Liberarsi della dipendenza da Mosca ha tempi incompatibili con la guerra. E per il «Financial Times» è difficile: la produzione è già al massimo e per le alternative servono anni. L’unica via è una decrescita violenta.
Liberarsi della dipendenza da Mosca ha tempi incompatibili con la guerra. E per il «Financial Times» è difficile: la produzione è già al massimo e per le alternative servono anni. L’unica via è una decrescita violenta.Il problema dell’accostamento tra pace e condizionatore non è (solo) politico, ma anzitutto logico e cronologico. Uno dei problemi più stupefacenti della tragica crisi ucraina appare lo sfasamento temporale tra l’escalation della distruzione, dei morti e della catastrofe civile e la durata delle soluzioni ipotizzate per porvi rimedio, tra cui il blocco dell’import di gas e petrolio russi. Secondo qualunque analista o esperto di energia, sul piano calendaristico sono completamente incompatibili, a meno di non ipotizzare una carneficina di anni.Sganciarsi dall’oro nero di Mosca «sarebbe complicato», spiegava due giorni fa il Financial Times; «sbarazzarsi del gas, sarebbe molto più difficile». Il motivo, oltre alla mole impressionante sul mercato del produttore Gazprom e a una dipendenza pazientemente rafforzata in questi lustri, lo spiega al quotidiano della City Giles Farrer, capo della ricerca di Wood Mackenzie, colosso inglese dell’energia: la produzione attuale è praticamente già al livello massimo. «Non c’è nient’altro là fuori», ha detto, come sta dolorosamente documentando il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio nelle sue missioni. Ovvero: aumentare l’output è pressoché impossibile, a differenza del petrolio, un mercato in cui tutti i player sono abituati allo stoccaggio di imponenti scorte di barili. Lo sblocco «diplomatico» del gas iraniano, spiega sempre il Ft, in seguito a un possibile accordo sul nucleare, «richiederebbe nuove infrastrutture per l’export: un lavoro di anni». Poi c’è il capitolo del gas naturale liquido, di cui Australia, Qatar e Usa sono i primi esportatori. L’America ha già annunciato di voler aumentare l’export nei nostri confronti, ma resta il problema: rimpiazzare il gas russo è quantitativamente impossibile, occorre produrre di più. «Ma ogni investimento legato a nuove produzioni», spiega Farrer, «è di complessa approvazione per i big dell’energia, perché inizia a rendere non prima di 15 anni». L’analisi del quotidiano si conclude così: «La mancanza di fonti alternative significa che l’Europa dovrebbe tagliare i consumi, privati o industriali, per equilibrare domanda e offerta. È più fattibile comprimere i secondi: questo significa immensi tagli al Pil, crollo dell’occupazione, ma è preferibile rispetto a lasciare la gente al freddo d’inverno». Titolo laconico e inequivoco: «Why Europe is hooked to Russian gas» («Perché l’Europa è agganciata al gas russo»).Caduto dunque il nesso cronologico tra pace e condizionatore, si sfarina così anche quello logico: perché rinunciare al gas russo non vuol dire sudare due mesi, ma - nel breve-medio periodo, desertificare un Paese, minandone probabilmente a lungo il tessuto sociale e produttivo. Eppure l’obiettivo del gas continua a essere annunciato con vigore: «Siamo pronti a decidere il bando del petrolio», ha detto ieri il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, alla Cnn. «L’embargo al gas russo va fatto a livello europeo», ha rincarato Enrico Letta.È plausibile che Draghi riduca davvero la questione al caldo estivo? Con ogni evidenza no, e in effetti proprio mentre pronuncia l’ormai celebre frase il presidente del Consiglio stava illustrando un Documento di economia e finanza che, a pagina 14, reca scritto: «Nello scenario più sfavorevole (in cui non si riesce a rimpiazzare uno stop all’import di gas russo, ndr) la crescita del Pil in termini reali nel 2022 sarebbe pari a 0,6 per cento e nel 2023 a 0,4 per cento». Quindi due quadrimestri abbatterebbero il Pil di 2,3 punti rispetto alle stime (2,9) per l’anno in corso, e peggio farebbero in quello successivo. Un’ecatombe, dopo gli anni della pandemia.I giornali sembrano quasi preparare il terreno a una stagione di austerity parlando di restrizioni al consumo «anche alla luce elettrica, sia pubblica sia privata, e ai carburanti e quindi all’uso dell’auto», come scriveva ieri il sito del Corriere, aggiungendo: «Se il governo deciderà di mettere una norma, i sindaci potrebbero essere costretti a ridurre il numero dei lampioni accesi e le ore di illuminazione, così come nei condomini si potrebbe ritardare l’accensione della luce nelle parti comuni».Anche Davide Tabarelli, di Nomisma Energia, ha detto che l’embargo richiede «razionamento» per 14 miliardi di metri cubi. Il difetto di questi scenari, comunque cupi, è che omettono completamente l’impatto sull’occupazione e sui redditi in un Paese che stenta ancora a recuperare i livelli del pre Lehman. Come ovvio, il giudizio morale sui fatti ucraini non è qui minimamente in discussione. Liberarsi del gas russo può ovviamente essere ritenuta una strategia da perseguire per mille ragioni valide: ambientali, strategiche, geopolitiche. E di fatto era uno degli obiettivi della transizione ecologica. Immaginare che possa avvenire per porre fine alla guerra appare decisamente fuori sincrono. Raccontare che possa accadere senza una catastrofe sociale, soprattutto in Paesi come l’Italia, è una cosa che fuori di qui viene considerata una barzelletta.
Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
Antonio Forlini, presidente di UnaItalia, spiega il successo delle carni bianche, le più consumate nel nostro Paese
Ursula von der Leyen (Ansa)
Sì al taglio del 90% della CO2 entro il 2040. Sola concessione: tra due anni se ne riparla.
L’Europa somiglia molto al gattopardo. Anzi, a un gattopardino: cambiare poco perché non cambi nulla. Invece di prendere atto, una volta per tutte, che le industrie europee non riescono a reggere l’impatto del Green deal e, quindi, cambiare direzione, fanno mille acrobazie che non cambiano la sostanza. Per carità: nessuno mette in dubbio la necessità di interventi nell’ambiente ma, fatti in questo modo, ci porteranno a sbattere contro un muro come abbiamo già ampiamente fatto in questi anni.
Ansa
L’aggressore di Milano aveva avuto il via libera dal Tribunale di Brescia nel 2024.
È la domanda che pesa più di ogni coltellata: come è stato possibile che, nel dicembre 2024, il Tribunale di Sorveglianza di Brescia - competente anche per Bergamo - abbia dichiarato «non più socialmente pericoloso» Vincenzo Lanni, l’uomo che lunedì mattina, in piazza Gae Aulenti, ha colpito una donna sconosciuta con la stessa freddezza di dieci anni fa? «La cosa che mi ha più colpito», spiega Cinzia Pezzotta, ex avvocato di Lanni, alla Verità, «è che abbia ripetuto le stesse parole di quando aveva aggredito due anziani nell’estate del 2015. Anche allora si era subito accertato che stessero bene, come adesso».






