2021-12-19
        Vero o disegnato: finché l’albero non c’è, il Natale non arriva
    
 
        L'albero di natale del Rockefeller Center di New York City (Getty Images)
    
Dagli opulenti esemplari di foresta in stile New York alle opere concettuali come l’abete gigante di Gubbio: conta averne uno.Le feste sono alle porte, anche quest’anno il Natale sta arrivando. Le luminarie sono già in auge da fine novembre, i supermercati e i centri commerciali hanno contribuito a rallegrare una situazione generale che ancora non è di certo improntata all’ottimismo. Natale è per noi, diciamocelo pure, anzitutto una festa: le vacanze, la pausa, le luci colorate, i regali da cercare, da confezionare, da consegnare e da ricevere. Quindi, per coloro che ci credono e per coloro che frequentano le chiese una cerimonia, una ricorrenza, la nascita di Gesù, il presepe, rafforzare le comunità. Quindi le cene in famiglia, i parenti, gli amici, le persone care, gli addobbi natalizi, il panettone o il pandoro e il torrone, e il simbolo per eccellenza, l’albero di natale. Il cuore della cristianità ogni hanno riceve in dono da una regione d’Italia un grande albero, non di rado secolare, che viene scelto, abbattuto e trasportato appositamente, scatenando aspre critiche da parte degli ambientalisti, ma intanto quelli chi li ascolta; negli ultimi anni però questo rito di devozione è entrato in contraddizione con le parole stesse del Pontefice, artifex di una proposta di ecologia integrata che a quanto pare è ancora lungi dall’essere rispettata.Ma perché siamo così legati all’albero di Natale? Che cosa ci piace così tanto di questo simbolo, di questo curioso addobbo? Quando ero bambino aspettavo Santa Lucia - in Bergamasca i regali venivano scambiati il 13 dicembre, non il 25, ma nel resto d’Italia ormai vige la regola commerciale del 25 - per avere il nostro alberello di Natale bello e illuminato. Al tempo la neve era più frequente di ora ma i natali sotto la neve fioccheggiante con tanto di festoni appesi per casa non sono stati così tanti. La mia generazione ancora ricorda l’abbondante nevicata del 1985, l’inverno più freddo del secolo come si è scritto, che ricorre così spesso negli album fotografici di famiglia. Avevo 10 anni, vivevo coi miei in un appartamento nei palazzi del comune di Ghisalba, indossai la mia giacchetta rossa da babbino di Natale, i guantoni e scendemmo a realizzare un bel pupazzo, con tanto di berretto di lana, sciarpino e mani a forma di ramoscello. Tanta neve! Poi sono arrivati 36 altri natali, quella famiglia si è dissolta e quel bambino è diventato un uomo più vecchio dell’età che aveva mio padre in quelle vecchie foto. Fa impressione riflettere su quanto rapido corra il tempo a nostra disposizione.Un altro ricordo che ho legato al Natale e ai suoi simboli mi riporta a New York, al mio primo periodo invernale in Nord America, era il 2010. Accompagnai un’amica ad acquistare il tipico alberello natalizio che avevo visto anche nei film, tipo Harry ti presento Sally. Quelle cose che sanno tanto di America accadono davvero, e l’americano di città in genere compra un vero alberello tagliato apposta pochi giorni prima nelle piazze e nei centri commerciali dove vengono assiepati come foreste avventizie in attesa della mani di giovani acquirenti felici. In quel caso andammo a Union Square, uno dei luoghi tipici di Manhattan. Centinaia di alberelli di varie misure giacevano lì, troncati sopra le radici, sprigionando un intenso profumo di resina. Ma la festa ovviamente si celebrava al Rockfeller Center, dove si allestisce un magnificente albero di Natale, quello che si vede ogni anno in televisione, anche in questo caso purtroppo un vero abete prelevato dalle foreste; quest’anno pare