2019-09-05
Al Viminale una fan dell’accoglienza diffusa
La nomina all'Interno dell'ex prefetto di Milano Luciana Lamorgese segna un'inversione a U rispetto alle politiche messe in campo da Matteo Salvini. Ama i blitz mediatici sulla sicurezza e passa per lady di ferro, ma poi è finita a riempire paesini sperduti di migranti africani.«È una fuoriclasse nell'affrontare i problemi, non nel risolverli». Il commento del sindaco leghista dell'hinterland di Milano è caustico, e del resto non è facile trovarsi davanti alla montagna chiamata «sicurezza». Alla microcriminalità e alla malavita organizzata, al reale e al percepito. Soprattutto alla questione dei migranti, a ingressi abbattuti del 95% con la strategia muscolare di Matteo Salvini e alla necessità politica di invertire la rotta per accontentare l'Europa, il Vaticano e le Ong. Così Luciana Lamorgese (66 anni l'11 settembre), che questi temi li ha addentati tutti nella lunga carriera da specialista, rischia di essere un ministro dell'Interno scomodo, nel senso che dovrà vivere con i piedi in due scarpe: il destro al Viminale e il sinistro sulla Sea Watch.Unico ministro tecnico dell'esecutivo e punta di diamante delle seconde file alle quali addossare la responsabilità di eventuali fallimenti, l'ex prefetto di Venezia (2010-2012) e di Milano (2017-2018) ha un curriculum di granito, fu funzionario fedele dei ministri Angelino Alfano e Marco Minniti senza mai essere iscritta ad alcun partito e adotta una filosofia opposta rispetto a quella del predecessore al Viminale. La sua parola chiave è «monitorare». Non respingere, non bloccare, non impedire, non deviare a Malta, ma monitorare. Come le guide Apache che accompagnavano dalle colline le giacche azzurre senza intervenire, lei mette a fuoco un problema, osserva ogni sfaccettatura e manda segnali di fumo. Segue dibattito, preferibilmente altrui.A sinistra la chiamano diplomazia, a destra attendismo. A lei non interessa, l'importante è la discrezione. Avvocato di Potenza, sposata con due figli e terza donna in quel delicato ruolo dopo Rosa Russo Jervolino e Annamaria Cancellieri, si è fatta le ossa al Viminale come funzionario e alla prefettura di Varese. Già dieci anni fa scoprì che la gestione dei profughi sarebbe stata importante per la carriera. E dopo aver fatto le prove generali a Venezia, a Milano ha provato ad applicare fra mille dubbi la cosiddetta accoglienza diffusa. Una formula che mandava in visibilio le diocesi, le associazioni di volontariato e le Caritas locali, ma faceva infuriare i cittadini dei piccoli comuni della provincia che si vedevano recapitare pro quota centinaia di immigrati (al 90% maschi) dediti allo struscio con telefonino e all'inutile bivacco in attesa di un domani. Il pacchetto Lamorgese veniva presentato ai sindaci con una circolare che comprendeva tre punti: 1) proposta di accoglienza diffusa; 2) memento che per la collaborazione sarebbero arrivati contributi di Stato; 3) dissuasione dei riottosi con una gentile richiesta di controproposta per risolvere il problema. In caso di diniego, il Comune era obbligato ad aderire all'accordo. O sì o sì. L'atteggiamento le procurò più di una polemica. Il leader dei ribelli fu Angelo Rocchi, sindaco di Cologno Monzese: «Come faccio a dare vitto, alloggio e inserimento lavorativo gratis ai profughi quando faccio fatica a organizzare tirocini da 300 euro al mese per dare occupazione ai miei cittadini disoccupati?». E il segretario lombardo del Carroccio, Paolo Grimoldi, minacciò: «Lei vuole obbligare ad accogliere? E noi siamo pronti a scendere in strada e a fare le barricate come a Gorino».L'exploit dell'accoglienza diffusa, parzialmente riuscito con numeri ancora piccoli in Veneto otto anni prima, diventò un boomerang nel Milanese. A questo si aggiunse una stagione ruggente per la criminalità. La Lega chiese le dimissioni del prefetto, che a fine 2018 tornò a Roma al Consiglio di Stato. Descritta come tenace e decisa, Lamorgese a Milano riuscì a sorprendere il sindaco Beppe Sala per la gestione dell'emergenza clandestini alla stazione Centrale. Dopo aver colto diffuso malcontento per il degrado di una delle piazze più importanti della metropoli, nel maggio 2017 operò un blitz applaudito dai cittadini e criticato dal sindaco radical chic («serve sostanza, non spettacolo») perché non era stato coinvolto. Lamorgese si fece subito perdonare impedendo che nessuna contromanifestazione turbasse il gay pride tanto caro al primo cittadino.Come si suol dire, bosco e riviera. Monitorando monitorando si arriva lontano. Lamorgese non ha un account Twitter e anche se l'avesse si guarderebbe bene dall'usarlo perché è convinta che un servitore dello Stato debba essere più legato alle leggi che alle opinioni. Eppure qualcuno potrebbe metterla in imbarazzo per ciò che dichiarò in una delle poche interviste rilasciate in vita sua, al Corriere della Sera nel 2018, anche sull'emergenza migranti: «Fino a poco più di un anno fa c'erano sbarchi anche di 3000 persone al giorno, abbiamo avuto un periodo in cui a Milano ne sono arrivate anche 1000 a settimana. Era una situazione di emergenza continua. Ora dobbiamo gestire qualche decina di arrivi, piccoli gruppi, a distanza di tempo l'uno dall'altro; ciò consente di predisporre piani di accoglienza sostenibili per i Comuni». Come a dire che il suo predecessore al Viminale non era così male. Ora lady Monitoraggio sarà costretta a fare il contrario.
(Totaleu)
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