2023-01-31
Agrivoltaico: il nuovo flop verde annunciato
Visto che i classici pannelli sui tetti costano troppo, le industrie del settore ora spingono sistemi alternativi in grado di seguire il sole da installare sopra i campi coltivati. Ma i calcoli smontano la retorica: spese fuori controllo e produzione minima.Quando qualcosa non funziona ci sono due possibilità. Una ragionevole: dismetterla. L’altra non so come definirla, perché non è solo questione di razionalità: comunque sia, trattasi di perseguirla cambiandole nome. Paradigmatico esempio di questa seconda via è stato, in politica, il caso del Pci, diventato poi Pds e poi Pd. Pare che gli adepti si stiano scervellando sul nuovo nome da dare a ciò che è oggi chiamato Pd.Il fotovoltaico (Fv) è altro esempio di questa pratica singolare di perseguire un fallimento semplicemente cambiandogli il nome. Abbiamo spiegato mille volte perché la tecnologia non funziona. Per farla breve: è una tecnica costosissima che produce energia elettrica solo se il sole picchia - intorno a mezzogiorno e col cielo terso - ma noi abbiamo bisogno d’elettricità H24. La gente comincia a rendersi conto sul campo che il Fv non funziona, che non v’è alcuna convenienza economica a installarlo e, di conseguenza, se gli nomini la parola si gira dall’altra parte, perché capisce che è fuffa. A meno che, naturalmente, non sia qualcun altro a pagare, ma questa è un’altra storia. Alcuni che vendono la fuffa, allora, anziché dedicarsi ad altro perseguono l’impresa fallimentare ma le han cambiato nome: agrivoltaico. La geniale idea sarebbe questa: siccome gli impianti sui tetti costano due occhi, si vorrebbe farli a terra, pagando un solo occhio, coprendo i campi. Che però servirebbero per l’agricoltura, visto che abbiamo la seccatura del bisogno di nutrirci. Allora si vorrebbe montare questi impianti sì, sui campi, ma ad altezza tale da non togliere completamente la luce alla coltivazione agricola. Poi, per massimizzare la resa elettrica, i pannelli vengono montati su strutture che inseguono, per così dire, il sole: questo gira ma, come fa il girasole, si fanno girare anche i supporti dei pannelli in modo da essere questi sempre rivolti verso il sole. Beh, «sempre» è una parola grossa, ma insomma, si fa quel che si può.L’idea (di due tizi tedeschi) è vecchia di 40 anni e se vi chiedete, dopo 40 anni, a che punto siamo, il fatto è che nel mondo - in tutto il mondo - ci sono 3 GW di agrivoltaico installato, distribuiti tra Giappone, Cina, Francia, Usa e Sud Corea, che producono 0,5 GW elettrici. Tutti e 3 i gigawatt son stati possibili solo grazie a programmi di finanziamento governativi, cioè con denaro dei contribuenti. Tanto per mettere quei 3 GW (che producono 0,5 GW) in prospettiva: tutto il fotovoltaico italiano ammonta a 24 GW e produce 3 GW. Siccome rimane l’obiezione che se sono i pannelli a captare la luce del sole questa viene sottratta alle piante - che di luce solare si nutrono (oltre che di H2O e CO2) - ecco allora pronto il solito studio che assicura che coprendo i campi coi pannelli la produzione agricola aumenta. Dando per buona la sorprendente affermazione, ci si chiede come mai gli agricoltori non abbiano pensato prima a dotare i loro campi di economiche coperture di cartone montate su pannelli ruotanti in modo da inseguire il sole, ombreggiare le piante e aumentare così la produzione. Dicono che campi di mais dotati di agrivoltaico aumentino la produzione del 4%.Continuando a dare per buona la sorprendente affermazione, vediamo cosa significa la cosa, e per vederlo dobbiamo affidarci, come sempre, all’aritmetica, e applicarla sul campo. Nel Maceratese vorrebbero installare 30 megawatt agrivoltaici su un’area di 40 ettari. Ora, su un’estensione di 1 milione di ettari, la produzione annua italiana di mais si attesta a 11 milioni di tonnellate per un valore di 2 miliardi di euro. Facendo le debite proporzioni, il presunto aumento di resa di mais dal campo marchigiano in parola, una volta dotato di agrivoltaico, comporta un guadagno di 3.500 euro l’anno. A fronte di 35 milioni d’euro per l’impianto. L’insignificante aumentata resa spiega perché gli agricoltori non dotino i loro campi di sistemi ombreggianti rotanti neanche di cartone. Quindi non v’è alcuna motivazione agricola per giustificare gli impianti di cartone. Men che meno offrono giustificazione quelli elettrici di pannelli fotovoltaici. V’è una giustificazione energetico-economica? Di nuovo, ci viene in soccorso l’aritmetica. Il proposto impianto costa quindi 10 miliardi per gigawatt prodotto. Ma 1 gigawatt elettrico può prodursi con un reattore nucleare che richiede appena 3 miliardi d’impegno economico e che ha una vita d’esercizio di almeno 60 anni, a differenza dell’impianto agrivoltaico la cui vita d’esercizio dichiarata è 30 anni. Insomma, l’impianto costa il triplo e dura la metà di un normale reattore nucleare.Se non vi sono ragioni agronomiche o economiche per installare tale impianto, vi sono però ragioni paesaggistiche per non farlo. Sempre raffrontando con un impianto nucleare: una centrale nucleare con quattro reattori che produca 4 GW occupa, a stare larghi, meno di 100 ettari di territorio, mentre un agrivoltaico di pari produzione elettrica e simile a quello proposto nel maceratese si estenderebbe per 40.000 ettari! I Comuni marchigiani cui è stata avanzata la proposta farebbero bene a installare una centrale nucleare con quattro reattori e godere, tutta la regione, di energia elettrica in abbondanza e a buon mercato.Vi sono, infine, ragioni ambientali? L’unico sarebbe la decarbonizzazione del pianeta. Abbiamo già detto che la CO2 al pianeta fa solo bene (anzi, se aumenta la CO2 aumenta anche la produzione agricola). In ogni caso, non v’è nulla, ma proprio nulla, che l’Italia, col suo 0,8% di emissioni, possa fare per decarbonizzare il pianeta, visto che Cina e India hanno dichiarato non solo di escludere ogni volontà di decarbonizzazione ma, addirittura, di incrementare l’uso dei combustibili fossili. Per l’Italia installare impianti fotovoltaici o agrivoltaici significa sottrarre il denaro delle nostre tasse alla sanità, al lavoro, all’istruzione, ai lavori pubblici, e impegnarlo in fuffa che aumenterà vieppiù le nostre bollette elettriche.
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)