2019-11-01
Così i centri sociali schiavizzano gli immigrati
I migranti pagavano il pizzo ed erano costretti ad attaccare la polizia. Altrimenti, botte. Eccoli quelli che scrivevano «restiamo umani» e che professavano il principio della «solidarietà che non si processa» e che tifavano per la capitana Carola Rackete. Sono gli stessi che la Procura di Milano ha indagato per una sfilza di reati con tanto di misura cautelare personale di divieto di dimora in città: si tratta di tre italiani (Enrico Basset, nato a Milano, 25 anni; Gabriella Brahimi, Civita Castellana, provincia di Viterbo, 28 anni, e Stefano Grieco, Napoli, 21 anni) e di due stranieri (Dan Lucian Constantin, romeno, 26 anni e Sebastian Clemente Nazenze, angolano, 23 anni). Altri due complici sono invece indagati a piede libero. Fanno tutti parte del famigerato centro sociale Caab, il comitato autonomo abitanti Barona, che dovrebbe avere come vessillo di battaglia la difesa del diritto alla casa a favore degli ultimi, dei poveri, dei diseredati e degli emarginati. Un diritto che i cinque «kompagni» difendevano sì, ma dietro il pagamento di una tangente di 1.500 euro per ogni abitazione occupata e affidata in «locazione» a migranti, per lo più. Chi non poteva pagare - dicono le carte dell'inchiesta condotta dalla Digos milanese, diretta da Claudio Ciccimarra - non avrebbe mai avuto un tetto sotto cui ripararsi. Gli obblighi di fedeltà al collettivo non si esaurivano, però, col pagamento della tangente, proseguivano nel tempo e non avevano carattere di discrezionalità. Tutti gli occupanti che erano riusciti a entrare in un appartamento gestito dal Caab, dovevano poi sdebitarsi coi giovani del centro sociale partecipando tassativamente alle loro manifestazioni (quasi sempre violente) che si tenevano contro le forze dell'ordine durante sgomberi e sfratti di altri edifici della zona. Insomma, i poveri migranti non solo dovevano pagare per una soluzione precaria e illegale, ma dovevano votarsi anima e corpo al movimento. Usati come truppe di complemento o come mercenari per le battaglie metropolitane di sedicenti rivoluzionari. Chi non riusciva a mantenere il ritmo delle continue richieste o semplicemente non condivideva il modo di operare del centro sociale rischiava grosso. È il caso di un marocchino di 43 anni che, fiaccato dai ritmi massacranti del suo lavoro - che iniziava alle 3 del mattino per terminare alle 4 del pomeriggio - da inizio settembre di quest'anno aveva cominciato a disertare gli appuntamenti con il Caab sia in sede che fuori. Aveva smesso di fare volantinaggio (gratuito) e di partecipare alle riunioni e di rispondere nelle chat di Whatsapp. Il risultato di questo atteggiamento? È stato convocato per un «chiarimento» e massacrato di botte per insubordinazione. E come lui è stata picchiata anche una giovane connazionale intervenuta in sua difesa. Nonostante fosse incinta, la donna è stata malmenata, e ora la sua gravidanza è a rischio. Da quello che gli inquirenti sono riusciti a ricostruire, i cinque - per aumentare il potere ricattatorio sui migranti - sequestravano loro i documenti così da impedire qualsiasi tipo di movimento. I capi di imputazione sono diversi e articolati. E riguardano specifiche condotte criminali che i pm Alberto Nobili e Leonardo Lesti hanno contestato nella ordinanza firmata dal gip. Le singole accuse dicono che Basset si occupava dell'aspetto punitivo così come Constantin e Grieco. La Brahimi, invece, firmava minacce contro gli «inquilini» che si ribellavano, mentre l'ultimo dei «rivoluzionari», Nazenze, faceva parte della squadra che sfonda le porte degli appartamenti sfitti. Per prenderne poi possesso bisognava solo pagare.
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