2021-03-01
Bignami: «Altro che ristori Alle partite Iva vanno pagati i danni»
Il deputato di Fdi: «Non abbiamo scelto l’opposizione per evitare responsabilità: è inutile stare al governo per fare cose di sinistra»Galeazzo Bignami, deputato di Fratelli d’Italia, è figlio d’arte: il padre, Marcello, fu uno storico esponente della destra bolognese. L’avvocato, classe 1975, con un passato nei movimenti giovanili di destra con Giorgia Meloni, ne ha raccolto l’eredità politica, dopo la prematura scomparsa.Onorevole, ancora dpcm. Da Mario Draghi si aspettava un segnale di discontinuità?«Ormai è chiaro che la discontinuità non c’è. Viene quasi da dire: non serviva Draghi per fare un Conte ter».Ha citato un recente titolo della Verità.«Esatto».Lei, da avvocato, si è interessato ai ricorsi contro i dpcm contiani. A che punto siamo?«Il Tar del Lazio aveva ritenuto che non sussistessero le condizioni per emettere un provvedimento cautelare a favore della attività economiche penalizzate dalle chiusure».E poi?«Quella sentenza è stata impugnata e il Consiglio di Stato ha confermato che il cautelare era necessario, chiedendo al Tar di riconvocare un’udienza il prima possibile. Sono state sollevate anche questioni di costituzionalità».Quali?«Il dettato costituzionale, all’articolo 78, prevede solo la dichiarazione dello stato di guerra, ma ne sposta la responsabilità in capo al Parlamento». Quindi?«Se, per la dichiarazione dello stato d’emergenza, si è voluto ragionare per analogia, bisognava coinvolgere il Parlamento».Si sta occupando anche dei pasticci di Roberto Speranza con il piano pandemico?«Siamo partiti da una dichiarazione di Andrea Urbani, capo della programmazione al ministero della Salute, che ad aprile 2020 assicurava: avevamo un piano già da gennaio».Invece?«Volevamo vederlo, quel piano. Non hanno mai risposto alle nostre Pec. Perciò, a ottobre, abbiamo fatto ricorso».Cosa è venuto fuori?«Il ministero sosteneva che noi cercassimo lo studio Merler».Quello da cui nacque il famoso «piano segreto» del governo?«Sì, ma si trattava di uno studio di febbraio».E a gennaio cosa c’era?«Il ministero ha dovuto ammettere che avevamo un piano pandemico fermo al 2006. Ma noi, appunto, volevamo il piano Urbani».Ve l’hanno consegnato?«Il Tar ci ha dato ragione, ma il ministero ci ha trasmesso un documento in cui si faceva riferimento a circolari di fine febbraio. Allora abbiamo chiesto un commissario ad acta, perché finalmente tirasse fuori quel piano di gennaio».E poi?«Il ministero ritiene che non ne abbiamo diritto. Alla faccia della trasparenza tanto decantata da Speranza».Che responsabilità attribuisce al precedente esecutivo?«Il 22 gennaio 2020, l’Oms lancia l’allerta. E chiede agli Stati di organizzare misure di sorveglianza attiva e tracciamento dei casi».«Siamo prontissimi», diceva Giuseppe Conte.«Ecco. In quei giorni, Speranza aveva lanciato la prima task force sul coronavirus».Con che risultati?«Ho fatto un accesso agli atti per avere i verbali».Li ha visti?«Mi sono stati negati. Infatti siamo in causa. Ma la cosa assurda è il motivo: la task force ha svolto un’attività di “consultazione informale”. All’allerta dell’Oms, l’Italia risponde con una riunione informale».Sulla Verità, ne abbiamo parlato.«Praticamente ne avete parlato solo voi e Il Giornale online».Così pare.«E poi, il colmo: il 29 gennaio 2020, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dello Spallanzani, chiede di fare riferimento al piano pandemico».Quello vecchio?«Quello che avrebbero dovuto aggiornare i soggetti, da Giuseppe Ruocco, a Claudio D’Amario, a Ranieri Guerra, che poi sono entrati nel Cts. E che ora pontificano, spiegandoci cosa possiamo e cosa non possiamo fare».Insistono per tenere chiusi i ristoranti di sera, oltre a piscine e palestre. Riapriranno i luoghi della cultura, però. Benissimo. Ma non sarà che ci si è accaniti sulle attività difese da Matteo Salvini, per liberare i settori di cui si occupa Dario Franceschini?«Credo che, semplicemente, ci sia una totale ostilità nei confronti delle partite Iva. Ora le parlo da Bologna, dove siamo in zona arancione scuro».Cioè?«I negozi sono aperti, ma non ci si può andare».Lei dice: che senso ha?«Eh... Dico anche che bisogna finirla di parlare di ristori».Ma come?