
I miliziani conquistano Sirte e puntano alla Tripolitania dove sono dislocati i nostri militari. Ufficialmente si tratta di una missione sanitaria ma rischiano di dover sparare. E il ritiro sarebbe la batosta dell'Italia.Poco importa chi sia stato veramente a uccidere un plotone di cadetti dell'esercito di Tripoli. Ieri si è ipotizzato persino che ci possa essere lo zampino di mercenari russi. Il video diffuso aveva il solo scopo di accendere la miccia. La Turchia, nel dubbio, ha subito soffiato sul fuoco e accelerato i preparativi per mettere gli stivali sul terreno, come si suol dire. D'altra parte, l'uomo forte di Bengasi, Khalifa Haftar, vuole guadagnare terreno nella speranza di posizionare il maggior numero di pedine prima che i player esteri definiscano sulla mappa le rispettive sfere d'influenza. Non a caso ieri, le milizie di Misurata, allineate al governo di accordo nazionale (Gna) della Libia, hanno cominciato a ritirarsi da Sirte lasciando via libera all'Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar, che ha già preso il controllo di uno dei quartieri più importanti della città. Le forze di Bengasi avrebbero assunto anche il controllo della base aerea di Qardabiya, della Porta 20 e dell'area sud-orientale di Sirte, incluso il Quartiere 3.La presa di Sirte per l'Italia potrebbe avere un sapore molto amaro. Le milizie che fanno capo ad Ahmeed Maiteeq, vice premier del governo di Tripoli e uomo forte di Misurata, sono state fino ad ora un forte cuscinetto all'avanzata della compagine di Haftar. Se salta Sirte, Misurata (che dista poco più di 200 chilometri) rischia di essere accerchiata in breve tempo. A quel punto i soldati turchi (o le milizie che fanno riferimento ad Ankara) dovranno accelerare verso il Golfo e puntare sull'aeroporto di Misurata. Esattamente dove in queste ore sono asserragliati circa 300 militari italiani. Su di loro il governo di Roma non si è ancora pronunciato. Maiteeq, al contrario, nelle ultime ore ha preso le distanze dal premier Fajez Al Serraj. Forse per mantenersi equidistante rispetto ai turchi e per guadagnarsi spazi di manovra in caso di riposizionamento. Non tanto verso i francesi che hanno perso terreno, ma forse verso gli egiziani. Di certo non si preoccuperà di mantenere attive le protezioni di intelligence e le relazioni diplomatiche con Roma. Peccato che la politica italiana negli ultimi due anni lo abbia sempre utilizzato come vero interlocutore al di là del canale di Sicilia. Così le copertura politiche ai nostri militari arrivano da lì. Se queste saltano il contingente tricolore si troverà schiacciato tra i due fuochi. Ma la cosa più grave e che purtroppo dovrà affrontare i guai senza un vero incarico né mandato. La scorsa settimana il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha detto che non prevede nessun disimpegno e che i contingenti sono inquadrati in precise missioni, all'interno delle quali l'Italia non è chiamata a scelte individuali. Affermazione corretta se ci si riferisce all'Iraq o al Kuwait. Non altrettanto per la Libia. La nostra presenza a Misurata è ovviamente sotto l'egida Onu ma risulta sotto la bandiera dell'assistenza bilaterale in parallelo all'operazione Mare Sicuro. In sostanza, i 300 soldati fanno supporto logistico e assicurano la continuità dei servizi all'ospedale di Misurata. L'anomalia sta però nel numero. Sono troppo tanti per essere un semplice presidio sanitario, troppo pochi per diventare operativi sul territorio. Lo scorso aprile lo Stato Maggiore della Difesa aveva smentito qualunque intervento al di fuori del perimetro logistico e sanitario. Adesso però le cose sono cambiate e il rischio di difendersi dagli attacchi si è fatto molto concreto. Con il risultato che l'Italia si potrebbe trovare immischiata in una guerra nell'arco di una notte senza volerne e senza sapere come uscirne. Oppure potrebbe dover decidere di lasciarsela alle spalle avviando l'esfiltrazione del contingente. Anche se fosse questa la scelta giusta, politicamente sarebbe la batosta definitiva. Evacuare