
Nonostante lo scandalo che ha colpito il colosso di Mark Zuckerberg i cantori del Web corrono in soccorso della Silicon Valley. Purtroppo confondono i pilastri della nostra cultura con la tecnica e il neoliberismo, che stanno abbattendo frontiere e lavoro.Ovunque ti giri, spunta un tecnoentusiasta pronto a dichiarare che, in fondo, la rivoluzione digitale è stata una manna. Può accadere di tutto, ma gli adepti del Sacro Algoritmo non demordono, continuano con un'opera di proselitismo che fa invidia alle sette più rodate. Non si smuovono nemmeno di fronte alla triste vicenda di Cambridge analytica che sta mettendo sottosopra Facebook. Giusto un paio di giorni fa, Mark Zuckerberg ha candidamente confessato di aver fatto un «grosso errore» e di aver permesso il libero sfruttamento dei dati personali di 87 milioni di utenti del social network (tra cui 214.000 italiani): un'opera di spionaggio degna di un sistema totalitario. Eppure, ciò non è bastato a calmare i bollori di Christian Rocca, che sulla prima pagina della Stampa si è precipitato a soccorrere i guru digitali in difficoltà. «Non si può negare», ha scritto, «che la Rete sia una delle più strabilianti innovazioni di sempre. Il culto del Web è il prodotto dell'etica libertaria degli anni Sessanta e dello spirito del capitalismo delle origini». In realtà, è il prodotto della cultura radical degli anni Sessanta, il figlio sotto acido della contestazione studentesca americana. Questo prodotto, negli anni, si è fuso con un'altra ideologia, il neoliberismo, a cui ha fornito un vestito pulito con cui esibirsi nei salotti bene dell'intellighenzia. La parola «libertà» è servita soltanto a mascherare i canini aguzzi che spuntavano ai lati della bocca dei profeti del digitale. Secondo Rocca, tuttavia, il Web «è l'antidoto al mondo scongiurato da Orwell e Huxley; è lo strumento congegnato per sconfiggere il totalitarismo e poi sviluppatosi interno all'idea che la libera circolazione delle informazioni fosse di per sé un fattore di progresso, di conoscenza e di partecipazione alla vita pubblica». Non importa se «oggi siamo più ignoranti di prima, le società dispotiche sono più solide, quelle aperte più manipolabili». L'editorialista della Stampa (ovviamente non è il solo a farlo) sostiene che si tratti semplicemente di un effetto collaterale facilmente superabile. Ma non è così. La rivoluzione digitale non è l'antidoto allo spaventoso «mondo nuovo» immaginato da Aldous Huxley: è il veleno che ci sta conducendo esattamente lì. Internet è stato concepito per l'esercito americano, non per il «benessere dei popoli». Negli anni, si è rivelato essere un gigantesco sistema di controllo sociale in stile sovietico. È stato uno dei capoccia di Google, Eric Schmidt, a dire che «solo le persone che hanno qualcosa da rimproverarsi si preoccupano dei dati personali». Già: se ti preoccupi della privacy, allora hai qualcosa da nascondere, sei colpevole. Rocca però insiste: «Di sicuro c'è che non si può tornare indietro, perché la formula “innovazione più globalizzazione" ha creato opportunità, distribuito benessere e liberato miliardi di persone dalla povertà. Questa formula, oggi sotto accusa, è l'algoritmo dell'Occidente: avete presente le alternative?». No, l'Occidente non è un algoritmo. Piuttosto, l'algoritmo - pur creato dalle nostre parti - rappresenta il sovvertimento dei valori occidentali. Come ha scritto Régis Debray nel denso pamphlet Il nuovo potere (Franco Angeli), la rivoluzione digitale ha sbriciolato ogni equilibrio: «Al posto del verticale l'orizzontale, al posto del territorio la rete, al posto dell'affiliazione la connessione e al posto dell'etichetta (ideologica) il marchio (commerciale)». Il furto dei dati, lo spionaggio di massa, la diffusione della disinformazione, la sparizione di posti di lavoro, l'abbattimento delle frontiere e il crollo degli Stati nazionali non rappresentano il fallimento della Rete, dei social network e della Tecnica che essi incarnano, ma il loro successo totale. Sono stati creati per questo, e stanno svolgendo in modo perfetto il compito, alimentando quello che Giulio Sapelli (nel saggio Oltre il capitalismo, Guerini) definisce «un capitalismo finanziarizzato e tecnologico neo schiavistico». Stanno smantellando il corpo degli occidentali, facendo aumentare la depressione e le «malattie del benessere» come l'obesità. Stanno sbrindellando i legami sociali, sostituendoli con una pantomima online utile a mascherare un isolamento disperante. Stanno massacrando la democrazia, sostituendola con uno sfogatoio per le folle e le minoranze risentite. Hanno portato a compimento il degrado che Dwight Macdonald (il teorico del «Midcult») aveva avvertito già negli anni Sessanta, imponendo «il rifiuto di qualsiasi standard qualitativo a favore della popolarità». Hanno imposto una nuova religione, svuotata però di ogni sacralità e verticalità, un'adorazione del vuoto che pare una caricatura del nobile pensiero orientale. L'Occidente è il luogo in cui il sole tramonta, la terra in cui ombra e luce convivono. La rivoluzione digitale, invece, porta una illuminazione accecante. Là dove regnava il chiaroscuro di Caravaggio, oggi domina la luce potente degli schermi. E qualcuno ha il coraggio di festeggiare.
Ansa
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Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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