2020-06-25
Giulia Bongiorno: «Al Csm soltanto a fine carriera. No a una riforma gattopardesca»
Giulia Bongiorno (Stefano Montesi, Corbis, Getty Images)
L'ex ministro leghista: «Il Consiglio va ridisegnato completamente, ma Bonafede spaccerà per cambiamenti epocali piccole modifiche al sistema d'elezione. Le trame anti Salvini dei giudici svuotano la democrazia».Lo scandalo di Magistratopoli è un disastro che mina la fiducia nella giustizia. E le riforme proposte dal ministro grillino Alfonso Bonafede sono «spuntate, gattopardesche». Giulia Bongiorno, penalista ed ex ministro della Pubblica amministrazione nel governo gialloblù, senatore e capo del Dipartimento giustizia della Lega, è durissima. Lei s'immaginava che il Csm fosse il «suk» che emerge dalle intercettazioni di Luca Palamara, capo della corrente di Unicost?«Ora è chiaro anche ai non addetti ai lavori quel che in fondo era già noto. Il problema, però, non riguarda solo la magistratura: riguarda tutti. Perché oggi è legittimo chiedersi se un giudice che deve prendere una decisione riesca a rimanere davvero indipendente, quando a rappresentare l'accusa c'è un pubblico ministero esponente di una corrente particolarmente influente».Gli altri giornali fingono di non accorgersi dello scandalo. Non è grave?«In compenso se ne stanno accorgendo gli italiani: non c'è un solo indagato o imputato che non chieda al suo avvocato a quale corrente appartenga il magistrato che lo sta indagando o che deve giudicarlo. E siamo noi avvocati a rassicurarli che la stragrande maggioranza dei magistrati sono indipendenti e non si lasciano condizionare. Ma la diffidenza oggi è assoluta, come mai avevo visto prima». Palamara si proclama capro espiatorio. Dice di non aver fatto nulla di illecito e che il suo ruolo non è diverso da quello di altri, in altre correnti. Ha ragione?«Non posso e non voglio entrare nel merito del procedimento di Perugia. Di certo le degenerazioni delle correnti esistono, da sempre: prima venivano negate, ora invece sono venute a galla. Un anno fa la Lega ha avuto un duro scontro sulla giustizia con il Movimento 5 stelle proprio perché il ministro Bonafede tergiversava sulle riforme e proponeva ritocchi inutili, che avrebbero lasciato le cose come stavano».Al telefono di Palamara, le correnti sembrano tutte uguali: piccoli partiti che trattano per il potere. Si può impedirlo?«Il giurista Piero Calamandrei diceva: “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra". Ora servono cambiamenti profondi, a partire dalla separazione delle carriere e del Csm. È essenziale un accesso alla magistratura che, già prima del concorso, garantisca una formazione radicalmente diversa». Che cosa pensa dei progetti di Bonafede per la riforma del Csm? «Temo che il ministro si limiterà a limare l'esistente e spaccerà interventi minimi sul sistema elettorale del Csm come una riforma epocale. Non basta stabilire come si entra nel Csm: è necessario chiedersi chi ha le qualità per entrarvi. Bonafede ignora questi problemi e propone riforme spuntate, gattopardesche».Il problema, è evidente, è il Csm: ma è riformabile? «Ci sono molte resistenze, ma è doveroso mettere in campo una riforma seria. Chi si occupa di nomine, per esempio, non deve pensare di poter ricevere un favore, un domani. Ecco perché credo vada fatta una riflessione su chi deve far parte del Csm: dovremmo pensare di dare spazio a magistrati esperti, che decidano di chiudere la carriera al Csm». Al Csm solo membri togati senza più ambizioni di carriera, insomma?«Chi non ha ambizioni di avere in futuro altri incarichi, di certo, è più indipendente. E poi servono criteri rigidi per le nomine, che ora sono altamente discrezionali. Un esempio: a volte viene scelto un candidato perché ha grande conoscenza dello specifico territorio dove eserciterà la funzione, perché ci ha lavorato a lungo; altre volte si privilegia chi invece ha maturato esperienza in tanti territori diversi, perché è più versatile. Bisogna stabilire regole certe, per esempio tornando a privilegiare - a parità di meriti - l'esperienza e l'anzianità di servizio». La commistione politica-giustizia è palese, ma il Csm è paralizzato, il Quirinale tace, i partiti sono muti. Come se ne esce?«Se il Pd e Italia viva si accontentassero delle inutili proposte di limatura di Bonafede, non solo non ci sarà alcun cambiamento, ma il sistema elettorale sarà peggiore di quello attuale. I ballottaggi favoriranno gli accordi occulti tra le correnti».E allora cosa propone?«Meglio un sistema di elezione misto, in due fasi: la prima diretta a individuare mediante sorteggio i magistrati candidabili; la seconda, a eleggere i componenti del Consiglio. Insisto però nel dire che il sistema elettorale può essere un punto di partenza, ma una vera riforma richiede altro. Va ridisegnato l'intero Csm».Il Csm setaccia le chat tra Palamara e le mille toghe questuanti per promozioni e incarichi: crede che sanzioni disciplinari cambieranno qualcosa? «La sanzione di fronte a una violazione è doverosa. Ma è altrettanto importante che chi la irroga sia terzo e indipendente. Questo vale per i cittadini comuni e vale per i magistrati. Per me, tutto passa per l'indipendenza. Le norme hanno zone di chiaroscuro in cui si esercita la discrezionalità del giudice. Chiunque venga giudicato deve avere la certezza che quella discrezionalità è stata usata in modo corretto».In maggio La Verità ha scoperto le chat dei magistrati che attaccavano Matteo Salvini. Lei ha invocato l'intervento del Quirinale e posto una questione fondamentale: con quale serenità sarà giudicato? A sinistra nessuno ha reagito. Brutto segno, no?«Vorrei ci fosse la sensibilità per capire che non è un problema di destra o di sinistra. Un magistrato che ha la necessità di attaccare un politico rappresenta icasticamente l'ingiustizia di certe iniziative giudiziarie: quanto di più lontano dall'idea di giurisdizione scolpita nella nostra Costituzione».Dallo scandalo esce la sensazione che in Italia la giustizia non sia altro che la prosecuzione della politica con altri mezzi, e che la sinistra ne controlli militarmente il campo. È democrazia, questa?«Dev'essere chiaro a tutti che la maggior parte della magistratura è composta da persone integerrime, intellettualmente oneste, che lavorano con abnegazione lontano dalle luci della ribalta. Insomma, lo spaccato che sembra emergere dall'indagine di Perugia non va generalizzato. Detto ciò, la democrazia funziona se vengono rispettati i princìpi dello Stato di diritto. Quando invece, pur di eliminare un avversario politico, le leggi vengono sostituite da accordi tra esponenti dei diversi poteri dello Stato, la democrazia si svuota e lo Stato di diritto si spegne».
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