
Pur di formare un esecutivo, il socialista Pedro Sanchez firma un accordo programmatico con Podemos di Pablo Iglesias, con cui si è scontrato fino a ieri. Un contratto fumoso, molto green e nuovi diritti. Ma ora dovrà trovare qualche «responsabile» per avere la maggioranza.«Il Psoe abbraccia il comunismo boliviano». Così tuonava ieri Santiago Abascal, leader di Vox, commentando in un tweet l'accordo di governo tra i socialisti e Podemos. L'intesa mai raggiunta in cinque mesi di negoziazioni, improvvisamente è stata possibile a sole quarantott'ore dalla chiusura delle urne. «Gracias, Pablo», «gracias, Pedro», si sono detti sorridendo Pedro Sánchez e Pablo Iglesias, con tanto di stretta di mano e caloroso abbraccio a favore delle telecamere, dopo aver firmato al Congresso l'intesa per un governo di coalizione che indigna tutto il Paese. La sinistra di Unidos Podemos, che ha perso sette deputati dalle elezioni dell'aprile scorso ed è stata superata da Vox, il partito sovranista diventato terza forza politica, è riuscita a far capitolare «el guapo» che temeva l'inciucio con i popolari non avendo la maggioranza per governare. Sánchez ha detto sì: «Gli spagnoli hanno fatto sentire la loro voce e nostro compito è superare questo blocco», è stata la sua stupefacente spiegazione. La Spagna è dovuta tornare per la quarta volta a votare in quattro anni, per vedere poi ignorato il responso degli elettori. Il Psoe è risultato sempre primo partito, ma da aprile ha perso tre deputati e per i socialisti è stata in realtà la terza sconfitta, il terzo calo di consensi da parte dei cittadini. Al secondo posto si è posizionato il Pp (+ 22 deputati), al terzo i sovranisti di Vox (+ 28), con il doppio degli eletti rispetto alle politiche di aprile. Votati da più di 3,6 milioni di spagnoli. Carta straccia, la loro scheda elettorale, di fronte alla scelta di una «alleanza progressista» tra due forze politiche che hanno perso insieme dieci seggi in pochi mesi. I dieci punti del preaccordo, strategie solo condivisibili (e in parte) da un elettorato di sinistra, sono una vergognosa presa in giro delle necessità del Paese (con bassa produttività, debito pubblico, disoccupazione, deficit pensionistico altissimo), mettendo invece insieme un generico programma «in difesa della libertà, della tolleranza e nel rispetto dei valori democratici, in linea con la miglior tradizione europea». Dopo una vaga proclamazione di impegni «a creare posti di lavoro e a combattere la precarietà» (quale governo con un briciolo di cervello affermerebbe il contrario?), di volontà di «combattere la corruzione» (altro colpo di genio), il duo Sánchez - Iglesias mette al terzo posto «la lotta al cambio climatico», vero assist all'Unione europea che fa delle politiche sul clima una priorità fondamentale. Non piacerà alla società cattolica spagnola il punto in cui si esprime la volontà di riconoscere nuovi diritti quali l'eutanasia e suona come mero manifesto elettorale il proclama di voler combattere contro la violenza alle donne e la diseguaglianza sui posti di lavoro. Al penultimo punto, un generico proposito di «garantire la convivenza in Catalogna, sviluppando il dialogo». I separatisti non vogliono dialogare, vogliono l'indipendenza dal governo di Madrid. Davanti a queste vuote enunciazioni, la protesta sarà ancora più forte. Erc, la sinistra repubblicana catalana (il partito di Oriol Junqueras, detenuto in carcere) ha già detto che voterà no a Sánchez, perché nel preaccordo non c'è traccia di «volontà politica di riconoscere l'autodeterminazione della Catalogna». Sempre che dal governo non arrivino aperture, destinate ad accentuare il dissenso nelle formazioni di destra, popolari e Vox in primo piano. Ciudadanos ha perso il suo leader, Albert Rivera si è dimesso lunedì e in ogni caso la formazione arancione deve pensare a come sopravvivere alla perdita di 47 deputati in soli cinque mesi. Abascal ha puntato il dito contro Sánchez che si è accordato con «gli alleati di un colpo di Stato», rimarcando la posizione di Podemos che vorrebbe arrivare ad un referendum sull'indipendenza in Catalogna. «Li riterremo responsabili di ogni danno che arrecheranno alla coesistenza e all'ordine costituzionale», è stato l'annuncio del presidente di Vox dopo la dichiarazione di un'alleanza tra Psoe e Iglesias. Una coalizione «inquietante», titolava ieri il quotidiano Abc. Pensare che Sánchez arrivò a dichiarare che «non avrebbe potuto chiudere occhio con Podemos al governo» e che accordi con la formazione viola non erano possibili «per le posizioni differenti sulla crisi catalana». Iglesias adesso sarà il suo vice presidente «perché è finito il tempo dei contrasti», cercavano di tranquillizzare ieri la Spagna i due leader, dichiarando che il nuovo governo «sarà progressista». Il capo dei viola si è lasciato scappare che solo con loro, nei ministeri chiave, «il Psoe farà politiche di sinistra». Il voto degli spagnoli non sembrava indicare questa volontà. Il Parlamento promette battaglia, la neonata alleanza ha bisogno di voti e quel che resta di Ciudadanos non è d'accordo nel sostenerla: «È un accordo nefasto per il Paese». Per ottenere la maggioranza necessaria Sánchez dovrà scendere a patti con i partiti indipendentisti. Per Iglesias non sarà un problema, di suo avrebbe già approvato il secessionismo catalano.
Una delle criticità maggiori che mettono in difficoltà l’Eliseo è l’esposizione verso gli investitori stranieri: ben il 53%, laddove in Italia supera di poco il 30%.
Mario Monti (Ansa)
Nella solita intervista genuflessa al «Corriere della Sera», il professore si autoincensa e poi spiega a Macron come fare per uscire dalla crisi. Peccato che le sue ricette da noi abbiano messo in ginocchio l’economia.
Ecco Edicola Verità, la rassegna stampa del 3 settembre con Carlo Cambi
- L’Eliseo prova ad allargare la maggioranza pescando tra i partitini. Le Pen e Bardella chiedono «lo scioglimento ultrarapido» del Parlamento. E i sondaggi li premiano.
- Col suo iperattivismo, il presidente prova (inutilmente) a nascondere la sua debolezza.