prelevato dallo stato del Maryland, dalla cittadina di Elkton. E poi come dimenticarsi dei negozi più originali e giocosi del mondo, quelli di Macy’s, sulla trentaquattresima strada: vetrine con robot semoventi, la consegna delle lettere a Babbo Natale al piano terra, e montagne di giochi per diversi piani. Una festa per i bambini ma anche per noi grandicelli.Inutile girarci intorno: la voglia di festeggiare del Natale oramai è parte del nostro modo di vivere, e anche se in certi natali più mesti ci sembra davvero tutto finto e anche la felicità dei nostri simili falsa e ipocrita, non appena le tempeste si esauriscono e riusciamo a costruire un minimo di equilibrio nella nostra esistenza, questo è un periodo di gioia e divertimento.A casa mia, in Piemonte, attendiamo l’8 dicembre per addobbare casa, l’albero di Natale ovviamente è il fulcro dei nostri sforzi. Abbiamo un abetino di plastica, similvero, alto come noi, che mettiamo in piedi e poi le luci colorate, le sfere, i simboli del presepe, i festoni argento e dorati e rossi, infine la stella rossa in cima. Ogni giorno lo accendiamo appena ci alziamo e lo spegniamo quando andiamo a letto la sera. Tutto tornerà in scatola il 6 gennaio. Non è paragonabile ai grandi alberi ma almeno non abbiamo sacrificato una vita che a fine periodo sarà gettata in un cassonetto o ammucchiata in giardino per farne legna da ardere.E qui arriviamo al punto dolente: se è vero che ogni anno, nel mondo, diverse migliaia di alberelli vengono tagliati e traghettati altrove per allestire simboli del Natale, forse, quando raggiungeremo un certo concreto rispetto per la natura, in ogni sua forma ed essenza, probabilmente anche questa usanza sarà considerata barbarica, anche perché l’albero di Natale in casa nostra non ha alcuna pretesa di essere realistico, non a caso gli alberi che oramai vengono addobbati nelle nostre città spesso sono alberi disegnati appositamente. È il caso dell’albero «brutto» allestito in piazza Vittorio a Torino, scatenando non poche polemiche per il suo design: si tratta di un cono di erba sintetica, alto 22 metri e largo 8, ricoperto da 35.000 luci a led. Oppure pensiamo all’albero gigante e diffuso che oggi illumina le fredde serate di Gubbio, 800 corpi luminosi disseminati sui pendii del Monte Ingino, sulle cui pendici si arrampicano le case vecchie del comune. Fu inaugurato nel 1981 e 10 anni più tardi è stato riconosciuto come l’albero di Natale più vasto del mondo dal Guinness dei Primati. Ha una base larga di 450 metri e un’altezza di 750. Il comitato dei volontari che provvede alla sua realizzazione è costituito da una cinquantina di soci, il socio più giovane è nato nel 1995, mentre il più anziano nel 1929.Certo non sono alberi eleganti come quello che compare in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, decorato da 10.000 lampadine ad opera di Swarovski, definito addirittura «una vera e propria lettera d’amore alla città di Milano», con sculture che riproducono alcuni simboli della città: il Teatro della Scala, il Duomo, il Castello Sforzesco, il tram. E a pochi passi, in piazza Duomo, si innalza un abete di 24 metri, illuminato da 80.000 luci led a basso consumo e addobbato con 800 palle di Natale rosse e argento, 60 fiocchi; purtroppo è stato tagliato appositamente nel varesino anche se c’è chi ci prova a suggerire che è a chilometro zero e che il suo taglio è stato sanato dalla piantumazione di altre piante. Ma è come dire che un assassino per compensare ci dà dentro e ne mette al mondo tre, cinque o dieci. Fratello albero di San Francesco è ancora soltanto un sogno, una poesia, un’invocazione destinata all’umanità del futuro.
        Luca Palamara (Getty Images)
    
        Silvio Berlusconi (Getty Images)