2022-03-07
Adolfo Urso: «Putin vuole l’egemonia energetica»
Il presidente del Copasir: «Una strategia su vasta scala che potrebbe allargarsi fino ai Balcani e al Baltico. L’Italia distratta ha dimezzato le risorse per la difesa europea nonostante gli allarmi per la sicurezza».«Putin preparava quell’attacco da tempo, il Copasir aveva lanciato l’allarme sulla postura aggressiva della Russia». Adolfo Urso, presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), assicura che l’attacco russo in Ucraina non è stato una sorpresa per i servizi segreti occidentali che, anzi, avevano annunciato al mondo quello che sembrava impossibile, nel tentativo di convincere Putin a fermarsi. Peraltro, nella relazione annuale del Copasir del 9 febbraio erano contenute molte previsioni che oggi si sono avverate. Da quanto tempo gli ambienti di intelligence lanciano allarmi sulla situazione ucraina? «Lo hanno fatto pubblicamente da mesi, con un crescendo di allarmi, in un uso innovativo e trasparente dell’intelligence. Rendendo pubblico quanto scoperto sui piani del Cremlino, sul dispositivo militare ai confini, persino il giorno dell’invasione. E lo hanno fatto nel tentativo disperato di far recedere Putin dall’aggressione, e anche per mobilitare in tempo governi e opinione pubblica mondiale». E il Copasir?«Come sapete, i nostri lavori si svolgono con il vincolo della segretezza e della riservatezza. Quando decidiamo di rendere pubbliche le nostre valutazioni e le nostre indicazioni lo facciamo con le relazioni al Parlamento, nelle quali evidenziavamo con chiarezza l’accresciuta postura aggressiva della Russia, soprattutto in Ucraina e nell’Europa orientale ma anche nel Mediterraneo allargato, nei Balcani e nel Caucaso, in Libia e nel Sahel, anche al fine di affermare la sua supremazia energetica e mineraria».Quali sono stati gli errori dell’Occidente nei confronti della Russia? «La Russia si prepara da anni al confronto con l’Occidente, il punto di svolta è avvenuto proprio nel 2014 quando fallì il tentativo di far aderire l’Ucraina all’Unione doganale promossa da Mosca per la rivolta del “popolo di Maidan”. Quel progetto di “comunità economica” aveva assoluto bisogno del bacino industriale, agricolo e portuale dell’Ucraina. Da quel momento, con l’annessione della Crimea, è cambiato l’atteggiamento russo».Questo cambio di passo come si è concretizzato?«Con la creazione di una rete internet autonoma e una piattaforma nazionale di scambio bancario, nel tentativo di limitare gli effetti di quella che sarebbe stata la inevitabile reazione occidentale, ma anche con l’accresciuta presenza militare estera, attraverso i mercenari della Wagner. E questo sta avvenendo su più teatri: dal Mediterraneo al Sahel, dove sono avvenuti sei golpe in pochissimo tempo. Nelle ultime ore si aggrava la situazione anche in Libia. Insomma, quella di Putin è un’operazione su vasta scala, attraverso l’utilizzo di più strumenti, che punta anche alla supremazia energetica e al controllo delle materie prime».Nel suo intervento in Senato lei ha dichiarato: «Putin oggi vuole sottomettere l’Ucraina, per poi puntare a Moldova, Georgia e quindi ai Paesi baltici. Non possiamo fuggire dalla storia, possiamo però cambiarla». Teme davvero un’estensione del conflitto? «Abbiamo notato che in Bosnia i leader serbi, che in passato hanno collaborato con croati e bosniaci musulmani, improvvisamente hanno assunto atteggiamenti intransigenti. E pochi giorni fa il segretario generale della Nato ha indicato proprio Bosnia, Moldavia e Georgia come potenziali occasioni di conflitto. Altri ritengono che nelle mire ci siano anche le Repubbliche baltiche, soprattutto la Lettonia dove vi è una cospicua minoranza russa, che però hanno l’ombrello protettivo della Nato. Noi dobbiamo essere prudenti e nel contempo uniti e determinati».Anche sulla sicurezza energetica era stato lanciato un allarme preciso dal Copasir? «Avevamo svolto un’indagine conoscitiva nella seconda parte dello scorso anno, evidenziando al Parlamento la necessità di un piano di sicurezza energetica nazionale che ci affrancasse dalla dipendenza estera, nel quadro europeo e atlantico. Individuavamo criticità e vulnerabilità anche sull’eccessiva dipendenza dal gas russo, e già in quel documento indicavamo la necessità di aumentare la produzione nazionale e di realizzare una maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento». Insomma, siamo stati troppo distratti su questi temi cruciali di sicurezza nazionale?