2019-05-13
A rinnegare la democrazia sono proprio i libri dei «buoni»
Nei loro testi (leciti), gli intellò teorizzano la fine del sistema politico dell'Occidente.Negli ultimi giorni - complice il grottesco dibattito sorto sulle ceneri del Salone del libro diventato Salone della censura - si è molto parlato di democrazia. Per lo più a sproposito. La casa editrice Altaforte è stata bandita dalla kermesse letteraria poiché accusata di «fascismo» e considerata un pericolo per il vivere civile. Pare, infatti, che i sovranisti, la «destra estrema», i populisti e gli altri reietti d'area siano nemici della democrazia. Di più: una minaccia. Essi vorrebbero impedire le elezioni, instaurare la dittatura di una minoranza, limitare la libertà d'espressione e di pensiero. Peccato che, negli ultimi tempi, gli unici ad agire in questo modo siano stati proprio i sinceri progressisti. Se si entra in una qualsiasi libreria (o ci si aggira per i corridoi del Salone del libro) si possono trovare tantissimi volumi estremamente critici nei confronti della democrazia. Si trovano addirittura libri che ne auspicano la scomparsa. E, guarda un po', sono tutti firmati da autori progressisti. Ecco qualche esempio tratto da testi pubblicati negli ultimi due anni. «La democrazia appare fragile e vulnerabile», scrive l'illustre giurista Sabino Cassese nel saggio La democrazia e i suoi limiti. «La democrazia formale è senz'altro la più perfetta visione della democrazia, ma anche la più inapplicabile. Soprattutto quando è stato superato un certo meridiano della storia e le pressioni demografiche, etniche, psichiche diventano sopraffacenti», sostiene Roberto Calasso nel bestseller L'innominabile attuale. Parag Khanna, guru di livello internazionale, ha spiegato in un pamphlet che la democrazia è diventata incapace di garantire il benessere dei cittadini, motivo per cui serve una svolta tecnocratica: «Gli Stati Uniti di democrazia pare ne abbiano più che a sufficienza; quello di cui hanno bisogno è invece più tecnocrazia, molta di più», ha scritto. Pierre Rosanvallon, icona della sinistra francese, ha invece proposto la «controdemocrazia, una modalità di partecipazione che non è il contrario ma piuttosto il completamento della democrazia, attraverso la quale la società civile sorveglia e stimola le istituzioni» (ma non dovrebbero essere i regimi autoritari a «sorvegliare»?). Feltrinelli ha pubblicato un pamphlet di David Van Reybrouck intitolato Contro le elezioni che viene presentato così: «In tutta Europa, i cittadini votano sempre meno, sono sempre più inclini a prestare fede a retoriche populiste, non credono più nella classe politica. Che fare? In molti si sono posti questo interrogativo, ma in pochi hanno risposto con una proposta altrettanto radicale e sorprendente di quella di Van Reybrouck: abolire le elezioni, non scegliere più con il meccanismo elettorale i componenti del Parlamento. E affidarsi al sorteggio per determinare coloro i quali hanno la responsabilità di scrivere le leggi dello Stato». Piuttosto che rischiare la vittoria della destra, meglio sorteggiare. Un altro autore Feltrinelli, Yascha Mounk, è un po' meno estremo, ma il suo Popolo vs Democrazia si perita di spiegare che il sistema attualmente in vigore in Occidente forse merita una revisione, poiché ha portato alla vittoria delle destre in molti Paesi. Potremmo citare altri autori, anche italiani, ma ci fermeremo qui, perché ormai siamo arrivati al punto. Questo è l'aspetto curioso della faccenda: tutti i signori di cui sopra non si limitano a criticare le attuali classi dirigenti. No: se la democrazia funziona male, dicono, è colpa della democrazia come sistema di governo, ergo bisogna ripensarla a livello formale, modificarla, integrarla. Avete mai sentito un discorso simile da parte dei vari «fascisti» sempre chiamati in causa? I movimenti populisti e identitari, a oggi, hanno sempre rispettato alla lettera le procedure democratiche. Dove hanno vinto, lo hanno fatto attraverso il voto. Da nessuna parte si sono imposti con manganelli e olio di ricino. Sul piano teorico, poi, una delle più convincenti difese della democrazia lette negli ultimi tempi viene proprio da un pensatore della «destra radicale», Alain de Benoist. In un libro del 1985 (ristampato in Italia un paio d'anni fa), intitolato Democrazia, il problema, egli spiegava che oggi «non resta che una legittimità plausibile: la legittimità democratica, cioè la sovranità del popolo. Va aggiunto che è anche la sola legittimità veramente politica, in quanto mira a porre il potere nelle mani dei cittadini, membri di una comunità politica data». Ma il pericolo sono i fascisti, come no.