2022-07-05
Anche Draghi rimesta nella banalità: «Dipende dalla situazione climatica»
I morti accertati sono 7, si cercano 13 dispersi. Recuperi difficoltosi per il maltempo.La neve era marcia. Difficile che non lo sia alle 13.30 di una domenica di luglio in pieno sole, perfino in cima alla Marmolada dove la temperatura minima di notte era stata di 5 gradi e alle 11 di mattina il termometro segnava 10. Il riscaldamento termico è un fatto, il caldo africano di queste settimane una maledizione. E il permesso di salire in cordata in un contesto quasi da spiaggia (niente permafrost ma un micidiale tapis roulant sotto i piedi) è un particolare inquietante. Per questo, fatta la tara alla fatalità e all’esperienza delle guide, la Procura di Trento ha aperto un’inchiesta per disastro colposo a carico di ignoti. Mentre si piangono le sette vittime (Filippo Bari, guida alpina, Davide Carollo e Paolo Dani, le altre non ancora identificate), vengono curati gli otto feriti e si cercano con flebili speranze i 13 dispersi, si fa largo l’ipotesi che dietro la tragedia bianca ci siano responsabilità. Si riparte dai numeri, nel giorno delle lacrime. Dovrebbe essere anche quello del silenzio rispettoso per chi è rimasto sotto il seracco di ghiaccio precipitato a valle a 300 all’ora fra Punta Rocca e Punta Penia, invece al minuto uno è ripartito il festival politico del «disastro climatico» e dell’«apocalisse alle porte». Al nutrito club degli esploratori dell’ovvio si è iscritto anche Mario Draghi, salito a Canazei per testimoniare la presenza dello Stato. «Questo è un dramma che ha dell’imprevedibilità, ma certamente dipende dal deterioramento dell’ambiente e della situazione climatica», ha detto il premier in automatico neanche fosse un Fulco Pratesi. «Sono qui per rendermi conto di persona. Il governo deve riflettere su quanto è accaduto e deve prendere dei provvedimenti perché quanto è accaduto abbia una probabilità bassissima di succedere ancora, o possa addirittura essere evitato». Draghi ha ringraziato per spirito di sacrificio tutti i soccorritori: Protezione civile, Vigili del fuoco, volontari, soprattutto quegli alpini massacrati dalla sinistra avvelenata a Rimini.Ora le difficoltà derivano dalla parte instabile del ghiacciaio e dal maltempo, che ieri ha impedito agli elicotteri e ai droni di decollare. La ricostruzione del dramma è di forte impatto. «Un disastro inimmaginabile», spiegano gli inquirenti diretti dal procuratore di Trento, Sandro Raimondi. «Una carneficina tale che solo difficilmente ci permetterà di restituire un’identità alle vittime perché i corpi sono stati smembrati dalla colata di ghiaccio e sassi». Per completare il pietoso inventario e risalire ai parenti stranieri si identificano le auto nel parcheggio alla base della montagna. La causa tecnica del gigantesco smottamento in alta quota (ai 3.343 metri della Marmolada) sembra l’acqua. Lo sottolineano i geologi: a fare da scivolo all’enorme mole di materiale sarebbe stato un accumulo di acqua di fusione nella conca sotto la vetta. Quando il pezzo di ghiaccio si è staccato in verticale non ha trovato un appoggio solido, solo liquido. La tragedia si è consumata in mezzo a un centinaio di alpinisti (anche della domenica), uniti nel riferire «un rumore mai sentito e una fortissima folata di vento». Una testimone, chiamata Michela dal Corriere della Sera che l’ha intervistata, ha detto: «Noi siamo venuti giù con la funivia 15 minuti prima che accadesse tutto. Ci ha colpito la condizione del ghiacciaio rispetto a due anni fa: una neve nera, piena di spaccature. Ma non siamo esperti. Faceva molto caldo e c’era gente in maniche corte. Turisti con le scarpe da ginnastica, per capirci». Un abbigliamento tutt’altro che ideale per guardare da vicino una montagna vera. Ma oltre il rifugio Pian dei Fiacconi, distrutto da una valanga, per gli escursionisti non c’è spazio; da lì in poi i partecipanti alle due cordate coinvolte nella tragedia non potevano essere turisti per caso. Eppure è accaduto. Ed è troppo presto per giocare alle percentuali di fatalità, di responsabilità e di ecologismo di facciata. Il professor Renato Colucci, ricercatore del Cnr, parla di concause. «Per colpa dei cambiamenti climatici i ghiacciai al di sotto dei 3500 metri non sono più in equilibrio. Inoltre lo scorso inverno è nevicato poco ed è venuta meno la protezione che la neve fornisce ai ghiacciai d’estate. A tutto ciò si è aggiunta l’ondata di calore dall’Africa che ha prodotto una grande quantità di acqua di fusione che scorre fra la montagna e il ghiacciaio medesimo». In Marmolada le tragedie vere o sfiorate non sono una novità. Nel 2020 un distacco ha distrutto il rifugio Pian dei Fiacconi, nel 2014 quattro persone finirono sotto la neve ma furono salvate, nel 2011 tre alpinisti bresciani se la cavarono con fratture, nel 2009 due escursionisti veneti morirono. Nel 1916, durante la Grande Guerra, un’enorme massa di neve si staccò dal costone e travolse nelle baracche 300 soldati austriaci. Ma la catastrofe alpina più terribile rimane quella di Saint Gervais, versante francese del Monte Bianco. Sotto il ghiacciaio della Tête Rousse si staccò una sacca d’acqua a 3.150 metri e piombò sul paese provocando 175 vittime. Era l’11 luglio 1892, la mamma di Greta Thunberg non era ancora nata. Anche allora faceva molto caldo.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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