2022-03-25
A uccidere il reporter fu l’Ucraina ma in otto anni nessuno ha pagato
Il fotografo italiano Andrea Rocchelli fu trucidato nel 2014 dalle truppe di Kiev. I magistrati hanno escluso la responsabilità penale di una singola persona, ma nello stesso tempo hanno ribadito la colpa dello Stato.Chissà quando e come finirà la mattanza in Ucraina. Ma di certo una delle questioni centrali sarà la sacrosanta richiesta che siano perseguiti con la massima severità i crimini di guerra di Putin e delle sue forze armate. Dovrebbe però essere l’occasione per il presidente Zelensky di riflettere su quanto ebbe a dire un paio d’anni fa. Allora protestò con l’Italia perché ritenne «eccessivi» i 24 anni di carcere inflitti (in primo grado, assolto in appello) al volontario della Guardia nazionale ucraina, Vitaly Markiv, dalla Corte d’assise di Pavia per l’uccisione del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli, 30 anni. «Andy» fu fatto a pezzi dai mortai dell’esercito di Kiev nel Donbass in un’area contesa con gli indipendentisti filorussi. Con lui morì il collega russo Andrej Mironov, rimase ferito ma si salvò il fotografo francese William Roguelon: testimone prezioso. Grazie a lui, ai suoi video e alle foto scattate fino all’ultimo da Andy è stato accertato che tutti e tre erano in abiti civili, armati solo delle macchine fotografiche.Un crimine di guerra alla rovescia dove i buoni - gli ucraini - sono un po’ meno buoni e i cattivi - i filorussi, che aiutarono il francese a salvarsi - un po’ meno cattivi. Se la memoria di Andrea Rocchelli è viva lo si deve ai genitori e all’associazione Ossigeno per l’informazione, che tutela i giornalisti minacciati e lo ha ricordato (insieme ai 30 cronisti italiani uccisi dalle mafie o in zone di guerra) un paio di giorni fa in occasione della commemorazione di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin.Andy e i suoi amici stavano documentando i soprusi e a volte le atrocità commesse dai governativi a danno dei civili, perché questo è o dovrebbe essere il nostro mestiere. Il 24 maggio 2014 nei pressi di Sloviansk davanti alla collina di Karachun da una postazione della Guardia nazionale ucraina a difesa di un’antenna tv furono bersagliati da raffiche di khalasnikov. Un primo tiro di mortaio colpì il taxi con cui erano arrivati per impedirne la fuga. Una volta fuggiti in un boschetto vicino e buttati in un fosso, arrivarono circa venti colpi di mortaio, sempre più precisi, fino a quando uno li prese in pieno. Nel processo è rimasto il dubbio non che il fuoco fosse stato aperto per uccidere, quello era evidente, ma che fossero stati presi di mira proprio perché giornalisti. Caso più unico che raro, uno dei presunti responsabili è stato processato grazie alla caparbietà e al coraggio del pm di Pavia, Andrea Zanoncelli. Vitaly Markiv, classe 1989, era arrivato in Italia nel 2002, ha la doppia cittadinanza italiana perché la madre ha sposato un nostro connazionale. Poi era rientrato in Ucraina e si era arruolato volontario nella Guardia nazionale. Fu arrestato (30 giugno 2017) all’aeroporto di Bologna quando era tornato per salutare la mamma. Secondo l’accusa aveva un ruolo di comando della pattuglia sulla collina Karachun e avrebbe segnalato la posizione dei tre giornalisti all’esercito. Il 12 luglio 2019 la Corte d’assise di Pavia lo ha condannato a 24 anni per concorso in omicidio, non perché abbia sparato personalmente i colpi di mortaio ma per aver «contribuito materialmente ad aiutare chi li ha esplosi colpendo civili […] privi di qualsiasi arma». Cosa più importante, responsabile civile di questo crimine è stato ritenuto il governo di Kiev.«L’eccezione che conferma la regola, che è l’impunità nei casi di giornalisti uccisi all’estero» commenta amaro Alberto Spampinato, il direttore di Ossigeno: «In queste vicende pesano i rapporti commerciali, le relazioni diplomatiche, insomma la ragion di Stato». E veniamo a Volodymyr Zelenski. Appena eletto, il presidente ucraino nel settembre 2019, in una telefonata al premier Giuseppe Conte, espresse la sua vibrata «preoccupazione per la sentenza di condanna ingiustamente dura», cioè i 24 anni per un omicidio a sangue freddo, con l’auspicio che l’appello andasse diversamente. Cioè: Zelenski non ha minimamente sollevato l’eventualità dell’innocenza, l’estraneità dei soldati ucraini eccetera. No: ha protestato per la «durezza» della pena.Ha avuto, come si dice, ampia soddisfazione. C’è da dire ancora che in primo grado più volte tra il pubblico ha ostentato la sua presenza il ministro dell’Interno ucraino da cui dipende la Guardia nazionale. Difeso dal team dell’avvocato Raffaele Della Valle, l’ex soldato Markiv il 4 novembre 2020 è stato assolto dalla Corte d’assise d’appello di Milano «per non aver commesso il fatto» (sentenza confermata dalla Cassazione). Abbastanza determinante è stato il fatto che non sono state ritenute valide le testimonianze di comandanti e ufficiali ucraini perché non compiutamente informati sulla facoltà di non rispondere.Nelle sentenze è rimasto pacifico che a uccidere siano state le forze ucraine. Nel processo, grazie all’attività dell’avvocato Alessandra Ballerini rimasta sempre a fianco della famiglia Rocchelli, è emerso che le forze ucraine avevano messo nel mirino i giornalisti, secondo l’allarme dell’Osce e il rapporto di Human rights watch con oltre 300 episodi di violenza registrati contro i media nei mesi precedenti all’omicidio di Andrea Rocchelli e Andrej Mironov. Chissà se il presidente Zelensky tuttora pensi che 24 anni siano troppi per aver fatto il tiro a segno con i mortai su dei civili (in questo caso giornalisti). E se il presidente Mario Draghi ritenga di chiedere la consegna degli assassini di Andy.
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