Forze speciali e qualche decina di istruttori non è così impegnativo e soprattutto si può fare di nascosto. Allontanare 300 soldati da un teatro di guerra diventa inevitabilmente una scelta politica. Lo saprebbero tutti.Anche se il governo ha il dovere di difendere i nostri militari dando loro regole di ingaggio chiare e mettendoli nella condizione di sapere chi sono i nemici e chi sono gli alleati. Al momento Giuseppe Conte non sembra aver chiaro nessuna delle opzioni. Al tempo stesso, esfiltrare notte tempo il contingente significherebbe lasciare ai turchi campo libero con tutto ciò che ne consegue. Tolto il presidio di Misurata che cosa resterebbe all'Italia? L'attuale ministro della Difesa ha recentemente riaperto la strada all'ipotesi di una presenza italiana nel Sahel, spiegando però che sarebbe da inquadrare in una missione congiunta con i francesi. Tre anni fa, ai tempi del governo Gentiloni, il nostro Parlamento votò a favore di un contingente in Niger salvo poi veder naufragare la missione per via dell'ostruzionismo del governo di Niamey e per via delle frizioni dei nostri militari che temevano - giustamente - di ritrovarsi a fare da ruota di scorta a Parigi. Adesso, bisognerebbe ripartire da zero. Capire che cosa ha intenzione di fare Donald Trump a Sud della Libia e quale partecipazione possiamo strappare allo schema americano. Senza aver posizionato le pedine, meglio non fare nulla: metteremmo solo in pericolo le vite di chi indossa la divisa. Ma se non faremo nulla avremo perso il diritto a rimanere nel consesso del G7. Rientrare poi non sarà certo una passeggiata.
Mucche (iStock)
In Danimarca è obbligatorio per legge un additivo al mangime che riduce la CO2. Allevatori furiosi perché si munge di meno, la qualità cala e i capi stanno morendo.
«L’errore? Il delirio di onnipotenza per avere tutto e subito: lo dico mentre a Belém aprono la Cop30, ma gli effetti sul clima partendo dalle stalle non si bloccano per decreto». Chi parla è il professor Giuseppe Pulina, uno dei massimi scienziati sulle produzioni animali, presidente di Carni sostenibili. Il caso scoppia in Danimarca; gli allevatori sono sul piede di guerra - per dirla con la famosissima lettera di Totò e Peppino - «specie quest’anno che c’è stata la grande moria delle vacche». Come voi ben sapete, hanno aggiunto al loro governo (primo al mondo a inventarsi una tassa sui «peti» di bovini e maiali), che gli impone per legge di alimentare le vacche con un additivo, il Bovaer del colosso chimico svizzero-olandese Dsm-Firmenich (13 miliardi di fatturato 30.000 dipendenti), capace di ridurre le flatulenze animali del 40%.
Matteo Bassetti (Imagoeconomica)
L’infettivologo Matteo Bassetti «premiato» dal governo che lui aveva contestato dopo la cancellazione delle multe ai non vaccinati. Presiederà un gruppo che gestirà i bandi sui finanziamenti alla ricerca, supportando il ministro Anna Maria Bernini. Sarà aperto al confronto?
L’avversione per chi non si vaccinava contro il Covid ha dato i suoi frutti. L’infettivologo Matteo Bassetti è stato nominato presidente del nuovo gruppo di lavoro istituito presso il ministero dell’Università e della Ricerca, con la funzione di offrire un supporto nella «individuazione ed elaborazione di procedure di gestione e valutazione dei bandi pubblici di ricerca competitivi».
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Lo speciale contiene due articoli
La Philarmonie (Getty). Nel riquadro, l'assalto dei pro Pal
A Parigi i pro Pal interrompono con i fumogeni il concerto alla Philarmonie e creano il caos. Boicottato un cantante pop per lo stesso motivo. E l’estrema sinistra applaude.
In Francia l’avanzata dell’antisemitismo non si ferma. Giovedì sera un concerto di musica classica è stato interrotto da militanti pro Pal e, quasi nello stesso momento, un altro concerto, quello di un celebre cantante di origine ebraica, è stato minacciato di boicottaggio. In entrambi i casi, il partito di estrema sinistra La France Insoumise (Lfi) ha svolto un ruolo non indifferente.






