2022-04-19
Gli americani salvano le madri surrogate e tutelano il business dei figli in vendita
Project dynamo in Ucraina, oltre alle donne, ha evacuato bimbi consegnati agli acquirenti in Canada, Usa e Regno Unito.Salvare vite per salvare un business? Per quanto in guerra ogni vittima in meno sia, ovviamente, una vittoria, questo è un dilemma che si pone, vedendo l’attenzione con cui molti Paesi, Stati Uniti in testa, seguono l’evacuazione dall’Ucraina di una specifica categoria di profughi: le madri surrogate, ossia le donne che, ingaggiate dalle agenzie del settore, realizzano «i sogni» di genitorialità delle coppie occidentali, portando in grembo un figlio che poi, dopo il parto, devono cedere.Che le sorti di queste mamme stiano a cuore a certi ambienti è provato, fra gli altri, da un servizio di Cortney Moore uscito sul New York Post, nel quale si dà conto dell’attività di Project dynamo, una no profit con sede a Tampa, in Florida, da anni attiva nel salvataggio di persone dai teatri di guerra; l’organizzazione si è, per esempio, recentemente spesa per far uscire dall’Afghanistan le persone delle quali i talebani vogliono lo scalpo, dopo che hanno a lungo aiutato le truppe statunitensi laggiù dislocate.Ebbene, Project dynamo è operativa, in questo periodo, anche per soccorrere i civili in fuga dal conflitto che sta insanguinando l’Europa orientale e nei giorni scorsi, precisamente mercoledì, al termine di una operazione durata 30 ore, ha tratto in salvo ben 60 persone, 15 adulti, 40 bambini e cinque donne in dolce attesa, che si trovavano in vari centri ucraini sotto attacco, tra cui Kharkiv, Dnipro, Kherson, Nickolaev e Kakhovka. Una notizia, questa, da salutare con favore e gratitudine, ci mancherebbe. Soltanto, viene da chiedersi fino a che punto tale salvataggio sia stato davvero così disinteressato. Sì, perché le cinque donne in stato di gravidanza poc’anzi citate, ecco, non sono gestanti qualsiasi bensì madri surrogate. Di più: si tratta di donne che, in grembo, portano nascituri attesi, guarda caso, da committenti americani. Ecco che, allora, per quanto non si possa che condividere il sollievo di Bryan Stern, cofondatore di Dynamo, che si è detto lieto «del fatto che le missioni abbiano avuto successo e che tutte le persone coinvolte siano ora sicuro», il dubbio che le cinque donne salvate siano state soccorse per motivi poco umanitari, inutile negarlo, viene.Anche perché va considerato che da quando, su ordine di Vladimir Putin, l’Ucraina è stata invasa lo scorso 24 febbraio, la no profit ha già ricevuto non decine, bensì migliaia di richieste di evacuazione: per la precisione, oltre 15.000. Eppure, Dynamo ha un particolare occhio di riguardo per le madri surrogate, per le cui operazioni di occorso ha pure coniato un nome in codice, Aquarius. Oltre alle gestanti, gli attivisti americani soccorrono, naturalmente, pure i figli stessi dell’utero in affitto. Finora hanno portato negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito, consegnandoli ai loro acquirenti, che all’anagrafe ne risultano i genitori, oltre una dozzina di questi neonati.Tutto questo, repetita iuvant, nulla toglie al fatto che ogni vita salvata sia comunque un’ottima notizia, anzi la notizia più bella che, di questi tempi, ci possa essere. Da parte sua, la stessa Project dynamo evidenzia come oltre 100 surrogate si siano fatte avanti per essere portate fuori dall’Ucraina e non c’è dubbio che queste stesse mamme siano desiderose di salvare la pelle, propria e dei loro piccoli. Sulla sincerità di simili richieste di aiuto non si discute. Quello su cui, invece, è lecito porsi qualche domanda, lo si ripete, sono le ragioni per cui organizzazioni statunitensi mostrino attenzione al destino delle donne di Kiev favorevoli a sottoporsi all’utero in affitto. Del resto, basta sfogliare la più autorevole stampa americana per scoprire che, ultimamente, come dire, una certa carenza di madri surrogate effettivamente c’è. Non qualche fonte di parte, bensì il rispettatissimo New York Times, il 2 aprile scorso, pubblicava un articolo a firma di Danielle Braff che era tutto un programma fin dal titolo: «Cercasi surrogate disperatamente». I dibattiti sui vaccini, e il caos generale collegato ad essi e non solo, segnalava uno dei più celebri quotidiani degli States, hanno determinato «un’altra carenza negli Stati Uniti: quella di donne disposte a mettere al mondo i bambini di altre persone».Se si deve, dunque, credere al New York Times, che a occhio qualcosa della situazione americana dovrebbe saperne, appare chiaro come non si possa escludere come dietro Aquarius e ad altre iniziative simili, tese a salvare le madri surrogate di Kiev e dintorni, possano anche celarsi interessi poco nobili, per usare un eufemismo. Tanto più che non è un mistero per nessuno il fatto che le donne ucraine, che decidono di diventare mamme surrogate, lo facciano abitualmente dietro compensi di parecchio inferiori rispetto a quelli delle omologhe occidentali. Viene pertanto naturale, davanti a certa filantropia, fare due più due. Dopotutto, il monito del cardinal , ascoltato nel 1939 da un giovane Giulio Andreotti, cui è spesso erroneamente attribuita la frase «a pensare male si fa peccato, ma spesso s’indovina», avrà pure la sua età. Ma non si può dire che la dimostri.
Chuck Schumer (Getty Images)