2025-03-19
Altre picconate alla gestione Covid. «Ministero ignorante e Cts inutile»
Giuseppe Conte e Roberto Speranza (Imagoeconomica)
Davanti alla commissione, il generale Lunelli fa a pezzi Speranza e Conte: «La non attuazione di un piano pandemico ha fatto molti più morti». Bergamo, i parenti delle vittime non invitati alla cerimonia di ricordo.«Di fronte a una minaccia gravissima come quella pandemica, i funzionari dell’allora ministro della Salute mostrarono un’ignoranza assoluta», ha affermato ieri il generale Pier Paolo Lunelli, esperto in pianificazione e logistica. Nell’audizione in commissione parlamentare, confermava che la non applicazione di un piano pandemico sotto il governo Conte e con ministro della Salute Roberto Speranza ha provocato un eccesso di mortalità. E «c’è una responsabilità politica» nell’avere disatteso le indicazioni di preparare il Paese a un’emergenza epidemiologica. Lunelli, che è stato comandante della Scuola interforze per la difesa biologica, chimica, radiologica e nucleare, oltre che presidente del Comitato europeo per lo sviluppo delle capacità militari in materia di difesa biologica, chimica e nucleare nel quadro del progetto European capability action plan (Ecap), ha confrontato l’eccesso di mortalità in diversi Paesi durante le varie ondate Covid, rapportandolo alla presenza o meno di un piano pandemico. Nel periodo marzo 2020 - gennaio 2022 l’Italia, che aveva un piano del 2006 non aggiornato e nemmeno lo utilizzò, rispetto al valore atteso per quel periodo con dati 2015-19 si è trovata con +2.950 morti per milione di abitanti. La Germania, che aveva un piano aggiornato tra il 2017 e il 2018, conteggiò +1.099 morti per milione di abitanti, quasi un terzo in meno. Anche la Svezia, aggiornata come i tedeschi, si fermò a una mortalità in eccesso di 990 per milione di abitanti. La Spagna, invece, nelle nostre stesse condizioni di navigare a vista, ebbe 2.019 morti per milione di abitanti. «Questi dati smentiscono la visione superficiale e semplicistica di chi governava allora, che addirittura affermava che il piano pandemico non era in alcun modo utile per contenere la diffusione del virus», ha commentato Galeazzo Bignami, presidente dei deputati di Fratelli d’Italia.«Il piano di preparazione e risposta a una pandemia del 2006 era già arrivato alle Regioni, bastava applicarlo», ha ricordato il generale. Invece, «la parte di preparazione, posizionata alla fine anziché all’inizio del documento, non è mai stata fatta». E nelle autodichiarazioni dell’Italia «quando ci ricordavamo di presentarle, sembrava che avessimo tutto a posto. Non era così». Eppure «dal 2014 l’Oms parlava di pandemia e di minaccia coronovirus». Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fdi in commissione Covid, ha sottolineato in una nota come l’audizione del generale abbia confermato che «le autovalutazioni date dal governo italiano erano inattendibili. A differenza di quanto sosteneva l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non eravamo affatto “prontissimi”».Lunelli ha elencato le misure che non furono predisposte quando il carico degli ospedali era ancora basso e il sistema sanitario avrebbe potuto dare risposte rapide. Tra queste, un numero di laboratori adeguato, invece quelli dove trasmettere i campioni da analizzare «erano una trentina su tutto il territorio nazionale»; così pure tutti quegli interventi non farmaceutici (Npi) quali tracciamento dei contatti, quarantena, misure protettive personali e restrizioni nei viaggi «che potevano ridurre contagi e mortalità in eccesso anche solo applicando il piano del 2006». Ha aggiunto: «Per non parlare dei team di risposta rapida, gli Rrt, che vanno mandati in prima linea per condurre indagini sul campo […] con conoscenze e competenze sufficienti per indagare e rispondere rapidamente a un’epidemia. I funzionari della sanità nemmeno sapevano che cosa fossero».Ad Alfonso Colucci, parlamentare del M5s che in commissione cercava di obiettare che l’Italia si era mossa tempestivamente, prima di altri Paesi, attivando già il 31 gennaio 2020 la Protezione civile, il generale ha risposto lapidario: «La Protezione non era abilitata ad operare nella pandemia». Quanto al ruolo svolto dal Cts, a Lunelli è bastato ricordare «che all’interno del Comitato tecnico scientifico non c’era un epidemiologo e nemmeno un esperto di statistica». Come potevano gestire piani pandemici? Le opposizioni hanno cercato di scaricare la responsabilità delle morti in eccesso sulle politiche regionali, puntando il dito in special modo contro la Lombardia, ma anche questo rilievo è stato smontato dal generale: «La profilassi internazionale è di esclusiva competenza dello Stato». Sulle zone rosse tardive, rispondeva il governo di allora.Ieri, giornata in memoria delle vittime del Covid: l’avvocato Consuelo Locati ha voluto ricordare che «almeno 4.230 persone sarebbero ancora vive se fossimo stati pronti e avessimo adempiuto agli obblighi che anche l’Ue ci aveva imposto per tutelare le nostre vite». Tra i legali di #Sereniesempreuniti, che riunisce familiari di chi ha perso la vita durante la pandemia, Locati si è detta indignata perché il sindaco dem di Bergamo, Elena Carnevali, non ha invitato la loro associazione alle cerimonie in programma. «Una commemorazione delle vittime senza i familiari delle vittime è il sigillo della vacuità», tuona l’avvocato. Sabato 22 marzo l’associazione ricorderà le persone care che non ci sono più in un evento a Pedrengo, in provincia di Bergamo, cui prenderanno parte tra gli altri il professore Silvio Garattini dell’Istituto Mario Negri, la virologa Maria Rita Gismondo e Stefano Argenton, responsabile dell’unità operativa di Anestesiologia e Rianimazione agli Istituti Clinici Zucchi di Monza.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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