2022-04-18
Crisi nei cieli, nella vecchia Alitalia ci sono 7 mila posti di lavoro a rischio

Nella vecchia Alitalia 7 mila posti di lavoro a rischio
Ita Airways cerca affannosamente un partner in mezzo a tensioni e polemiche (lunedì di Pasquetta scadrà il termine per la presentazione delle prime offerte; il tandem Msc-Lufthansa si è già fatto avanti, si attendono fondi e altri vettori), mentre Alitalia ha ancora a carico circa due terzi dei dipendenti.
I tre commissari straordinari della ex compagnia di bandiera Giuseppe Leogrande, Daniele Santosuosso e Gabriele Fava e i segretari nazionali dei sindacati Cgil, Cisl, Uil, Ugl hanno siglato un memorandum, indirizzato al ministro del Lavoro Andrea Orlando, dal titolo significativo: «NewJob: progetto condiviso per la ricollocazione del personale Alitalia».
Nella prima sezione, che fotografa la situazione attuale dell’amministrazione straordinaria, vengono identificati puntualmente 7.800 dipendenti. Se si sottraggono le 800 posizioni dichiarate pensionabili nell’arco temporale 2022-2025, comprensivo di Cigs e Naspi, si arriva a dichiarare che oggi esistono 7.000 dipendenti senza alcuna certezza riguardo al proprio futuro, dei quali 3.600 sono impiegati alle aree handling e manutenzione, che saranno cedute a breve. «E la vendita è a società private», dicono fonti sindacali, «di cui non sono noti né i piani industriali né gli impatti occupazionali; in ballo ci sono 2.300 posti nl settore volo e 1.100 in quello di staff, entrambi esclusi dai piani della piccola Ita per la quale il governo sta accelerando la privatizzazione».
Il programma Newjob affronta il tema della «formazione e ricollocazione dell’esubero Alitalia essenzialmente perché non è possibile ignorarne l’esistenza, derubricandola solo a poche centinaia di casi risolvibili con pensionamenti», proseguono fonti del sindacato. «Ci rammarica constatare che l’eventuale soluzione viene demandata a chi il problema occupazionale lo ha creato».
I sindacati criticano anche alcune indiscrezioni di stampa trionfalistiche, secondo le quali il 95% dei dipendenti Alitalia sono stati assorbiti da Ita, Atitech e Swissport. «Giocare scorretto coi numeri riesce sicuramente molto facile per far quadrare i conti della complicità asservita ai palazzi che dispongono delle vite e della narrazione che di esse viene data in pasto ai lettori», dicono. «Abbiamo letto distorsioni evidenti, del tipo che ‘complessivamente gli esuberi potrebbero essere meno di 800; si tratta di personale vicino alla pensione o che per scelta non intende rimettersi in gioco’. Ma perché raccontare queste falsità?».
Purtroppo sembra evidente che «ci sono migliaia di persone che nel passaggio da Alitalia a Ita sono state espulse dal mondo del lavoro perché appartenenti a categorie fragili, care-giver, donne single con figli minori, portatori di tessere sindacali invise alle direzioni generali firmatarie di accordi; hanno provato sulla propria pelle il ricatto che un’azienda a capitale pubblico ha potuto attuare grazie anche alla connivenza di chi non ha voluto raccontare quello che è realmente accaduto».
Continua a leggereRiduci
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
iStock
L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.














