Su una pala caricatrice c’era uno striscione che non prometteva nulla di buono. C’era, infatti, scritto «Che l’inse?», la frase che il giovane Giovan Battista Perasso, detto il Balilla, avrebbe gridato prima di scagliare una pietra contro le truppe austriache, dando il via alla rivolta del 5 dicembre 1746. Per fortuna, alla fine della giornata di ieri, la preoccupazione del Viminale dopo le parole incendiarie dell’ex segretario della Fiom Cgil Franco Grondona, sono rientrate. Lo sciopero generale dei metalmeccanici genovesi di Ansaldo Energia, Piaggio Aerospace, Fincantieri, ma soprattutto dei lavoratori dell’ex Ilva, ha registrato solo pochi minuti di tensione davanti alla Prefettura genovese verso le 11:30. I manifestanti, con l’aiuto di uno dei quattro mezzi da lavoro al seguito, hanno divelto la grata che delimitava la piccola zona rossa davanti al palazzo del governo. La Polizia ha risposto con un lancio di lacrimogeni che ha immediatamente disperso gli assalitori. In pochi minuti la centralissima piazza Corvetto ha improvvisamente rievocato ai genovesi le scene del G8 con i manifestanti che vagavano confusi stropicciandosi gli occhi offesi dai gas.
Al culmine della mischia Armando Palombo, segretario della Fiom genovese e portavoce dei manifestanti grida: «Arrestateci tutti!».
Ma il panico dura poco. Gli operai, guidati dai rappresentanti della Fiom con le loro felpe nere e il servizio d’ordine perfettamente rodato, si ricompattano subito e riprendono i cori. A corredo solo qualche lancio di uova, fumogeni o bottigliette di plastica e qualche asse di legno appoggiata sui mezzi della Polizia. Davvero poca cosa. Grondona mercoledì aveva invitato i suoi vecchi colleghi a cercare lo scontro con la Polizia per poi poter fare le vittime sui media («Il Governo dovrà spiegare perché picchiano gli operai che lottano per difendere la fabbrica»). Per rispettare il copione, dopo il lancio di lacrimogeni, un lavoratore viene scortato dagli uomini della Fiom a mostrare ai giornalisti e alle telecamere il bernoccolo causato verosimilmente dal tappo di un lacrimogeno.
«È colpa loro, perché sono servi dello Stato» urla l’uomo colpito. «Bastardi» grida un compagno. «Il gas lacrimogeno è stato mirato in testa!». «A un operaio!».
Poi riparte il coro: «Lavoro! Lavoro! Lavoro!».
Esattamente sulla linea rossa che separa manifestanti e poliziotti c’è la porta a vetri di uno dei più eleganti bar cittadini («No bancomat, no carte di credito» si legge sui tavolini a ricordare che ci troviamo a Genova). All’ingresso sono ammassati cronisti e operai. Da una parte della vetrina la tensione, dall’altro eleganti signore che sorseggiano il caffè con vista sul fronte. Quasi un film. Due e tre operai dell’ex Ilva sulla soglia commentano le giornate di lotta: «Io è dal 2000 che sciopero, mi sono anche un po’ rotto», dice uno piuttosto ironico. «Ieri quando abbiamo bloccato l’autostrada i cittadini ci urlavano di tutto. Che palle marciare per tutti quei chilometri, a un certo punto speravo ci facessero tornare indietro».
Un collega ha un’idea: «Altro che prefettura, dovevamo fermare una partita di calcio. Avremmo fatto parlare di più». Il vicino è esausto: «In quattro giorni di sciopero avrò dormito tre ore».
Palombo fa un altro conto, più importante a queste latitudini: «Noi in quattro giorni abbiamo perso 480 euro di stipendio». Poi si rivolge ai giovani che hanno deciso di supportare la lotta dei lavoratori: «Agli studenti che, giustamente, ci hanno supportato, dico: questa è la vita in fabbrica». Quasi un monito a non lasciare i libri.
Quindi assicura che i 1.200 lavoratori dell’ex Ilva «presidieranno la fabbrica sino alla fine».
La sindaca Silvia Salis quando c’è da marciare a favore di selfie è sempre in prima fila, ma ieri, tra i quattromila del corteo, non ha scaldato i cuori di operai troppo scafati per farsi fregare dall’ambiziosa prima cittadina. Quando, dopo gli scontri con la polizia, è sgattaiolata da dietro una grata per parlare con gli organizzatori del corteo c’è chi le ha gridato «Sei come Toti (Giovanni, l’ex governatore ligure arrestato nel 2024, ndr)». E chi ha chiesto a voce alta «Qualcuno ha una fionda per colpirla?».
