un razzismo che per fortuna non è nelle corde dei modenesi», scriveva già nel pomeriggio di sabato.E infatti, a distanza di poche ore, ecco palesarsi la verità, dotto forma di dichiarazioni spontanee rese alla redazione modenese del Resto del Carlino, da parte di un vicino di casa della famiglia Kyenge. Per nulla razzista ma esasperato dai comportamenti del marito dell'onorevole. E probabilmente spaventato dal clamore che l'episodio stava assumendo a livello mediatico. «Non si è trattato di atto xenofobo ma di un gesto di esasperazione verso un atteggiamento incivile», ha spiegato l'uomo confessando il gesto. «Perché l'ho fatto? Semplice: suo marito non raccoglie mai le deiezioni del loro cane di grossa taglia e all'ennesimo episodio non ci ho visto più: ho rimosso le feci e le ho gettate nel giardino». A sentire l'uomo, la storia è di lungo corso. «Più di una volta abbiamo visto coi nostri occhi che lasciava il cane farla dove capitava e lo abbiamo invitato a smetterla», ha aggiunto il reo confesso. «È da tempo che accade la stessa cosa e non sono l'unico ad essermi stancato», più volte «l'ho richiamato e lui si è giustificato dicendo che non se n'era accorto». Giovedì la goccia che ha fatto traboccare il vaso: «Camminavo sulla ciclabile, ero distratto e sono finito col piede dritto sui bisogni voluminosi del cane. Ammetto che mi si è chiusa la vena, ho raccolto tutto e ho gettato l'escremento nel loro giardino sporcando anche il muro», ha spiegato. «E poiché il giorno dopo la cosa si è ripetuta esattamente uguale ho messo tutto in un fazzoletto e poi l'ho lasciato davanti al cancello della villetta», ma «senza mai entrare nel giardino, e soprattutto senza altro intento che sfogarmi». Ovviamente ammettere di essere stata presa di mira per le feci del proprio cane anziché per le proprie battaglie politiche non è piaciuto all'europarlamentare. Che della spiegazione del vicino non si accontenta: «A memoria mia e di tutta la nostra famiglia, non abbiamo ricordo di liti con i nostri vicini. Mi pare, invece, un tentativo di attribuire al nostro cane le responsabilità di un gesto d'odio compiuto proprio contro di me e la mia famiglia», ha ribadito ieri, prima su Facebook poi con un comunicato di partito, Kyenge annunciando di avere, comunque, sporto denuncia.
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Aperto fino al 30 settembre il 4° Maxi Avviso ASMEL, che aggiorna le liste per 37 profili professionali. Coinvolti 4.678 Comuni soci: la procedura valorizza la territorialità e punta a rafforzare i servizi pubblici con personale radicato.
È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)
Il governatore forzista della Calabria, in corsa per la rielezione: «I sondaggi mi sottostimano. Tridico sul reddito di dignità si è accorto di aver sbagliato i conti».
Marco Minniti (Ansa)
L’ex ministro: «Teniamo d’occhio la Cina su Taiwan. Roma deve rinsaldare i rapporti Usa-Europa e dialogare col Sud del mondo».
Attilio Fontana e Maurizio Belpietro
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Lombardia avverte: «Non possiamo coprire 20 mila ettari di campi con pannelli solari. Dall’idroelettrico al geotermico fino ai piccoli reattori: la transizione va fatta con pragmatismo, non con imposizioni».
Nell’intervista con Maurizio Belpietro, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana affronta il tema dell’energia partendo dalle concessioni idroelettriche. «Abbiamo posto fin da subito una condizione: una quota di energia deve essere destinata ai territori. Chi ospita dighe e centrali subisce disturbi e vincoli, è giusto che in cambio riceva benefici. Per questo prevediamo che una parte della produzione venga consegnata agli enti pubblici, da utilizzare per case di riposo, scuole, edifici comunali. È un modo per restituire qualcosa alle comunità».
