2018-10-14
Anche se c’è il crollo di Borse e titoli i soldi all’estero non sono garantiti
Depositare il denaro oltre confine costa molto di più e in generale non protegge da bail in, tasse o patrimoniali. Molti fondi stranieri hanno inoltre clausole che tutelano solo i gestori (non i clienti) da eventi anti euro.Era il 1984 quando Johnny Dorelli in «A tu per tu» interpretava un ricco imprenditore che scappava braccato dalla Guardia di Finanza a bordo di un taxi giallo guidato da Paolo Villaggio. «Ho la Gdf alle calcagna per 200 miseri miliardi (di lire, ndr)», diceva parlando al telefono con il suo commercialista. Da quegli anni, però, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta e oggi portare i soldi (illegalmente) all'estero può non essere né troppo facile, né tantomeno conveniente. Certo, tra la pressione fiscale alle stelle e la possibilità di perdere tutti i nostri risparmi a causa di un bail in dell'istituto dove abbiamo il conto corrente, l'idea può balzare alla testa. Soprattutto se in banca abbiamo un gruzzoletto che supera i 500.000 euro. Ovviamente il discorso vale anche se ce ne sono 50.000 guadagnati con il sudore della fronte. Nel primo caso sarà più la necessità di ridurre la pressione fiscale a solleticare la mente, nel secondo più quella di evitare di perdere il tesoretto.Partiamo da un concetto che deve essere chiaro: per i contribuenti italiani portare soldi all'estero non è vietato. Il punto è che la somma va dichiarata all'interno del quadro Rw della dichiarazione dei redditi e questo può avere un costo piuttosto salato. «Se il motivo è quello di far scomparire dal radar del Fisco italiano il proprio patrimonio, con lo scambio automatico di informazioni la conoscenza del tesoretto detenuto oltreconfine viene intercettata con un semplice clic», spiega Roberta Rossi Gaziano, responsabile consulenza di SoldiExpert Scf. Inoltre, dichiararli non basta. «E se questi soldi vengono investiti e producono interessi - poiché l'intermediario estero fa raramente da sostituto d'imposta - ogni anno il contribuente italiano, spesso facendosi aiutare da un professionista, deve pagare le tasse sul capital gain (i rendimenti, ndr) realizzati oltreconfine. E sbagliare dichiarazione può costare caro», continua l'esperta.È il caso ad esempio di chi possiede fondi di investimento domiciliati in Lussemburgo (la maggior parte di quelli disponibili in Italia). Nel caso di un ritorno alla lira, tutte le quote dei fondi in euro dovrebbero essere riconvertite in lire comportando con ogni probabilità una notevole perdita del patrimonio investito perché le società di risparmio gestito potrebbero far pagare agli investitori i costi della conversione (break-up fee). Alla faccia della protezione dei capitaliNon finisce qui. Le banche estere in Paesi ritenuti sicuri sono mediamente molto più care di quelle italiane, su tutti i fronti: dalla tenuta del conto alla movimentazione di titoli, fondi ed Etf. E non tutte offrono la gamma di strumenti di investimento offerti dagli intermediari italiani. «Come estrema ratio, visti i costi spesso proibitivi di negoziazione, si potrebbe decidere di usare l'intermediario estero come cassaforte, senza effettuare operazioni di compravendita dei titoli ma, in questo caso, se i mercati azionari e obbligazionari mettessero a segno un robusto rialzo, si perderebbero importanti opportunità di investimento», dice Rossi Gaziano. In parole povere, non tutte le banche sono uguali e chi vuole portare soldi all'estero deve scegliere con cura l'istituto dove mettere da parte i propri risparmi. Ma, ammesso che si voglia continuare con questa strada, c'è sempre la possibilità di portare i soldi verso Paesi della lista nera dell'Agenzia delle entrate, operazione più facile a dirsi che a farsi. E poi, una volta aperto un conto corrente lì, non si avrebbe nessuna tutela nel caso un istituto delle Bahamas, del Brunei, delle Isola Cook o Tonga (solo per citarne alcuni) dovesse finire a gambe all'aria. «Una soluzione fiscalmente e operativamente più snella è quella offerta dalle polizze di diritto estero riservate però a un clientela affluent», ricorda Roberta Rossi Gaziano sottolineando che si tratta di prodotti per chi ha centinaia di migliaia di euro da investire. «Moltissime banche e reti di vendita italiane offrono questi prodotti (etichettati come unit linked o private insurance) che hanno il vantaggio, se sottoscritte con intermediari che fanno da sostituti d'imposta, di non costringere il contribuente italiano a regolare da solo il pagamento delle tasse sul capital gain. Questi prodotti godono poi di due privilegi fiscali: la tassazione differita dei guadagni in conto capitale e l'esenzione dalle imposte di successione».Il problema è che sono molto costosi e non offrono certezze. Inoltre, anche questi prodotti, da quanto è entrato in vigore lo scambio automatico di informazioni, possono essere intercettati dal fisco che può chiedere al contribuente l'origine e la regolarità del deposito. Al di là del tema fiscale bisogna sfatare il mito: contro le turbolenze dei mercati, il saliscendi dei Btp e il rischio di bail in bancario, l'erba del vicino non è sempre più verde. Le banche estere non sono sempre una garanzia e quando lo sono costano tanto.
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