Poco dopo mezzogiorno Palombo grida alle sue truppe: «Ci spostiamo sui binari della stazione Brignole. La storia continua». Il corteo si snoda per un altro chilometro e prima di occupare la stazione gli operai si schierano in una scenografica formazione a favore di telecamera intonando slogan carichi di orgoglio di classe («Noi siamo Ilva Genova»), molti dei quali rubati alle gradinate delle due squadre cittadine. Numerosi anche i cori denigratori dedicati al ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso. Nell’atrio della stazione parte anche un coro contro Giorgia Meloni. Poco dopo ne arriva un secondo, volgare e sessista, che se un corteo di destra lo avesse dedicato a Elly Schlein, apriti cielo.
I treni iniziano ad accumulare ritardo, mentre gli uomini della Fiom gridano orgogliosi: «Senza lavoro c’è l’agitazione».
Intorno ripartono gli insulti. Palombo scalda la folla: «Mi sentite? Mi sentite?». «Siiiiiiì». «Meloni m…».
Ma ricorda anche che questo governo «è responsabile come gli altri» che lo hanno preceduto dell’attuale situazione.
A risolvere l’impasse ci pensa il governatore della Liguria Marco Bucci, uomo concreto e per qualcuno ruvido, che con quegli operai dalle facce stropicciate dal sonno e dalla tensione si è subito trovato.
Si è scapicollato lì dal cantiere del Terzo valico ferroviario per far sapere che è al loro fianco. E si è subito capito che è ritenuto credibile anche dagli operai dell’ex Ilva. Molto più della sindaca dall’outfit sempre perfetto.
Nei giorni scorsi Bucci si era recato al presidio dei lavoratori e aveva dichiarato al termine della lunga telefonata con il commissario di Acciaierie per l'Italia: «Mi hanno confermato che la cifra per la fornitura (dell’acciaio destinato alla zincatura, ndr) oscilla intorno ai 15 milioni: i fondi ci sono ma esiste un problema con la legge europea che non consente aiuti di Stato alle aziende in commissariamento».
Bucci, quando arriva a Brignole, si fa largo tra i manifestanti radunati sulla banchina tra i binari 2 e 3, e raggiunge Palombo. Uno gli grida: «Potevi restare al Terzo Valico», subito fulminato dallo sguardo del portavoce. «Pur senza successo, ha fatto da tramite con il governo, prendendo anche lui il 2 di picche, hanno contato delle musse (bugie, in genovese, ndr) anche a lui» lo difende il sindacalista. «Apprezziamo il presidente della Regione che è venuto qua, gli riconosciamo questo gesto».
La parola passa a Bucci e le sue sono dichiarazioni che vanno al cuore della questione: «Martedì sera vi ho riferito i risultati dell’incontro purtroppo non positivo che abbiamo avuto con il signore di Roma. Ho detto che noi continuiamo a lavorare per avere l’acciaio qui, la produzione dell’acciaio in Italia. Quello che si fa per Cornigliano, lo si fa per tutto il Paese. Continueremo a lottare perché l’acciaio sia prodotto in Italia e l’acciaio speciale, cioè la latta e lo zincato, siano prodotti a Genova». Poi annuncia che questa mattina alle 5 prenderà la macchina per recarsi a Roma per riprendere la trattativa: «Non posso dirvi che tornerò vincitore, ma posso dirvi che tutti i giorni noi lavoriamo per questo obiettivo». Quindi indica una possibile via d’uscita: «Noi ovviamente lavoriamo con Taranto per far sì che tutto il materiale dalla Puglia arrivi qui, ma dobbiamo iniziare a lavorare anche con altri produttori di coils per avere qui altre produzione di acciaio che possano essere trasformate in latta e zincato». Infine, invita tutti a mantenere la calma: «Venire qui è la dimostrazione che vi siamo vicini, per questo cerchiamo di evitare ulteriori situazioni difficili che poi vanno limitate (la sindaca Salis aveva suggerito di “non fornire alibi”). Se tutti quanti ci aiutiamo l’un con l’altro sono convinto che raggiungeremo l’obiettivo».
Dopo pochi minuti gli scioperanti hanno liberato le banchine, tra una battuta e un morso a un pezzo di focaccia. Poi hanno ripreso la strada per il presidio di Cornigliano.







