2023-06-14
Ora dicono la verità sul Cavaliere
Silvio Berlusconi (Getty Images)
L’ex direttore del «Corsera» Paolo Mieli ammette che l’avviso di garanzia gli fu recapitato dalla Procura, « nessuno poi mi interrogò». Il ruolo di Oscar Luigi Scalfaro nel ribaltone ‘94. Da Massimo Giannini e Michele Santoro, gara a elogiare l’avversario defunto. Ma l’Arci fa il bunga bunga dei poveracci. Le verità nascoste. Non sono ancora trascorse 48 ore dalla morte di Silvio Berlusconi che alcuni piccoli-grandi misteri d’Italia si sciolgono nell’afa di giugno, i sospetti diventano realtà, i punti interrogativi si irrigidiscono a esclamativi. E lui ne esce da gigante. Gli storici nemici si trasformano in presunti compagnoni del Cavaliere, come se la guerra di Arcore fosse stata una fiction e i canini affilati solo gadget di carnevale. Davanti all’augusta salma è in atto l’ultima (forse) manipolazione mediatica attorno all’uomo con il sole in tasca: chi lo ha odiato, detestato, combattuto, sgambettato adesso ci spiega che in fondo «c’eravamo tanto amati». Lo scenario sarebbe esotico se non fosse imbarazzante. Il primo ad applicarsi nell’immediata revisione delle carte in tavola è Paolo Mieli che in un intervento a La7, nello speciale di Enrico Mentana, ha deciso di riscrivere la storia del Berlusconi indagato, imputato, uomo nero che egli stesso aveva contribuito ad alimentare nel periodo in cui guidava il Corriere della Sera. È un Mieli fintamente ingenuo, quasi lunare, quello che rivela: «Tra 50 anni qualche storico si interrogherà sul fatto che, fra tantissimi processi, ha subìto solo una condanna». Vero, 35 assoluzioni. Ma era così anche la settimana scorsa con lui in vita, peccato che non se ne sia accorto. Poi Mieli si dedica a rileggere l’avviso di garanzia numero uno, quello del 1994 arrivato come un missile via Corsera, diretto da lui, al Berlusconi premier che stava presiedendo a Napoli una conferenza dell’Onu sulla criminalità organizzata. Un mese dopo quel siluro l’esecutivo cadde e cominciò la guerra dei 30 anni fra il Cavaliere e il sistema giudiziario delle toghe rosse. Fin da subito l’episodio apparve equivoco ma chi avanzava dubbi venne travolto dalle querele mentre i giornalisti da Pulitzer di legno si arrampicarono su fastose carriere gettando petali di rose agli eroici pm. Negli anni successivi la narrazione faceva acqua ma nessuno aveva interesse a cambiarla, anche se apparve chiaro che la prima polpetta avvelenata arrivò dalla Procura di Milano. Ecco la conferma di Mieli. «Su quell’avviso di garanzia non fui mai interrogato dai magistrati. Evidentemente non volevano sentire la mia versione ma nel caso avrei risposto molto volentieri. L’avrei fatto perché ci fu una cosa che mi diede molto fastidio: misero in giro la voce che - siccome Berlusconi aveva ricevuto l’invito a comparire a Roma e glielo avevano letto a Napoli - fosse stato lo stesso premier ad avercelo inviato poiché interessato a farlo sapere. Questa cosa mi fece andare su tutte le furie: io sapevo perfettamente com’era andata la vicenda». Poi l’affondo, la conferma di ciò che nei corridoi della Procura milanese aleggiava da 29 anni, ma che i protagonisti si erano sempre tenuti ufficialmente in tasca, ex direttore compreso. «Posso dire questo: avevo conosciuto i termini di quell’atto alle 2 del pomeriggio, quindi otto ore prima che i carabinieri arrivassero a Roma e chiamassero Berlusconi a Napoli. L’unico posto da cui poteva essermi arrivato era il Palazzo di Giustizia di Milano. Questo è un po’ passato in cavalleria, ma questo avrei detto ai pm. La mancata indagine mi ha sempre insospettito. Che strana cosa, soprattutto per uno come me che ha sempre vissuto nella retorica di Mani pulite. Nessuno, né a Brescia né a Milano, tra le toghe, mi chiese negli anni (anche in incontri informali) come fosse andata a finire quella vicenda. Per esempio se per caso era stato scoperto da quale loro collega fosse arrivato l’atto. Per la prima volta quella cosa mi insinuò un dubbio, ovvero che venne fatto qualcosa che non era luccicante». In realtà, quella della spallata giudiziaria a un governo eletto dagli italiani, fu una pagina nera. E aveva ragione il Cavaliere.Nel giorno delle rivelazioni, senza muro contro muro e demoni da esorcizzare, sono tutti più rilassati. Anche Massimo D’Alema, che a Porta a Porta rievoca, con il nervosismo sospetto della comparsa di fronte allo statista scomparso, il Patto delle Sardine che portò al ribaltone del 1994 con la complicità del capo dello Stato, Oscar Luigi Scalfaro, di Rocco Buttiglione e di Umberto Bossi. Poi ammette: «La sua scomparsa colpisce e addolora. È indiscutibile il contributo che lui ha dato all’edificazione di un nuovo sistema e alla creazione in Italia di una destra legata al sistema democratico europeo». Col senno del poi è tutto più facile. Legittimo e coraggioso sarebbe stato ammetterlo con lui in vita. Invece era solo il Caimano.Che Pinocchi, hanno aspettato che morisse per dire la verità su di lui. Come Michele Santoro, ruvido e furente demonizzatore del berlusconismo in televisione, il fustigatore del Cavaliere nero nella stagione di Servizio pubblico, culminata con la spolverata della sedia di Marco Travaglio nella memorabile puntata di dieci anni fa. «Tra un avversario leale e quello con cui stabilisci un duello si crea un legame», ha spiegato ieri Santoro. Ma davvero? «In questo momento sento tristezza anch’io che l’ho sempre contrastato. Quando comincio quella trasmissione, che era come un Italia-Germania perché fece il 33% su La7 (record imbattuto), lui era molto teso e preoccupato. Poi si prese la scena, anche se alla fine perse i voti che perse. Durante uno stacco pubblicitario mi fermò, mi tirò per la giacca e mi disse: “Michele ma come ci stiamo divertendo!”. Ecco l’empatia è questa».Parola d’ordine: ridipingere il quadro per posizionarsi meglio, per mostrare affinità con un uomo di cui si parlerà nei libri di Storia. Per avere quel minimo di luce riflessa. Lui non può obiettare, non ha più l’ombra. Che tenerezza i piccoli, fatui eroi del giorno dopo. L’ultimo della pista è Massimo Giannini, che solo qualche mese fa tese a Berlusconi la trappola del compleanno con la telefonata di auguri trasformata in intervista. Il direttore della Stampa flauta: «Conservo un ricordo straordinario. Sotterrata l’ascia di guerra, in senso politico e giornalistico, l’uomo era di una simpatia e di un’empatia come forse credo nessun altro nella storia politica. E dire anche economica di questo Paese». Come lui nessuno mai. Chissà come se la ride.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.