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2023-12-02
A Dubai Meloni lancia la conferenza africana
Giorgia Meloni e il primo ministro etiope, Abiy Ahmed (Ansa)
L’Italia contribuirà con «100 milioni di euro» al fondo Loss & Damage, che consiste in aiuti ai Paesi più poveri e vulnerabili del mondo, in genere i più colpiti dal disastro climatico, sbloccato ieri nei negoziati della Cop 28. Lo ha annunciato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento a un panel sulla sicurezza alimentare al vertice di Dubai. «Occorre dedicare risorse adeguate al nesso clima-sistemi alimentari», ha detto Meloni, ribadendo che «questo è uno degli obiettivi del Fondo italiano per il clima da 4 miliardi di euro, di cui il 70% sarà destinato ai Paesi africani». «Non però», ha aggiunto, «attraverso un approccio caritativo, perché l’Africa non ha bisogno di carità. Ha bisogno di essere messa in condizione di competere ad armi pari, per crescere e prosperare grazie alla moltitudine di risorse di cui il continente dispone. Una cooperazione tra pari, rifiutando approcci paternalistici e predatori». Poi nel panel dedicato ai sistemi alimentari ha sottolineato che «la nostra sfida è non solo garantire alimenti per tutti ma assicurare alimenti sani per tutti perché la produzione alimentare non va considerata come sopravvivenza ma mezzo per una vita sana». «La ricerca», ha aggiunto, «è essenziale ma non per produrre alimenti in laboratorio, magari andando verso un mondo in cui i ricchi possono mangiare alimenti naturali e ai poveri vanno quelli sintetici, con un impatto sulla salute che non possiamo prevedere, non è il mondo che voglio vedere». Infine, ha invocato una riforma delle banche multilaterali di sviluppo il cui ruolo è essenziale. «Ma non possiamo nascondere il fatto che necessitano di essere adattate al contesto odierno», ha detto spiegando che «le singole nazioni possono fare poco senza la collaborazione internazionale, e ogni forum multilaterale deve saper fare la propria parte. Ed è ciò che porteremo avanti anche quando l’Italia assumerà la presidenza del G7 nel 2024».
Il vertice di Dubai è però servito anche a Meloni per tenere una raffica di incontri bilaterali. Come quello con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: sono stati affrontati gli ultimi sviluppi della crisi a Gaza. Meloni, riferisce Palazzo Chigi, ha auspicato una nuova pausa umanitaria e sottolineato il ruolo della Turchia nell’evitare di allargare il conflitto al resto della regione. Ma sono stati discussi anche altri temi, come quelli relativi all’industria della Difesa, al processo di adesione della Turchia all’Unione europea e l’aggiornamento dell’Unione doganale tra Ankara e Bruxelles. Con il primo ministro etiope, Abiy Ahmed è stato affrontato il tema della collaborazione bilaterale anche nei settori dell’agricoltura e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. È stata trattata, inoltre, la questione dell’indebitamento dei Paesi africani ed è stata sottolineata l’importanza degli investimenti e della cooperazione da pari a pari, in vista della Conferenza Italia-Africa di fine gennaio. La presidente del Consiglio ha avuto anche un breve incontro con il primo ministro indiano, Narendra Modi, dopo l’avvio del partenariato strategico bilaterale nel marzo scorso, in occasione della visita della premier a New Delhi. Meloni ha avuto un breve incontro anche con il primo ministro del Libano, Najib Miqati e con il presidente di Israele, Isaak Herzog, cui ha espresso la piena solidarietà del governo a seguito del nuovo grave attentato rivendicato da Hamas che ha portato ieri all'uccisione di tre cittadini israeliani a Gerusalemme e alla fine della pausa umanitaria a Gaza. Ai bilaterali si sono aggiunti brevi colloqui con diversi Capi di Stato e di governo: la premier si è intrattenuta con il primo ministro inglese, Rishi Sunak, con il presidente francese Emmanuel Macron, con quello somalo, Hassan Sheikh Mohmud, con l’Emiro del Qatar, Tamim Al Thani, con il presidente indonesiano, Joko Widodo, con il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e con il primo ministro della Lettonia, Kaja Kallas.
Ieri a Dubai Meloni ha rivisto anche Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione Ue alla Cop 28 ha sottolineato la necessità di promuovere lo sviluppo del carbon pricing e dei mercati del carbonio, definendoli potenti strumenti per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015. La mossa si basa sull’invito all’azione per i mercati del carbonio che la Commissione europea, la Spagna e la Francia hanno lanciato lo scorso giugno. Von der Leyen ha poi dichiarato che «la fissazione del prezzo del carbonio è il fulcro del Green deal. Nell’Ue, se si inquina, si deve pagare un prezzo per questo. Se qualcuno vuole evitare di pagare quel prezzo, deve innovare e investire in tecnologie pulite».
