2019-05-01
Anche in Italia i moderni schiavi di Bezos?
Ad Amazon un software decide chi deve essere licenziato. In un solo anno ha «terminato» per ridotta produttività circa 300 magazzinieri. L'azienda assicura che l'algoritmo non è operativo in Europa ma parla di un ricambio annuo del 12% dei dipendenti.Ora finalmente c'è la prova. I famigerati sistemi di controllo dei lavoratori di Amazon - che hanno fatto gridare a una nuova forma di alienazione dell'uomo - non solo esistono, ma sono soprattutto finalizzati al licenziamento. È quanto è appena emerso durante una causa intentata all'azienda in America da un ex magazziniere licenziato in tronco. L'avvocato difensore del colosso, per dimostrare l'impersonalità e la giustezza della decisione, ha reso noto al giudice l'impiego di un algoritmo (definito eufemisticamente nel gergo amazoniano «metro di produttività proprietaria») pensato proprio per valutare «in profondità» l'efficienza di ogni singolo lavoratore. L'algoritmo incrocia i dati lavorativi - come il numero di ordini evasi o il loro tempo di esecuzione - con quelli non lavorativi - come i tempi di permanenza in bagno o le pause. L'avvocato è riuscito a dimostrare il non accanimento dell'azienda verso il lavoratore rimosso, rivelando al giudice che quello stesso algoritmo aveva «terminato», secondo il bel gergo aziendale, altri 300 magazzinieri in un solo anno e in quello stesso stabilimento (per l'esattezza è accaduto, tra l'agosto 2017 e il settembre 2018, a Baltimora dove sono state licenziate 300 persone sulle 2.500 totali). Peccato solo, per l'avvocato e l'azienda, che la lettera sia trapelata dall'aula di tribunale, finendo subito sul web, e lasciando per una volta il re dei nababbi - Jeff Bezos - eticamente nudo come un verme. Ora si capisce meglio perché alcuni magazzinieri di Amazon preferissero mingere di nascosto dentro una bottiglietta (fatto emerso da un'inchiesta giornalistica in incognito in Inghilterra), quasi fossero degli sportivi intenti a qualche record, anziché andare civilmente in bagno; o l'adesione supina a ritmi di lavoro tra l'inumano e il robotico. Si capisce anche meglio l'origine della ricchezza del colosso americano: per garantire i suoi faraonici profitti, l'azienda di Bezos (proprio come i faraoni con le loro piramidi) sembra reggersi su moderni schiavi. Grazie a questo algoritmo Amazon potrà innalzare sempre più l'asticella della produttività, stabilire nuovi exploit di vendita, abbassando però al contempo (e paurosamente) umanità e diritti. Anche la recente notizia che Amazon prepara dei massicci investimenti nel nostro Paese con la costruzione di nuovi magazzini (il colosso ha appena aperto due grossi centri di smistamento vicino a Verona e Napoli e ne progetta altri a Torino e Roma) acquista un cattivo sapore, come un amarus in fundo. Secondo Amazon «l'Italia offre ancora ottimi margini di profitto», ma viene il sospetto che tale entusiasmo sia dovuto al nostro tessuto sociale disastrato e perciò sfruttabile, nonché a una sinistra moribonda, se non in avanzata decomposizione: un sepolcro imbiancato con su scritto jobs act (che per i lavoratori di qui suona ormai identico a un rest in peace).Si è calcolato che il malefico algoritmo ricambierà ogni anno circa il 12% dei dipendenti totali di Amazon. Se per esempio questa percentuale venisse rispettata negli altri 70 stabilimenti americani, con oltre 125.000 addetti, il numero di licenziati - solo per l'America - sarebbe di 15.000 l'anno. Persone buttate via per essere sostituite con altre forse più prone, malleabili, o meno choosy come disse Elsa Fornero; persone invitate ad andarsene dall'azienda di maggior successo al mondo, non più da un cinico tagliatore di teste, che magari finge d'incolpare la crisi o la Cina pigliatutto, ma da un'asettica (e apparentemente incontrovertibile) formula matematica: gran bel progresso quello introdotto dal filantropo Bezos. L'azienda di Seattle, dopo l'ennesima figuraccia nell'ambito dei diritti dei lavoratori, ha spergiurato che l'algoritmo non è operativo in Europa, meno che mai in Italia, e che una valutazione «umana» interviene sempre in qualunque sua decisione, ma questa pare più una maldestra appiccicatura etica, specie considerando l'applicazione draconiana delle regole aziendali in Amazon - suo massimo vanto, anzi fiore all'occhiello - regole che non possono conoscere né confini nazionali né tanto meno eccezioni di sorta. D'altronde l'avvocato l'ha scritto a chiare lettere in quel suo memorandum non più secretato: «Si tratta di un ricambio necessario per mantenere gli elevati standard qualitativi dell'azienda. Questa è ormai una prassi consolidata di Amazon che licenzia sistematicamente tutti quegli addetti che non rispettano ripetutamente i suoi tassi di produttività». Come non plaudire a tanta luminosa civiltà.