
La bordata di Luigi Di Maio contro la proposta Pillon rischia di affossare una misura davvero necessaria. In questo modo, parte della coalizione gialloblù finisce per accodarsi agli assurdi veti delle femministe.«A andarci di mezzo sono sempre i figli». Questo antico detto popolare sul risultato finale di ogni rottura familiare rischia di essere confermato anche dai risvolti politici del dibattito sul disegno di legge per l'affido condiviso, il ddl 735 presentato dal senatore Simone Pillon, in discussione dalla settimana prossima al Senato. Il grave «così non va» di Luigi Di Maio non è propriamente di buon augurio. E non lo sono nemmeno le reazioni un po' fredde di chi questo decreto dovrebbe sostenerlo fino in fondo (cioè il versante leghista dell'attuale governo), ma forse teme di andare allo scontro su un tema che non porta tantissimi voti. Eppure si tratta di elementare buonsenso. È nell'interesse di ogni Stato capace di intendere e di volere scoraggiare la conflittualità tra genitori, e aiutarli da subito ad avviarsi a un'intesa su come educare insieme i figli, con una ripartizione di tempi e risorse davvero egualitaria e non simbolica. Ed è infatti ciò che ogni Stato ha cominciato (già da tempo) a fare, dopo il primo momento di stordimento (anche ideologico) successivo all'approvazione del divorzio e ai successivi dibattiti di ormai mezzo secolo fa. I figli sono i cittadini di domani e lo Stato è chiamato a garantire che possano crescere senza traumi di abbandono o violenza e con la partecipazione di entrambi i genitori. Ne hanno assolutamente bisogno, come sa chiunque abbia lavorato con i bambini. L'Italia arriva a questo appuntamento con enorme ritardo. Per questo un affido davvero condiviso può incidere profondamente sulla salute del Paese, dando nuove generazioni più forti, sicure di sé, più in grado di difendersi dai condizionamenti e dalle suggestioni collettive. Chi ha potuto contare su un padre e una madre ha già avuto una buona parte del bagaglio necessario a cavarsela nella vita e a non lasciarsi condizionare dalle varie pillole, magari avvelenate, che il sistema di comunicazione gli fa trovare. Come ad esempio le «pillole contro il Pillon» inventate dal creativo comitato Non una di meno. Il quale, democraticamente, della legge dice: «Non vogliamo discuterla o emendarla. Noi la respingiamo senza condizioni». Dove nasce tutta questa ostilità? Dai soldi, certamente, come ha realisticamente osservato anche il professor Angelo Panebianco (non proprio un noto eversore) sul Corriere della Sera (che in seguito non ha lesinato alla proposta paginoni critici): i milioni di cause di divorzio hanno portato miliardi negli studi degli avvocati e di tutto il potente indotto della litigiosità famigliare. Avvocati, psicologi, esperti di vario tipo: tutta la costosa «ortopedia dell'anima» (come la chiamava il filosofo Michel Foucault), destinata a supportare nella postmodernità la prepotenza individuale nel dare corso ai propri ghiribizzi, senza preoccuparsi degli altri e della comunità. Per consentire ai genitori di fare con i figli quel che volevano, indipendentemente dai bisogni affettivi e psicologici dei bambini, l'Italia non ha finora mai applicato neppure la Convenzione sui diritti del fanciullo varata nel lontano 1989 e da noi ratificata nel 1991, con il principio della bigenitorialità (genitori si rimane tutta la vita) da esso stabilito. Per essere genitori, infatti, bisogna stare con i figli almeno il tempo necessario a stabilire una vera relazione. Negli Stati Uniti, patria del divorzio, ci si accorse fin dagli anni Settanta che (come Pillon ricostruisce nella sua relazione al Senato) dietro l'affido condiviso potevano celarsi realtà molto diverse. L'affido legalmente condiviso è quello così chiamato sulla carta, ma dove in realtà uno dei genitori non c'è (o conta) per nulla. È nell'affido materialmente condiviso, dove il bambino passa con padre e madre il tempo necessario a riconoscerli e sentirli come genitori, che le decisioni sono davvero condivise. Comunque l'Italia, ultima delle grandi nazioni civili (e dopo molte piccole e meno importanti) fino al 2006 di affido condiviso non ne volle sapere affatto, e si andò avanti con l'affido esclusivo alla madre. Se qualcuno volesse approfondire il perché del bullismo, della droga, dei né né (i ragazzi che non studiano né lavorano), si legga pure l'ampia letteratura sulla funzione del padre «assente inaccettabile». Ci sarà un perché se nelle religioni e miti del mondo, all'inizio della civiltà, della comunità, della legge, della scienza ci sono degli dei, padri. Comunque anche la legge faticosamente varata nel 2006, N. 54 spaccia per condiviso un affido in realtà esclusivo alla madre. L'affido con tempi di soggiorno pari presso ognuno dei genitori da noi oggi è infatti l'1-2 per cento, in Belgio più del 20, in Svezia il 28. L'affido materialmente condiviso (quello previsto dalla proposta Pillon, da noi lo hanno il 3/4 per cento dei minori) uno dei tassi più bassi al mondo, in Belgio il 30%, in Svezia il 40% Cresciamo generazioni di figli senza padri, e poi ci lamentiamo quando combinano poco. E magari crediamo di essere all'avanguardia, come le Pillole anti Pillon. E gridiamo anche: «Viva l'Europa». Senza considerare che il Consiglio d'Europa nella risoluzione 2079 del 2015 ci ha chiesto di non tardare oltre ad adottare «l'effettiva uguaglianza tra padre e madre nei confronti dei propri figli, nel loro interesse». E di «introdurre la doppia residenza o domicilio dei figli, in caso di separazione, limitando le eccezioni ai casi di abuso, negligenza o violenza domestica». Proprio le cose che fanno inorridire i progressisti di noialtri. Che tutto vogliono, tranne una Paese davvero evoluto e avanzato, di persone libere e non di individui confusi e prepotenti. Per questo il decreto Pillon (come La Verità ha detto da subito) va certamente discusso, e magari corretto, ma nei suoi principi base approvato. È una prova di maturità del Paese.
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