2022-11-08
«Alice» Moratti nel paese delle meraviglie
L’ex sindaco di Milano si è messa in testa che basti accasarsi con Carlo Calenda per cancellare dieci anni di governo, nazionale e locale, tutti a trazione centrodestra. Un’operazione spericolata, perché presuppone che l’elettorato di sinistra scordi quale è la sua storia.Conosco Letizia Moratti da molti anni e ne apprezzo le capacità manageriali. Se Milano ha potuto ospitare l’Expo e rilanciarsi come città internazionale, attirando investitori e visitatori da tutto il mondo, lo si deve a lei. Quando era sindaco, fece il giro dei Paesi che potevano appoggiare la candidatura del capoluogo lombardo e riuscì a convincerli, battendo sul filo di lana la concorrenza di Smirne, con cui Recep Tayyp Erdogan - agli inizi della sua carriera ai vertici della Turchia - sperava di consolidare il proprio potere. Sì, senza di lei non avremmo avuto l’Expo e probabilmente anche ciò che è venuto dopo, compresi i molti progetti urbanistici e le stesse Olimpiadi invernali. Purtroppo, non essendo una persona particolarmente affabile, ma una donna estremamente riservata, con in più l’aggravante - per un certo milieu politico radicale - di appartenere all’alta borghesia meneghina, nessuno le ha mai riconosciuto fino in fondo i meriti conseguiti. Nemmeno gli elettori milanesi, che infatti nel 2011, dopo appena cinque anni, le voltarono le spalle, preferendole Giuliano Pisapia, altro esponente della borghesia cittadina, ma con il vantaggio di essere sempre stato di estrema sinistra. Figlio di Gian Domenico, padre del codice di procedura penale, e con un pedigree da studente del Berchet e da militante di Democrazia proletaria, Pisapia riuscì a riempire il vuoto di leadership che da anni caratterizzava la sinistra. In precedenza, Pds, Rifondazione comunista e Verdi avevano provato a candidare simboli dell’antimafia come Nando Dalla Chiesa, esponenti dell’imprenditoria come Aldo Fumagalli, ex prefetti come Bruno Ferrante o ex sindacalisti come Sandro Antoniazzi. Ma nessuno era riuscito a sfondare e la città era rimasta saldamente nelle mani del centrodestra, prima con Marco Formentini (Lega), poi con Gabriele Albertini e, per una sola legislatura, con Letizia Moratti. Come sia stato possibile che un tipo come Pisapia, che certo non può definirsi un oratore brillante e le cui idee non si possono considerare moderate, sia riuscito a conquistare Milano, resta per me un mistero. Così come mi pare incomprensibile che i meriti di Letizia Moratti siano stati dimenticati sia dagli elettori che dalla parte politica che la doveva sostenere, regalando il lustro a Beppe Sala, del quale si può dire che da manager (scelto da Moratti) gestì bene l’Expo, ma nulla di più. Se a destra non ci fosse stato un vuoto di classe dirigente, l’ex commissario della fiera internazionale probabilmente non l’avrebbe spuntata neppure la prima volta, per non dire della seconda. Dato a Letizia ciò che è di Letizia, e dunque riconosciuto ciò che ha fatto nel corso della sua carriera politica (prima presidente della Rai, poi ministro, sindaco e vicepresidente della Lombardia), però non posso che guardare con stupore all’ultima sua avventura, ovvero alla candidatura con il Terzo polo per la guida della Regione. Non voglio ricorrere a termini come voltagabbana, che in genere si usano quando per convenienza un politico cambia bandiera, schierandosi dalla parte opposta a quella in cui fino al giorno prima ha militato. Moratti non è certo a caccia di qualcuno che le garantisca un futuro, come invece capita spesso con certi onorevoli. Tuttavia, il cambio di casacca è un dato di fatto, anche se l’ex vicepresidente della Lombardia ora si giustifica dicendo di essere sempre stata indipendente e dunque di non essere mai stata iscritta ad alcun partito del centrodestra. Dieci anni fra governo e comune, sempre nella stessa area, non sono una parentesi ed è difficile nascondersi dietro l’etichetta di manager civico. I suoi sottosegretari all’Istruzione appartenevano alla Lega e a Forza Italia e in municipio, a Milano, il vicesindaco era