2023-02-20
Al Bano: «Non ho scritto lettere a Putin ma in Russia ci vorrei tornare»
Il cantante: «A Est mi amano da quando i romeni intonavano la mia “Libertà” contro Ceausescu. Sanremo? Qualcuno ha provato a sfregiarlo. Un Papa re mi farebbe felice».Qualche mese - a maggio - e saranno 80. Ma chi lo direbbe mai. C’è un segreto, Al Bano?«Aspetti, per favore: diciamo 4 volte 20. È brutto come suona, quel numero. Le posso dire che “ho tanta” voglia di saltare, e di cantare, questo sì. Comunque segreti non ne ho, è tutto alla luce del sole». Quello della sua Puglia.«E mi nutro bene e non ho vizi».Per il vino ha una bella passione, anche imprenditoriale… «Il vino è da approcciare sempre con estrema intelligenza e rispetto. Soltanto così. Le mie “droghe” sono la vita e la natura».È impegnato in un tour nei teatri di tutta Italia, dal titolo «È la mia vita». Faticoso, no?«Nooo, farei fatica a non farlo. Dopo gli anni di Covid, poi, mamma mia. Fortuna che abbiamo sorpassato pure quella terza guerra mondiale. Il tour è la storia di un emigrante, come continuo ad essere io. Cittadino del mondo. Rendo grazie al dono che il buon Dio mi ha dato: cervello e voce che si tengono compagnia». Se non canta, si dedica ancora molto alla sua tenuta a Cellino San Marco?«Sto bene in entrambe le dimensioni. Quando mio padre mi impose la terra la odiai. Era una vita da schiavi per portare a casa solo il minimo indispensabile per la sopravvivenza. Poi negli anni la terra ho cominciato ad amarla quando ho fatto qualche lira e mi sono dedicato ai miei investimenti».A che ora si sveglia la mattina?«Un risveglio in due momenti. Uno intorno alle 3 e mezzo, l’altro alle sei». Puntuale per l’alba. «Se sono a casa, la mia camera ha lo sguardo a Est, al sorgere del sole. Bellissimo».Tra le sue, c’è una canzone preferita?«Mah, tutte, ma la più preferita direi che deve ancora nascere». Quella con cui l’han fatta più arrabbiare è «Di rosa e di spine». Sanremo 2017. «Più che arrabbiare, mi chiedo ancora perché chiamassero “giuria di qualità” coloro che condannarono una canzone di quella portata. Provi ad ascoltarla e mi darà ragione. Mandarmi via alla prima serata è stato vergognoso».Ma a Sanremo ci vorrebbe tornare anche nel 2024. «Ho un brano pronto da mesi e l’anno prossimo vorrei proporlo. Lo stavo per far sentire ad Amadeus per questa edizione, quando lui mi ha detto dell’idea di Morandi e Ranieri. La avevo avuta io stesso nel 1996. Come facevo a dir di no? È stato meraviglioso e li ringrazio».Si canta insieme a voi per nostalgia dei tempi andati?«Si canta con noi perché abbiamo cantato la nostra storia musicale, in parte. Siamo veri, fin da ragazzini».Una verità che come si conquista?«Siamo tutti e tre figli di un’epoca di sana e onesta povertà, di un sano proletariato. Non abbiamo avuto la possibilità di studiare, ma possiamo dire a testa alta che ci hanno dato la laurea all’università della vita».Quando emigrò a Milano lavorò in un ristorante come cameriere, e poi in fabbrica.«Ricordo il rumore della catena di montaggio, orribile perché costante, per tre anni. Ma cantavo pure lì. E a chi mi dava del “terùn” rispondevo: approfitta, perché poi pagherai il biglietto per sentirmi». Li ha poi rivisti i compagni di catena di montaggio?«Sì li ho rincontrati. Cinque di loro erano presenti quando aprii il concerto dei Rolling Stones l’8 aprile 1967». Ha annullato i concerti in Russia.«Purtroppo sì. Di messaggi dei fan me ne arrivano ancora. Solo se arriverà la manna della pace, tornerò».Si parla più di armi che di pace. «Ho imparato che tutte le cose finiscono».Ci racconta di quando conobbe Putin? Lo ha descritto in passato come l’uomo più filo-occidentale della Russia.«Putin l’ho vissuto, l’ho visto da vicino molte volte. Ci sono cose che non possono essere descritte, gesti altrui che fanno capire come stanno le cose al di là delle parole. Ho assistito all’armonia tra lui e Berlusconi. Filo-occidentale, sì, lo era certamente. D’altra parte dimentichiamo che sono gli architetti italiani ad aver costruito San Pietroburgo. Quanti teatri che ci sono a Odessa… I russi non hanno mai odiato l’Occidente, certo difendendo le proprie radici».Poi? C’è chi ha perso la testa?«Non mi faccia parlare troppo, non val la pena».Ma è vero che ha scritto a Putin una lettera, per implorarlo a fermarsi? Ha ricevuto risposta?