«Sì, purtroppo è così. Ma non solo noi. Pensi che le risorse per la difesa europea sono state quasi dimezzate nel quadro finanziario pluriennale. L’organismo che presiedo aveva lanciato diversi allarmi sollecitando anche una sessione parlamentare sulla sicurezza nazionale. Nei prossimi giorni consegneremo altre due relazioni su cui abbiamo lavorato negli ultimi mesi: quella sullo spazio come elemento geopolitico e quella sulla necessità di una più significativa difesa europea». Il governo è accusato di non aver trasmesso al Parlamento la lista degli armamenti ceduti all’Ucraina, a differenza di quanto accaduto negli altri Stati occidentali. «In realtà neanche gli altri Paesi hanno pubblicato le liste delle armi trasmesse all’Ucraina. Per quanto ci riguarda, il governo italiano ha immediatamente trasmesso questa lista al Copasir, che in questi casi rappresenta il Parlamento: l’informativa contiene il materiale interessato, compresi tempi e modalità di consegna. Trattandosi di informazioni sensibili, all’unanimità è stato deciso di mantenere il segreto su questi dati». Non c’è il rischio che queste armi possano finire in mano a paramilitari o mercenari? «In teatri come questo, il rischio c’è sempre. Il materiale verrà consegnato alle autorità governative ucraine, ma ovviamente non possiamo prevedere se poi cadrà in mano russe o peggio in quelle dei mercenari ceceni o siriani, se dovesse essere impiegato anche contro gli ucraini». Cedere armi agli ucraini comporta conseguenze per la nostra sicurezza nazionale?«Anche l’applicazione di sanzioni, peraltro di così grande efficacia, comporta dei rischi e ovviamente dei costi. Il Parlamento ha deliberato manifestando una unità quale mai si era vista». È d’accordo sul fatto che l’Ucraina dovrebbe diventare uno Stato neutrale?«Non sta a noi, ma al popolo ucraino decidere sulla collocazione internazionale di Kiev. Hanno scelto la libertà e la stanno difendendo come possono. Le immagini di donne che confezionano le bombe molotov nei parchi, di anziani che scavano le trincee e di giovani che si arruolano pur non avendo fatto mai il servizio militare scuotono le nostre coscienze. Ci ricordano ciò che abbiamo dimenticato: il valore delle libertà».Pensa che quella della neutralità sia una questione strumentale? «Come mai la Russia pretende la neutralità dell’Ucraina nel momento stesso in cui il referendum costituzionale in Bielorussia di domenica scorsa, programmato da mesi, ha cancellato la neutralità del Paese, consentendo così che nel suo territorio siano dislocati ordigni nucleari russi?». Si rischia una nuova Siria nell’Est Europa?«Sappiamo che l’eroismo del popolo ucraino, la fortissima leadership di Zelensky e la reazione unanime delle democrazie occidentali sono elementi che il Cremlino non aveva previsto nel pianificare l’invasione. Questo potrebbe indurre la leadership russa a rivedere i propri piani. Da parte nostra, dobbiamo perseverare nella via del dialogo, perché la soluzione comunque è solo diplomatica. Prepararsi al peggio, ma lavorare sempre per il meglio: per la pace e la stabilità».Quanto è esposta l’Italia a minacce di tipo informatico, che potrebbero di fatto bloccare la vita del Paese?«La Russia è diventato l’attore più attrezzato al mondo nella guerra cibernetica: abbiamo spesso sottolineato quanto fosse profonda la sua attività di intromissione nel nostro Paese. In questo campo è stata importante la creazione della Agenzia per la cybersicurezza nazionale, che colma una lacuna decennale rispetto a Francia e Germania».È sufficiente?«Sarà necessario anche realizzare alcune ulteriori modifiche legislative, sia nella definizione dei reati sia per consentire una più efficace difesa reattiva, così come appare urgente il cloud nazionale, per mettere in sicurezza i dati della Pubblica amministrazione, nonché la realizzazione di una rete unica a controllo pubblico».Si è molto polemizzato sulla sospensione di un corso universitario su Dostoevskij. Si parla di una deriva russofobica anche nel nostro Paese. Una tendenza che può nuocere al lavoro diplomatico di questi giorni? «La nostra difesa deve sempre configurarsi anche come difesa dei nostri valori di libertà, in ogni campo e per chiunque, ancor più quando parliamo di cultura, arte, storia. È questa l’essenza della nostra civiltà su cui non possiamo mai arretrare nemmeno a fronte della guerra. In particolare con la Russia abbiamo una millenaria storia di amicizia. Penso per esempio alla cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a San Pietroburgo e tanti altri monumenti storici costruiti dagli architetti italiani».
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
Continua a leggereRiduci