Intanto le tensioni in Medio Oriente hanno avuto un impatto anche sui colloqui del vertice. I rappresentanti iraniani hanno abbandonato i negoziati alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima per protestare contro la presenza di una delegazione israeliana. Lo ha annunciato il ministro dell'Energia di Teheran, Ali Akbar Mehrabian, capo della delegazione iraniana alla Cop 28 di Dubai. Gli iraniani considerano la presenza di Israele alla Cop 28 «contraria agli obiettivi e alle linee guida della conferenza e, in segno di protesta, stanno lasciando la sede della conferenza», ha fatto sapere Teheran. In mattinata il presidente iraniano Ebrahim Raissi aveva annunciato che non avrebbe partecipato ai lavori per la presenza «dei responsabili del regime sionista».
La strategia del segretario dell’Onu. Suicidiamoci per salvare il clima
Sua eccellenza António Manuel de Oliveira Guterres ha una ricetta per salvare il Pianeta. «Ridurre drasticamente le emissioni», eliminare «ogni tipo di combustibile fossile» triplicando le energie rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica così da portare «energia pulita a tutti entro il 2030». Ovvero nei prossimi sei anni. Il segretario generale delle Nazioni Unite sta indicando la strada di un suicidio collettivo, così da far sopravvivere solo Madre Natura.
Il suo messaggio all’apertura del World climate action summit aveva i toni catastrofici d’obbligo, per un vertice mondiale sul clima che sembrerebbe la questione più urgente in un mondo dilaniato da guerre e terrorismo religioso. Sta per scoccare «la mezzanotte per il limite di 1,5 gradi», tuonava ieri.
Ma nella rivoluzione green c’è ancora la speranza che l’incantesimo non finisca, rivelando l’assurdità degli obiettivi che ci vengono imposti per accelerare la transizione energetica. «Non è troppo tardi», ha detto Guterres ai capi di Stato accorsi a Dubai, per continuare la narrazione catastrofica.
«Potete prevenire lo schianto planetario e l’incendio. Abbiamo le tecnologie per evitare il peggio del caos climatico, se agiamo ora», ha sostenuto, «I Paesi sviluppati devono mostrare come raddoppieranno i finanziamenti per l’adattamento portandoli a 40 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, in attuazione dell’Accordo di Parigi, e chiarire come riusciranno a raggiungere i 100 miliardi di dollari», sempre negli obiettivi concordati.
Nella scia di devastazione e disperazione, dei record climatici che sarebbero stati infranti quest’anno secondo il rapporto dell’Organizzazione metereologica mondiale, il politico portoghese ha affermato che «quest’anno le comunità di tutto il mondo sono state colpite da incendi, inondazioni e temperature torride e l’impatto è devastante».
Il caos climatico starebbe «alimentando le fiamme dell’ingiustizia. Il riscaldamento globale sta mandando in tilt i bilanci, facendo lievitare i prezzi dei prodotti alimentari, sconvolgendo i mercati energetici e alimentando una crisi del costo della vita». Inarrestabile, così ha proseguito: «Il riscaldamento globale record dovrebbe far venire i brividi lungo la schiena dei leader mondiali. E dovrebbe spingerli ad agire», verso le energie rinnovabili. Con un messaggio affidato a X, è tornato a insistere sull’urgenza di arrivare a zero emissioni di CO2 per non superare il punto di non ritorno. «Non ridurre. Non diminuire. Eliminazione graduale», dei combustibili fossili. Tra i commenti sui social, gli è stato suggerito di adoperarsi per «l’eliminazione graduale dell’odio antisemita inculcato dall’Unrwa», l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente.
Guterres, infatti, continua a sostenere le ragioni dello Stato palestinese.
L’ha fatto all’indomani dello spaventoso attacco di Hamas contro Israele, il 7 ottobre scorso, quasi giustificando gli atti di terrore perché «il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione». Queste sono state le sue criticatissime parole. E l’ha continuato a ribadire in ogni occasione.
Anche ieri, il pensiero del segretario generale delle Nazioni Unite non andava a Israele ma alla Striscia. «Mi rammarico profondamente che le operazioni militari siano riprese a Gaza. Spero ancora che sia possibile rinnovare la pausa stabilita. Il ritorno alle ostilità dimostra solo quanto sia importante avere un vero cessate il fuoco umanitario», ha scritto su X.
