2018-06-13
Allarme in Europa: i giovani sono sempre più stupidi
Test sul quoziente d'intelligenza sostenuto da 730.000 uomini in 4 decenni. Dalla generazione 1975 si riduce di anno in anno.Per i pensionati le nuove generazioni sono sempre inadeguate: questi giovani non sono abbastanza svegli, appaiono troppo pigri, non sono determinati. Sui loro giudizi spesso si ironizza, ma adesso una ricerca scientifica rivela che forse potrebbero essere fondati. In base a un'indagine pubblicata dalla rivista internazionale Pnas, infatti, il quoziente d'intelligenza dei ragazzi si riduce anno dopo anno. Una tendenza nuova, che gli esperti stanno cercando di spiegare. Dal secondo dopoguerra in poi, infatti, si era registrato un flusso opposto, con un aumento dell'intelligenza delle nuove generazioni, favorito anche dalla tranquillità, dalla ripresa economica, da condizioni migliori di vita e di salute. Una progressione calcolata con una media di tre punti ogni decennio negli ultimi 70 anni, che era stata battezzata dagli studiosi come l'effetto Flynn. Peccato che questo percorso di miglioramento, che rendeva uomini e donne più brillanti e - idealmente - il loro mondo migliore, si sia interrotto bruscamente. Dalla generazione del 1975 in poi, l'analisi del quoziente di intelligenza dà risultati diametralmente opposti, con un calo di circa sette punti ogni generazione, che sta suscitando perplessità e insieme preoccupazioni. A scoprire l'inversione di tendenza è stata uno studio compiuto da alcuni ricercatori norvegesi. Ole Rogeberg e Bernt Bratsberg, del Ragnar Frisch centre per la ricerca economica di Oslo, hanno individuato il fenomeno analizzando i risultati di uno stesso test sul quoziente di intelligenza sostenuto da 730.000 uomini tra il 1970 e il 2009.In base agli esiti, quelli nati nel 1991 hanno ottenuto cinque punti in meno di quelli nati nel 1975 e tre punti in meno di quelli nati nel 1962. Quindi prima c'era un miglioramento, cui sta seguendo un peggioramento. E l'inversione di tendenza è confermata da analisi incrociate. Il caso norvegese sembra indicativo e soprattutto non ha confini geografici. Nel senso che secondo gli esperti fornisce un esempio di tendenza che si registra anche in altri Paesi occidentali, Italia compresa. Il vero problema è che nessuno sa spiegare da cosa dipenda questo calo nei risultati. Secondo gli esperti il deterioramento potrebbe dipendere da un peggioramento dell'insegnamento di matematica e grammatica, basi fondamentali dell'educazione elementare, o dal fatto che i bambini leggono meno libri perché trascorrono il loro tempo davanti alla televisione o incollati a uno schermo del computer. Un'altra ipotesi consiste nel fatto che al giorno d'oggi a fare più figli sono le famiglie meno abbienti e con minori competenze intellettuali, il che farebbe supporre che anche i loro bambini non eccellano quando vengono sottoposti ad un test e finiscano per «influenzare» i risultati. Possibili spiegazioni di un fenomeno che la statistica fa emergere ma non riesce a giustificare. Ma in fondo anche due studi britannici di qualche tempo fa avevano evidenziato un declino del quoziente di intelligenza che oscillava tra il meno 2,5 e il meno 4,3 per cento ogni decennio. Si trattava però di piccoli gruppi a livello statistico, quindi non si era dato molto peso al risultato, che ora invece viene confermato da un campione più che adeguato. Insomma i numeri disegnano una tendenza, ma ancora non cancellano i punti interrogativi. Per cercare di rendere giustizia ai giovani, peraltro, c'è chi ha evidenziato che forse i test sul quoziente di intelligenza potrebbero essere «invecchiati» e quindi risultare adatti a valutare competenze e abilità di un tempo senza saper cogliere le nuove capacità di generazioni cresciute a pane e videoclip. Anche il dottor Rogeberg, in fondo, ha ipotizzaro qualcosa di simile, sostenendo che forse i giovani hanno voti inferiori ai loro padri in questi test di intelligenza, ma potrebbero superarli in altri, adeguati al modo di pensare del nuovo Millennio. Ancora un'ipotesi, che non basta a cancellare il sorriso dei «vecchi saggi» di fronte ai risultati della ricerca norvegese. In fondo, sembra quasi di sentirli: «Noi l'avevamo sempre detto».
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