2025-04-26
Il nuovo pontefice si sceglie meglio con lo stomaco pieno
Cibi vari ma frugali ai cardinali in conclave. Per spronarli nel 1271 li misero a pane e acqua. Nel 1903 i funghi ne intossicarono ben 50.«Extra omnes» e «Habemus papam». Sono le due formule rituali che da secoli aprono e chiudono un conclave. Così sarà anche per quello che tra pochi giorni si riunirà per eleggere il successore di papa Francesco. Toccherà a monsignor Diego Ravelli, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie pronunciare l’«Extra omnes», il «Fuori tutti». Più che un invito rivolto a chi non è cardinale elettore a lasciare la Cappella Sistina, suona come un ordine: chi non vota, sgombri prima che le porte siano sigillate cum clave, con la chiave.Sotto la volta michelangiolesca dove il dito di Dio tocca quello di Adamo, ci devono stare soltanto gli alti prelati della Chiesa cattolica che lavorano per scegliere tra loro, colui che dalla Sistina uscirà Papa. L’altra formula, Habemus papam, è diventata talmente popolare che non ha bisogno di spiegazioni. È l’annuncio che il cardinale proto diacono, il decano dei porporati, dà dalla loggia centrale di San Pietro presentando urbi et orbi il pontefice appena eletto.Ma, e qui s’innesta l’argomento che ci interessa, tra la prima e la seconda formula possono passare giorni. A volte tanti, a volte pochi come è successo nel 2005 quando Benedetto XVI fu eletto dopo due giorni di conclave e quattro votazioni o come è avvenuto nel 2013 quando fu designato Jorge Mario Bergoglio dopo due giorni e cinque scrutini. Pochi o tanti che siano i giorni, i principi della Chiesa segregati, senza alcun contatto col mondo (vietati cellulari, dispositivi elettronici, tv, radio) oltre a pregare, discutere, votare, devono anche nutrirsi. Ora et labora, va bene, ma non sono fatti di ferro, devono pur manducare i 135 i cardinali elettori (due hanno annunciato che non parteciperanno per motivi di salute). Tenendo conto che molti di loro hanno più di 70 anni.Quale menù sarà servito nel rispetto assoluto della clausura dei cardinali elettori? Nel conclave del 2013 i giornalisti vaticanisti riferirono che furono serviti cibi semplici, piatti comuni alla tradizione italiana apprezzati anche dai cardinali esteri. Furono tre i pasti quotidiani: una colazione frugale con scelta tra caffè, caffelatte o tè, pane fresco, marmellata; un pranzo con un primo scelto tra zuppe, vellutate, tortellini o pastasciutte e un secondo di carne o pesce con contorno di verdure; cena in linea col pranzo, ma più leggera. Il vino è permesso. Nonostante gli anatemi di Silvio Garattini, il ricercatore di fama mondiale che lo ha recentemente demonizzato («Il vino è pericoloso come il fumo»), sulla mensa dei cardinali qualche buona bottiglia ci sarà. Non fu, del resto, proprio papa Francesco in un’omelia sulle nozze di Cana a dire «Senza vino non c’è festa»? La storia gastronomica dei conclavi inizia di fatto con un menù da galeotti: pane e acqua. Accadde nel conclave di Viterbo dove si riunì il Sacro Collegio dopo la morte di Clemente IV. Fu il più lungo conclave della storia, iniziato nel settembre del 1268 e finito nel settembre del 1271, dopo 1.006 giorni, quasi tre anni. Pochissimi, solo 13, i prelati chiamati ad eleggere il nuovo Papa, ma ben divisi dalla politica terrena: da una parte i guelfi filofrancesi dall’altra i ghibellini filotedeschi. Le lungaggini esasperarono il popolo viterbese che, non potendone più del tira-e-molla, chiuse i prelati a chiave (clausi cum clave) nella sala grande del Palazzo dei Papi. La segregazione non servì. Si arrivò, allora, a scoperchiare il tetto dell’edificio in cui i 13 erano chiusi. Nemmeno questo servì. L’elezione fu accelerata solo quando i prelati vennero messi a pane a acqua. Dove mente e cuore non arrivarono, arrivò lo stomaco. Fu eletto un estraneo al Sacro collegio, Tebaldo Visconti, che non era nemmeno prete e, in quel momento, si