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Alla Cop 28 parte il fondo per Paesi poveri (100 milioni), e il capo del governo mette in moto il piano Mattei con una sfilza di bilaterali Assurdità dentro il Forum: l’Iran lascia i negoziati per protesta contro la presenza di Israele «non conforme alla transizione green».Antonio Guterres: siamo in ritardo sugli obiettivi, eliminiamo subito tutti i combustibili fossili.Lo speciale contiene due articoliL’Italia contribuirà con «100 milioni di euro» al fondo Loss & Damage, che consiste in aiuti ai Paesi più poveri e vulnerabili del mondo, in genere i più colpiti dal disastro climatico, sbloccato ieri nei negoziati della Cop 28. Lo ha annunciato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel suo intervento a un panel sulla sicurezza alimentare al vertice di Dubai. «Occorre dedicare risorse adeguate al nesso clima-sistemi alimentari», ha detto Meloni, ribadendo che «questo è uno degli obiettivi del Fondo italiano per il clima da 4 miliardi di euro, di cui il 70% sarà destinato ai Paesi africani». «Non però», ha aggiunto, «attraverso un approccio caritativo, perché l’Africa non ha bisogno di carità. Ha bisogno di essere messa in condizione di competere ad armi pari, per crescere e prosperare grazie alla moltitudine di risorse di cui il continente dispone. Una cooperazione tra pari, rifiutando approcci paternalistici e predatori». Poi nel panel dedicato ai sistemi alimentari ha sottolineato che «la nostra sfida è non solo garantire alimenti per tutti ma assicurare alimenti sani per tutti perché la produzione alimentare non va considerata come sopravvivenza ma mezzo per una vita sana». «La ricerca», ha aggiunto, «è essenziale ma non per produrre alimenti in laboratorio, magari andando verso un mondo in cui i ricchi possono mangiare alimenti naturali e ai poveri vanno quelli sintetici, con un impatto sulla salute che non possiamo prevedere, non è il mondo che voglio vedere». Infine, ha invocato una riforma delle banche multilaterali di sviluppo il cui ruolo è essenziale. «Ma non possiamo nascondere il fatto che necessitano di essere adattate al contesto odierno», ha detto spiegando che «le singole nazioni possono fare poco senza la collaborazione internazionale, e ogni forum multilaterale deve saper fare la propria parte. Ed è ciò che porteremo avanti anche quando l’Italia assumerà la presidenza del G7 nel 2024».Il vertice di Dubai è però servito anche a Meloni per tenere una raffica di incontri bilaterali. Come quello con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan: sono stati affrontati gli ultimi sviluppi della crisi a Gaza. Meloni, riferisce Palazzo Chigi, ha auspicato una nuova pausa umanitaria e sottolineato il ruolo della Turchia nell’evitare di allargare il conflitto al resto della regione. Ma sono stati discussi anche altri temi, come quelli relativi all’industria della Difesa, al processo di adesione della Turchia all’Unione europea e l’aggiornamento dell’Unione doganale tra Ankara e Bruxelles. Con il primo ministro etiope, Abiy Ahmed è stato affrontato il tema della collaborazione bilaterale anche nei settori dell’agricoltura e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. È stata trattata, inoltre, la questione dell’indebitamento dei Paesi africani ed è stata sottolineata l’importanza degli investimenti e della cooperazione da pari a pari, in vista della Conferenza Italia-Africa di fine gennaio. La presidente del Consiglio ha avuto anche un breve incontro con il primo ministro indiano, Narendra Modi, dopo l’avvio del partenariato strategico bilaterale nel marzo scorso, in occasione della visita della premier a New Delhi. Meloni ha avuto un breve incontro anche con il primo ministro del Libano, Najib Miqati e con il presidente di Israele, Isaak Herzog, cui ha espresso la piena solidarietà del governo a seguito del nuovo grave attentato rivendicato da Hamas che ha portato ieri all'uccisione di tre cittadini israeliani a Gerusalemme e alla fine della pausa umanitaria a Gaza. Ai bilaterali si sono aggiunti brevi colloqui con diversi Capi di Stato e di governo: la premier si è intrattenuta con il primo ministro inglese, Rishi Sunak, con il presidente francese Emmanuel Macron, con quello somalo, Hassan Sheikh Mohmud, con l’Emiro del Qatar, Tamim Al Thani, con il presidente indonesiano, Joko Widodo, con il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e con il primo ministro della Lettonia, Kaja Kallas.Ieri a Dubai Meloni ha rivisto anche Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione Ue alla Cop 28 ha sottolineato la necessità di promuovere lo sviluppo del carbon pricing e dei mercati del carbonio, definendoli potenti strumenti per raggiungere gli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi del 2015. La mossa si basa sull’invito all’azione per i mercati del carbonio che la Commissione europea, la Spagna e la Francia hanno lanciato lo scorso giugno. Von der Leyen ha poi dichiarato che «la fissazione del prezzo del