Riccardo De Corato, di An. Insomma, Moratti non può atteggiarsi oggi ad Alice nel Paese delle meraviglie, respingendo il proprio passato. La sua storia è tutta nel centrodestra e al suo fianco ha avuto anche esponenti di quella che oggi chiama destradestra. Capisco l’ambizione di diventare presidente della Regione e forse anche la reazione dovuta a una promessa mancata. Capisco meno il rapido passaggio che l’ha portata nello spazio di un giorno a saltare con disinvoltura dalla destra alla sinistra, arrivando fino al punto di elemosinare i voti del Pd. Ha forse dimenticato le contestazioni della Cgil e della sinistra quand’era ministro? O forse si è dimenticata quando, nel 2006, fu costretta ad abbandonare il corteo del 25 Aprile fra gli insulti dell’ala estrema dei compagni? Come fa dunque a rivolgersi agli «amici del Pd» chiedendo una revisione del nostro posizionamento? Davvero crede che i Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran possano essere riconvertiti al riformismo e al pragmatismo che lei invoca? Davvero pensa che i gruppi che a Milano la denunciarono in Procura per aver sgomberato i campi rom, accusandola di odio razziale, oggi sarebbero pronti a sostenerla? Strizzare l’occhio a Enrico Letta non serve, perché mezzo Pd non sta con il segretario, ma con i 5 Stelle, i quali certo non possono essere considerati né riformisti né pragmatici. Come pensa di riportare la Lombardia in Champions League, cioè ai vertici delle regioni europee? Con Danilo Toninelli oppure con Vito Crimi, ovvero due dei grillini lombardi di recente rimasti senza poltrona? Purtroppo, credo che neppure evocare il passato da partigiano del padre le consentirà di recuperare i favori dell’estrema sinistra. Per gli ultrà, lei rimarrà sempre la moglie di un petroliere e l’unica Moratti accettata, per loro sarà sempre e solo la cognata Milly, che infatti alle elezioni del 2011 appoggiò Pisapia. Insomma, penso che l’ex sindaco ed ex ministro e ora ex vicepresidente si illuda se pensa di conquistare il consenso dei compagni. Non ci riuscì Giorgio Gori, che pure un po’ di sinistra lo era, figuratevi se ci può riuscire un’«indipendente» di centrodestra. Fossi in lei, metterei da parte l’orgoglio e soprattutto Calenda, che finora, da Roma alle ultime politiche non mi pare abbia ottenuto grandi risultati. La prego Letizia, lasci perdere, né trarrà giovamento la sua immagine.Ps. Nell’intervista a Repubblica di ieri (ma quando mai il giornale progressista per definizione le ha dedicato una pagina?), l’ex numero due della Lombardia con delega alla Sanità boccia la riammissione in servizio dei medici e degli infermieri non vaccinati. «Penso a tutti quei medici e quei sanitari che, quando ancora non c’era il vaccino, hanno dato l’anima in corsia lavorando 20 ore al giorno». Caro ex assessore, legga la lettera di un medico non vaccinato alla Voce di Asti. Per comodità le riassumo il passaggio più significativo in cui il dottore respinge la qualifica di «furbo» che tutti, lei compresa, mi pare voglia appiccicare a chi non si è sottoposto all’iniezione. «Il furbo in questione è un anestesista rianimatore che si è smazzato due ondate di Covid (la terza è stata una bufala mediatica) senza imboscarsi come hanno fatto molti colleghi ospedalieri, né scomparire come buona parte dei medici di base. Sono uno di quelli che si legava ai piedi i sacchetti della spazzatura perché mancavano i Dpi, di quelli che in quei giorni restava a dormire in ospedale senza tornare a casa per giorni, che tentava di salvare pazienti devastati non dal virus, ma da settimane di Tachipirina e vigile attesa. Bene domani rientrerò al mio lavoro e guarda caso sostituirò una collega tridosata positiva al Covid per la terza volta. Le chiedo: chi tra i due è secondo lei più pericoloso per i soggetti fragili?». Ecco, uso le parole che lei ha usato con Repubblica: «La politica non dovrebbe essere così superficiale, dovrebbe pensare a costruire e non a distruggere». Auguri.
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)
Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)