«Fake news del web, nessuna lettera. Quel che dovevo dire l’ho detto in tv senza paura. E l’ho detto da amico. Certo che qualcosa oggi è cambiato, ma vorrei ricordare che quando i russi su invito di Castro stavano portando i missili a Cuba, Kennedy alzò il telefono e chiese a Krusciov chi sarebbe stato il padre di una terza guerra mondiale, chi si assumeva le responsabilità e le conseguenze. Lui capì e si fermò. Non le pare che Putin lo avesse fatto capire, in passato, che ci sarebbero state conseguenze? Ovvio: l’invasione è ingiustificabile». Ad Est la amano molto. «“Libertà” fu la canzone che cantavano durante la rivoluzione romena contro il regime di Ceausescu, lo sa? Un brano magico. Ci ho messo 9 mesi per scriverlo. È stupendo quando si riescono a sposare la sonorità di un testo e quella della musica. Scrivevo e cancellavo, e reimpastavo… e poi la canzone è arrivata, in un momento sul terrazzo di casa mia». Musica è anche politica?«Pensi a Giuseppe Verdi, il suo “Va pensiero”, e a quando scrivevano sui muri “Viva Verdi” per il re».Poi se ne impadronì la Lega Nord, di quel brano. (Ride) «Eh va beh, ogni tanto qualche sgarbo lo fanno, i politici».Di recente, in Polonia ad esempio, ha cantato anche insieme a Romina Power. «Concerti sempre strapieni. Quando richiedono il duo artistico, noi ci siamo. Per il resto, poi, nel 2000 ho conosciuto una donna che è stata la mia seconda primavera, Loredana, e che mi ha regalato due figli anche loro straordinari. Basta sperare e le cose si avverano».Quanto conta la musica oggi, e quanto la trasgressione o il far parlare di sé, perché una canzone abbia successo?«In Italia abbiamo il Vaticano, e quando si entra lì si sa che occorre comportarsi da buoni cristiani. Con un vestiario consono, e non certo scosciati e mezzi nudi. Beh, Sanremo per me è un po’ la stessa cosa. Non parlo di sacralità, ovviamente, ma certi gesti che ho visto credo mirassero a rovinare il tempio della musica. Ma non ci riusciranno».L’ha fatta arrabbiare l’appello di Fedez sulla cannabis?«Davvero c’è stato? Ho avuto poco tempo per guardare tutto, impegnato com’ero per l’esibizione». Sì. Ma lei non l’ha mai provata, una canna?«Una volta sì, per capire l’effetto. E, giuro, non capisco come la gente si possa rovinare la vita con questa porcheria. Che fastidio… dovevo scrivere e scrivevo in verticale, non ero padrone di me, e lo avvertivo. Ma come si fa? Poi Fedez faccia quel che vuole, si fumi quel che vuole. Ma perché deve farne una religione per gli altri? Mi sembra che l’Italia abbia abbastanza problemi».Dicono lei sia di destra. «Mamma mia, ancora. Ripeto sempre che ho votato a sinistra, a destra e al centro. Mai per ideologia, sempre per l’uomo che pensavo potesse dare una mano a risollevare l’Italia». E pure la donna?«Se mi chiede se mi piace Meloni le rispondo che sì, mi piace. Ha una gran bella personalità, mi pare».Le cito due commenti divertenti di questi giorni. Il primo di Sgarbi, che l’ha definita «un Mattarella di destra». «Ah, questa è buona. Solo che io sono per l’umanità, non per destra o sinistra. Se ci fosse un Papa re o un Papa presidente sarei felice. Scherzo, ma mica troppo. Non che non ci siano difetti anche da quelle parti, ma meno che nei palazzi della politica». Secondo corsivo, dal Fatto Quotidiano: «Il Pd riparta da Al Bano, portatore di felicità». «Molto carina anche questa». È un bicchiere di vino con un panino, la felicità.«La felicità è nelle belle piccole cose ma solo se le intravedi. Sta nell’essenziale, ma solo se lo intravedi. È come un’anguilla. Se la prendi bene, dura, ma sfugge».Però esiste. «Esiste. Un bambino che sorride. O qualcuno estratto vivo dalle macerie di quel maledetto terremoto. Ecco: spesso è una felicità amara. In casa mia non c’erano libri e trovavi solo l’aratro, le roncole, il mulo e il vitello fatto ingrassare di anno in anno. Una sola scritta, sotto una fotografia: “La vita è una dura lotta”. Come un tramonto». Il tramonto?«Sì, perché sta al limite tra luce e buio. Due momenti da attraversare sempre. Non bisogna esser schiavi né del giorno né della notte, ma saperli cavalcare. E per me il cavallo che ti aiuta si chiama fede». Anni difficili ce ne sono stati, anche sul fronte salute…«Parecchi. Son partito con il cancro alla prostata e poi è arrivato l’infarto. Come se non bastasse, l’ictus. E poi un problema alle corde vocali: quella destra era rovinata. Avevo deciso di non cantare più. Per fortuna si è rimesso tutto in sesto. Ma ci sono stati dei momenti in cui chiedevo all’amico lassù: “Ma ti ho fatto qualcosa di male?”». Ho letto di una sua crisi di fede negli anni Novanta. Legata ad avvenimenti dolorosi della sua vita.«Forse ho sbagliato, ad avere qualche diverbio con Dio. Penso che sia l’esperienza umana, però. Un atto d’amore non calcolato bene. Ho imparato l’umiltà. E dopo la ribellione ho concluso che senza la fede vivo peggio, vivo il male due volte. Ma io mai mi lamento, sono fortunato».Perché ha successo?«Perché ho scoperto la dolcezza del volo della musica. Pure se non fossi diventato un cantante professionista, la musica è il mio “tappeto volante”. Mi ha aiutato a sognare e a realizzare i miei sogni».