carbonio è il fulcro del Green deal. Nell’Ue, se si inquina, si deve pagare un prezzo per questo. Se qualcuno vuole evitare di pagare quel prezzo, deve innovare e investire in tecnologie pulite». Intanto le tensioni in Medio Oriente hanno avuto un impatto anche sui colloqui del vertice. I rappresentanti iraniani hanno abbandonato i negoziati alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima per protestare contro la presenza di una delegazione israeliana. Lo ha annunciato il ministro dell'Energia di Teheran, Ali Akbar Mehrabian, capo della delegazione iraniana alla Cop 28 di Dubai. Gli iraniani considerano la presenza di Israele alla Cop 28 «contraria agli obiettivi e alle linee guida della conferenza e, in segno di protesta, stanno lasciando la sede della conferenza», ha fatto sapere Teheran. In mattinata il presidente iraniano Ebrahim Raissi aveva annunciato che non avrebbe partecipato ai lavori per la presenza «dei responsabili del regime sionista».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/a-dubai-meloni-lancia-la-conferenza-africana-2666418865.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-strategia-del-segretario-dellonu-suicidiamoci-per-salvare-il-clima" data-post-id="2666418865" data-published-at="1701483195" data-use-pagination="False"> La strategia del segretario dell’Onu. Suicidiamoci per salvare il clima Sua eccellenza António Manuel de Oliveira Guterres ha una ricetta per salvare il Pianeta. «Ridurre drasticamente le emissioni», eliminare «ogni tipo di combustibile fossile» triplicando le energie rinnovabili e raddoppiando l’efficienza energetica così da portare «energia pulita a tutti entro il 2030». Ovvero nei prossimi sei anni. Il segretario generale delle Nazioni Unite sta indicando la strada di un suicidio collettivo, così da far sopravvivere solo Madre Natura. Il suo messaggio all’apertura del World climate action summit aveva i toni catastrofici d’obbligo, per un vertice mondiale sul clima che sembrerebbe la questione più urgente in un mondo dilaniato da guerre e terrorismo religioso. Sta per scoccare «la mezzanotte per il limite di 1,5 gradi», tuonava ieri. Ma nella rivoluzione green c’è ancora la speranza che l’incantesimo non finisca, rivelando l’assurdità degli obiettivi che ci vengono imposti per accelerare la transizione energetica. «Non è troppo tardi», ha detto Guterres ai capi di Stato accorsi a Dubai, per continuare la narrazione catastrofica. «Potete prevenire lo schianto planetario e l’incendio. Abbiamo le tecnologie per evitare il peggio del caos climatico, se agiamo ora», ha sostenuto, «I Paesi sviluppati devono mostrare come raddoppieranno i finanziamenti per l’adattamento portandoli a 40 miliardi di dollari all’anno entro il 2025, in attuazione dell’Accordo di Parigi, e chiarire come riusciranno a raggiungere i 100 miliardi di dollari», sempre negli obiettivi concordati. Nella scia di devastazione e disperazione, dei record climatici che sarebbero stati infranti quest’anno secondo il rapporto dell’Organizzazione metereologica mondiale, il politico portoghese ha affermato che «quest’anno le comunità di tutto il mondo sono state colpite da incendi, inondazioni e temperature torride e l’impatto è devastante». Il caos climatico starebbe «alimentando le fiamme dell’ingiustizia. Il riscaldamento globale sta mandando in tilt i bilanci, facendo lievitare i prezzi dei prodotti alimentari, sconvolgendo i mercati energetici e alimentando una crisi del costo della vita». Inarrestabile, così ha proseguito: «Il riscaldamento globale record dovrebbe far venire i brividi lungo la schiena dei leader mondiali. E dovrebbe spingerli ad agire», verso le energie rinnovabili. Con un messaggio affidato a X, è tornato a insistere sull’urgenza di arrivare a zero emissioni di CO2 per non superare il punto di non ritorno. «Non ridurre. Non diminuire. Eliminazione graduale», dei combustibili fossili. Tra i commenti sui social, gli è stato suggerito di adoperarsi per «l’eliminazione graduale dell’odio antisemita inculcato dall’Unrwa», l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente. Guterres, infatti, continua a sostenere le ragioni dello Stato palestinese. L’ha fatto all’indomani dello spaventoso attacco di Hamas contro Israele, il 7 ottobre scorso, quasi giustificando gli atti di terrore perché «il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione». Queste sono state le sue criticatissime parole. E l’ha continuato a ribadire in ogni occasione. Anche ieri, il pensiero del segretario generale delle Nazioni Unite non andava a Israele ma alla Striscia. «Mi rammarico profondamente che le operazioni militari siano riprese a Gaza. Spero ancora che sia possibile rinnovare la pausa stabilita. Il ritorno alle ostilità dimostra solo quanto sia importante avere un vero cessate il fuoco umanitario», ha scritto su X.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Getty Images
Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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