«I ristori sono una munifica elargizione calata dall’alto. Gli indennizzi sono una cifra forfettaria. Invece, qui, chi ha sbagliato - lo Stato - deve pagare e deve risarcire tutto. Ecco perché Fdi sta sostenendo la causa promossa da centinaia di ristoratori, proprio per avere un risarcimento dei danni».State dando battaglia.«Sempre per questi motivi insistiamo sulla trasparenza».In che senso?«Non è semplicemente una buona pratica. È un obbligo di legge, sancito anche da una decisione dell’Unione europea. Le comunicazioni devono essere tempestive. Non puoi dire a un ristoratore, il venerdì, che dovrà chiudere la domenica».Mariastella Gelmini ha ottenuto che i cambi di colore scattino il lunedì. E il governo si è impegnato proprio a fornire comunicazioni tempestive.«Vedremo. Finora, mi pare che i criteri siano rimasti gli stessi».Se foste entrati nel governo, avreste potuto provare a cambiare le cose, no?«Le rispondo con qualche esempio. Decreti Sicurezza. Sono stati smantellati a dicembre dagli stessi parlamentari che sono nell’attuale maggioranza. Saranno ripristinati? Non credo».E allora?«Altro esempio: la Giustizia. Fdi ha proposto un emendamento sulla prescrizione ed è stato bocciato. Ne ha proposto un altro sul blocco degli sfratti: non si può scaricare sui proprietari il peso della crisi. Bocciato pure quello».Dove vuole arrivare?«Se bisogna entrare in un governo di larghe intese per fare cose di sinistra, è meglio restare fuori».Non è troppo comodo rinunciare alle responsabilità di governo, incassando consensi all’opposizione? Nei sondaggi, state quasi sorpassando il Pd...«Non è vero che rinunciamo alle responsabilità di governo. Eravamo pronti a governare con il centrodestra: tant’è che avevamo chiesto il voto».Facile, così: lo sapevano tutti che Sergio Mattarella non ci avrebbe riportati alle urne.«Ma sarebbe stata la scelta più giusta. Incidentalmente, ricordo che il Paese più avanti con le vaccinazioni - ormai ha ricevuto una dose oltre l’84% della popolazione - è Israele. Una nazione in piena campagna elettorale, in cui si voterà il 23 marzo».Le propongo lo stesso ragionamento, applicato all’Ue: Lega e Fdi, entrando nel Ppe, sposterebbero a destra il baricentro politico dell’Europa.«Siamo ben felici di rimanere nell’Ecr, di cui Giorgia Meloni è presidente. Non si tratta di un gruppo lepenista o no euro. Ma noi difendiamo la nostra idea di Europa: se serve a far stare meglio gli italiani, ben venga. Se sono gli italiani che servono a far star bene l’Europa, allora dobbiamo ridiscuterne». Il centrodestra esiste ancora? Le divisioni sul governo Draghi avranno ripercussioni sulla tenuta della coalizione?«Abbiamo già visto Forza Italia governare con il Pd e la Lega governare con i 5 stelle. Solo Fdi è sempre stato a destra. Eppure la coalizione si è sempre ricomposta. Governiamo, con una solida alleanza, in molte città e in 14 Regioni».Prima si era parlato delle presidenze delle commissioni parlamentari. Ora, addirittura, pare che rivendichiate la presidenza della Rai. È così che intendete incalzare il governo?«Non direi. Non mi crederà, ma quando è venuto fuori il tema delle presidenze di commissione, posso garantirle che noi di Fdi non ci eravamo nemmeno posti il problema. Siamo davvero convinti che si possa fare il bene dell’Italia anche senza avere poltrone. L’abbiamo fatto votando i decreti Sicurezza, o gli scostamenti di bilancio».Ad esempio?«A Draghi avevamo suggerito di dedicare un ministero al Turismo. Siamo lieti che l’abbia fatto».Domanda di prospettiva: con il Recovery plan, che Draghi dovrebbe completare, l’Italia sarà vincolata a una serie di riforme concordate con l’Ue. Questo si tradurrà in un commissariamento di fatto del centrodestra, anche se dovesse vincere le elezioni?«Intanto, andrebbe ridimensionato il mito del Recovery. Ad esempio, il “fondo perduto” equivale a soldi che andranno restituiti dagli Stati membri. E questo può significare la crescita dell’imposizione fiscale. In più, l’Europa si aspetta che facciamo i compiti a casa».Appunto. Come se ne esce?«Io penso che si possa evitare di ridursi a esecutori di riforme lacrime e sangue, ad esempio quella delle pensioni».Ma gli accordi si prendono ora. Il centrodestra, se vincesse le prossime elezioni, avrebbe la capacità di rinegoziare eventuali programmi penalizzanti?«Noi andremo alle elezioni con un programma chiaro. Certo, non faremo la guerra all’Europa. Anzi, la richiameremo al rispetto dei suoi stessi principi».Ovvero?«Lo dicono i trattati: lo scopo dell’Europa è di migliorare il tenore di vita dei cittadini».