Investimenti e controlli sulle concessioni. Belpietro incalza: quali investimenti saranno richiesti ai gestori? Fontana risponde: «Non solo manutenzione ordinaria, ma anche efficientamento. Oggi è possibile aumentare la produzione del 10-15% con nuove tecnologie. Dobbiamo evitare che si ripeta quello che è successo con le autostrade: concessioni date senza controlli e manutenzioni non rispettate. Per l’idroelettrico serve invece una vigilanza serrata, con obblighi precisi e verifiche puntuali. La gestione è più territoriale e diretta, ed è più semplice accorgersi se qualcosa non funziona».
Microcentrali e ostacoli ambientali. Sulla possibilità di nuove centrali idroelettriche, anche di piccola scala, il governatore è scettico: «In Svizzera realizzano microcentrali grandi come un container, che garantiscono energia a interi paesi. In Italia, invece, ogni progetto incontra l’opposizione degli ambientalisti. Anche piccole opere, che non avrebbero impatto significativo, vengono bloccate con motivazioni paradossali. Mi è capitato di vedere un’azienda agricola che voleva sfruttare un torrente: le è stato negato il permesso perché avrebbe potuto alterare di pochi gradi la temperatura dell’acqua. Così diventa impossibile innovare».
Fotovoltaico: rischi per l’agricoltura. Il presidente spiega poi i limiti del fotovoltaico in Lombardia: «Noi dobbiamo produrre una quota di energia pulita, ma qui le ore di sole sono meno che al Sud. Per rispettare i target europei dovremmo coprire 20 mila ettari di territorio con pannelli solari: un rischio enorme per l’agricoltura. Già si diffonde la voce che convenga affittare i terreni per il fotovoltaico invece che coltivarli. Ma così perdiamo produzione agricola e mettiamo a rischio interi settori».
Fontana racconta anche un episodio recente: «In provincia di Varese è stata presentata una richiesta per coprire 150 ettari di terreno agricolo con pannelli. Eppure noi avevamo chiesto che fossero privilegiate aree marginali: a ridosso delle autostrade, terreni abbandonati, non le campagne. Un magistrato ha stabilito che tutte le aree sono idonee, e questo rischia di creare un problema ambientale e sociale enorme». Mix energetico e nuove soluzioni. Per Fontana, la chiave è il mix: «Abbiamo chiesto al Politecnico di Milano di studiare un modello che non si basi solo sul fotovoltaico. Bisogna integrare geotermico, biomasse, biocarburanti, cippato. Ci sono molte fonti alternative che possono contribuire alla produzione pulita. E dobbiamo avere il coraggio di investire anche in quello che in Italia è stato troppo a lungo trascurato: il geotermico».
Il governatore cita una testimonianza ricevuta da un docente universitario: «Negli Stati Uniti interi quartieri sono riscaldati col geotermico. In Italia, invece, non si sviluppa perché – mi è stato detto – ci sono altri interessi che lo frenano. Io credo che il geotermico sia una risorsa pulita e inesauribile. In Lombardia siamo pronti a promuoverne l’uso, se il governo nazionale ci darà spazio».
Il nodo nucleare. Fontana non nasconde la sua posizione favorevole: «Credo nel nuovo nucleare. Certo, servono anni e investimenti, ma la tecnologia è molto diversa da quella del passato. Le paure di Chernobyl e Fukushima non sono più attuali: i piccoli reattori modulari sono più sicuri e sostenibili. In Lombardia abbiamo già firmato con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica un accordo per sviluppare Dal confronto con Belpietro emerge un filo conduttore: Attilio Fontana chiede di mettere da parte l’ideologia e di affrontare la transizione energetica con pragmatismo. «Idroelettrico, fotovoltaico, geotermico, nucleare: non c’è una sola strada, serve un mix. Ma soprattutto servono regole chiare, benefici per i territori e scelte che non mettano a rischio la nostra agricoltura e la nostra economia. Solo così la transizione sarà sostenibile».
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