trovava in crociata in Terrasanta. Visconti, prima fatto prete poi incoronato Papa a Roma il 27 marzo 1272 con il nome di Gregorio X, memore dell’intollerabile lunghezza del conclave di Viterbo, dettò le regole per i futuri conclavi. Prima di tutto, confermò l’assoluta clausura dei cardinali elettori; poi, vista l’importanza degli stomaci per i principi della Chiesa, stabilì che se dopo tre giorni dall’inizio dell’elezione non fosse ancora stato votato il nuovo papa, agli illustri elettori sarebbe stato ridotto drasticamente il cibo: un solo piatto a pranzo e uno solo a cena. Se, nonostante, questo il conclave si fosse attardato a eleggere il nuovo Papa, dopo altri cinque giorni l’unico cibo concesso sarebbe stato un rosicchiolo di pane, un po’ d’acqua e un po’ di vino. Funzionò: morto Gregorio, nel conclave che seguì nel 1276 ad Arezzo, il nuovo Papa venne eletto in un giorno.Ma le regole di papa Gregorio non durarono a lungo. Nel Rinascimento, periodo di grandi artisti e di grandi cuochi, cardinali e Papi si erano talmente abituati a mangiare bene che anche il menù dei conclavi divenne superstellato. Ce lo racconta l’Alain Ducasse di quell’epoca: Bartolomeo Scappi, «cuoco secreto», cioè privato, di papa Pio V. Scappi, tra una ricetta e l’altra rivela nel libro Opera come vennero organizzati i lavori in cucina e quali piatti vennero serviti ai cardinali segregati nel conclave che seguì alla morte di Paolo III, dal 29 novembre 1549 al 7 febbraio 1550, con elezione finale di Giulio III. Scappi dimostrò in quell’occasione il genio che era: curò i pasti dei cardinali con grande arte gastronomica. Ogni pasto prevedeva quattro servizi, due freddi e due caldi, ognuno dei quali composti da otto-dieci portate. Ecco qualche piatto del servizio freddo: lingue di manzo cotte nel vino; prosciutto cotto con capperi, uvetta e spolverata di zucchero; pasticcio di capriolo ricoperto di zucchero, pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata e fiori di finocchio. Quello caldo: anatra con prugne e visciole secche; tordi arrostiti con salsicce e arance; storni stufati con cervellate e cardi; pollastrelli ripieni con limone, zucchero e acqua di rose.Un altro conclave passato alla storia per un menu malandrino fu quello del 1903 che si concluse con l’elezione di Giuseppe Sarto, papa Pio X. Fu detto il «conclave dei veleni» per le tossine politiche che lo precedettero e lo accompagnarono fin dentro la Cappella Sistina dove un cardinale si fece portavoce dell’imperatore d’Austria mettendo il veto all’elezione di un cardinale italiano giudicato troppo filofrancese. Il racconto minuzioso di quel che avvenne in quel conclave è contenuto nel diario segreto del cardinale Domenico Svampa, arcivescovo di Bologna, che annotò tutto quello che accadde dall’1 al 4 agosto. Il diario di Svampa è una miniera di informazioni, non solo su quanto avvenne durante gli scrutini, ma anche sulla vita dei cardinali nella rigida clausura vaticana. Vi sono annotati perfino i menu dei pranzi e delle cene. Il fattaccio accadde al pranzo del 2 agosto quando furono serviti minestra di riso, bollito con contorno di cavoli e fagiolini, stufatino di pollo con guarnizione di funghi, vitello arrostito in fette guernito di gelatina, formaggio e frutta.Scrive monsignor Svampa: «Nella notte precedente all’elezione, parecchi cardinali e conclavisti soffersero dolori di ventre». A causarli fu un’intossicazione alimentare, più di 50 tra loro si rotolarono nel letto per il mal di pancia e dovettero alzarsi più volte per la dissenteria. Fu qualche cibo guasto a provocare il terremoto nelle pance dei monsignori o qualcuno versò volutamente del veleno nel cibo a loro destinato? Conclude l’arcivescovo di Bologna: «Il dottor Lapponi ne dà la colpa ai funghi che furono mangiati». Galeotto fu lo stufatino di pollo.
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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