2018-10-21
Aiutare a morire è ancora un reato? Il caso Dj Fabo approda alla Consulta
Per martedì è prevista un'udienza storica all'Alta Corte, interpellata dai magistrati penali di Milano sulla costituzionalità della norma che punisce il sostegno al suicidio. In ballo c'è il processo a Marco Cappato.Martedì la danza macabra entra alla Corte. In uno dei più spietati racconti di Giorgio Scerbanenco, il professor Pietro Ischelli veniva incastrato da un investigatore milanese, abile a scoprire come, dopo averla tradita, il medico si fosse sbarazzato della moglie inducendola ad ammazzarsi. Un «assassinio psicologico» (così si intitola la storia), perpetrato senza atto fisico di violenza, ma solo facendole credere di essere malata di cancro tramite analisi false. Marco Cappato si è autoaccusato in base allo stesso articolo del codice penale (580), il quale prevede due fattispecie: istigazione e aiuto. Se Ischelli aveva artefatto le carte della consorte Rosa per convincerla a buttarsi dalla finestra, il politico radicale è a processo per aver aiutato Fabiano Antoniani a togliersi la vita, dopo che Dj Fabo l'ha ritenuta da sé insopportabilmente gravata da tetraplegia e cecità, andando a uccidersi in Svizzera il 27 febbraio 2017.L'iter che porta all'udienza della Corte costituzionale spiega perché l'appuntamento di martedì può rappresentare un punto di svolta culturale, giuridico e sociale nella storia di questo Paese. Dopo il suicidio di Antoniani, praticato in seguito ad annuncio pubblico e mordendo un pulsante che ha innescato un'iniezione letale, Cappato si è autodenunciato alla Procura di Milano, assistito da truppe legali di alto livello. In seguito alla richiesta di archiviazione da parte del pm, il giudice per le indagini preliminari ha disposto l'imputazione coatta. Una volta rinviato a giudizio, il politico è stato protagonista di quattro udienze, prima che, il 14 febbraio 2018, la Corte di Assise di Milano decidesse di rinviare alla Consulta il giudizio di costituzionalità della norma. Nel dettaglio, il presidente interroga le toghe sulla legittimità della parte dell'articolo 580 del codice penale in cui esso «incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito di suicidio», ipotizzando che tale dettato contrasti con tre articoli della Carta (3 e 13 sulla libertà personale e 117 sui vincoli internazionali). Da allora, il procedimento è sospeso in attesa del giudizio della Corte, che potrebbe arrivare già martedì stesso.La partita a scacchi con la morte è ulteriormente complicata dalla dimensione politica, esplicitata dalla costituzione di parte civile del governo (con atto firmato nell'aprile 2018 dall'allora sottosegretario Maria Elena Boschi). A seguire da vicinissimo la pratica ci sono, su fronti contrapposti, diversi movimenti per la vita e la famiglia (tra cui il Family day di Massimo Gandolfini) e associazioni che si battono per il diritto all'eutanasia. Di fatto, un eventuale accoglimento del ricorso significherebbe la legittimazione costituzionale e culturale del suicidio come atto di autodeterminazione. Sulle spalle dei quindici membri della Corte c'è dunque un verdetto di rara gravità. Al momento è lecito prevedere tre possibili sbocchi ai lavori condotti dal relatore, Franco Modugno, giudice eletto dal parlamento nel 2015 su proposta di Danilo Toninelli in nome del Movimento 5 stelle.Il primo scenario è una decisione di inammissibilità. La Corte potrebbe rifiutare la pertinenza della domanda, invitando in pratica il Tribunale a proseguire il suo operato che, come ovvio, prevede un margine interpretativo tra il testo di legge e le sentenze. Tra le motivazioni di questa possibile scelta potrebbe ricadere il rispetto, pure normato dalla legge, della discrezionalità politica del Parlamento, che peraltro ha di recente legiferato in materia attigua, producendo il discusso provvedimento sulle Dat. Dal punto di vista politico, la Consulta sarebbe forse accusabile di un atteggiamento pilatesco, e non si può escludere che la possibilità di scrivere una sentenza comunque storica induca i giudici a non optare per questa eventualità.Il secondo esito possibile è un accoglimento del ricorso. È, come ovvio, la soluzione auspicata da Cappato e da chi sostiene la sua battaglia. Al di là delle specifiche (per le quali occorrerà più tempo rispetto al verdetto), in questo caso i giudici dichiarerebbero incompatibile con la Carta l'articolo 580 («Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni») nella parte in cui si occupa dell'aiuto materiale e non della creazione della determinazione al suicidio stesso. Le conseguenze sarebbero l'obbligo per il legislatore di riscrivere la legge (di cui la propaganda radicale sottolinea la genesi «fascista», con polemico riferimento che andrebbe però esteso a tutto il codice del 1930). Di fatto, però, l'eutanasia - almeno laddove chiesta dalla persona che vuole morire - diventerebbe legale. E qualunque atto teso «semplicemente» ad agevolare il compimento di questa volontà sarebbe del tutto lecito, anzi protetto dalla legge.Il terzo esito è un intervento comunque nel merito ma di segno opposto: un rigetto del ricorso con sentenza interpretativa che, sempre al netto delle motivazioni, confermi che aiutare un suicida non presenta caratteristiche giuridiche diverse dall'atto di indurre la tragica scelta, e dunque resta reato. Chi ha sostenuto il ricorso alla Consulta, infatti, punta tutto sulla separazione tra le due fattispecie prevista dall'articolo 580: la «determinazione» del suicidio altrui e la sua «agevolazione all'esecuzione», che il legislatore ha distinto nella descrizione ma non nella illiceità, probabilmente considerandoli quasi impossibili da separare nella pratica. Aprire la finestra a uno che vuole buttarsi di sotto senza dubbio «agevola l'esecuzione» del suicidio, ma può non «rafforzare» contemporaneamente l'atto, per esempio rispetto a chi non la spalancasse? Rifiutare l'impostazione suggerita da Cappato, ritenere cioè che portare un uomo a darsi la morte non sia un esercizio di libertà da tutelare per legge, avrebbe tra le altre cose una conseguenza non secondaria, specie agli occhi dell'opinione pubblica: portare alla prosecuzione del processo, e a una potenziale condanna, non solo l'esponente radicale ma anche la madre e la fidanzata di Fabiano Antoniani.