2025-03-14
«Adolescence», la serie Netflix oltre l'apparenza
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Quattro episodi, girati senza bisogno di alcun editing: un flusso di coscienza, non letterario ma visivo, atto a restituire il dramma della crescita. Adolescence, miniserie televisiva, al debutto su Netflix giovedì 13 marzo, sembrerebbe - a uno sguardo superficiale - catturare l'orrore di un omicidio, brutale perché compiuto da un bambino. Invece, si spinge oltre.Oltre l'apparenza, i confini e le logiche di genere, oltre il codice del poliziesco. Adolescence, con l'esordiente Owen Cooper a interpretare il tredicenne protagonista, Jamie Miller, non è la cronaca di un assassinio, ma il tentativo di capire cosa armi i ragazzini d'oggi, cosa li renda violenti e ciechi, amorali nei casi più estremi.Quando i titoli di testa sfumano e le immagini prendono a scorrere, due agenti di polizia sono alla porta di una casa inglese. Non bussano, non usano delicatezza. Come nei film più triti, la porta la abbattono, percorrendo in fretta e furia gli spazi privati di chi oltre quella soglia vive. Non cercano adulti, però. Quel che vogliono è un ragazzino, un bambino in età da scuola media. Jamie ha tredici anni, i genitori potrebbero giurare non abbia mai mostrato alcun segnale di squilibrio. Pareva loro fosse un ragazzo come tanti, avesse l'umore ballerino che gli anni rendevano lecito, la capacità di sentire con troppa enfasi o troppo poca. Ma gli agenti, nella calma di quella mattina inglese, dicono altro. Sostengono Jamie abbia ucciso una compagna di scuola, una coetanea. Perciò, le manette, il capo chino, l'invito ad infilarsi nell'automobile d'ordinanza come avrebbe fatto un criminale rodato, seguendo la sua stessa prassi. Il commissariato è la prima tappa del racconto. La telecamera ci arriva senza stacchi, la scena scorre davanti agli occhi di chi guardi come se accadesse in tempo reale. I detective della Omicidi, gli stessi Bascombe (Ashley Walters) e Frank (Faye Marsay) che hanno buttato giù la porta di una casa altrui per strappare al suo letto un bambino di tredici anni, parlano poco.Il caso è oggetto di indagine, e così Jamie. Jamie e la sua oscurità, Jamie che i genitori non conoscevano davvero, Jamie che di lì in poi avrà una psicologa dedicata, Briony Ariston (Erin Doherty). Adolescence, con l'ex volto di Peaky Blinders, Stephen Graham, ad interpretare il padre di Jamie, quel ragazzo lo scopre poco a poco, muovendosi sul limbo sottile che separa il giudizio umano dalla verità giuridica. Non c'è sentenza, quando il racconto si apre. La parola presunto precede la qualifica di assassino. Jamie non è niente, per certo. Eppure, tutto crolla, la famiglia implode e fra le macerie si fa strada altro: la consapevolezza di quanta fragilità possano nascondere gli adolescenti di oggi, quanta fatica a gestire le emozioni possano provare. La serie Netflix, la cui sinossi è in parte ispirata a fatti di cronaca reali avvenuti in Inghilterra, non è tanto un poliziesco, quanto una fotografia dello spaccato socioculturale odierno, fatta cercando di dare alla famiglia di Jamie la responsabilità che merita. Una responsabilità parziale, che in nessun modo assolva il ragazzo. «Non volevo questo papà fosse un uomo violento o la madre un'alcolizzata. Non volevo il ragazzino fosse stato molestato dallo zio Tony. Volevo costruire la narrazione cercando di rimuovere ogni elemento che potesse portare lo spettatore a dire: "Oh, perciò ha fatto quel che ha fatto».Jamie, all'apparenza normale, è stato causa del suo stesso male. Si è perso nei meandri di Internet, scoprendo una subcultura, quella degli incel, celibi volontari, e radicalizzandosi senza possibilità di ritorno. «Ad un certo punto, Jamie è scomparso. Semplicemente, è successo, è andato. Si è chiuso dietro la porta della propria stanza ed è entrato in un altro mondo, mentre i genitori pensavo fosse al sicuro», ha spiegato Graham al Guardian, contestualizzando lo show non nel genere crime, ma altrove, in una realtà di tecnologia, social e isolamento.
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