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2021-08-02
Oltre 4 milioni di italiani praticano sport d'acqua
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In Italia il 21,1% degli sportivi, ovvero 4 milioni e 265.000, pratica uno sport d'acqua. E per sport d'acqua non si intende soltanto il nuoto. Quando si associano le parole «acqua» e «sport», immediatamente e automaticamente si pensa infatti al nuoto, declinato in tutti i suoi stili e le sue forme, che sia in piscina o in mare aperto. Ma è proprio in mare, o nei laghi e nei fiumi, che gli sport acquatici trovano tantissime altre discipline, spesso poco conosciute e poco praticate, ma che, una volta scoperte, appassionano tantissimi sportivi e amanti dell'acqua. L'elenco è lungo: dal canottaggio alla canoa e al kayak, passando per il surf, la vela e i tuffi, il rafting, lo sci d'acqua, lo snorkeling: ce n'è davvero per tutti i gusti.
Facendo un tuffo nel passato si scopre come già nell'antichità l'uomo praticasse il nuoto: in Egitto, per esempio, nella cosiddetta Valle delle pitture, sono stati scoperti disegni che ritraggono immagini di nuotatori e tuffatori, tanto che la zona è stata ribattezzata Grotta dei nuotatori, visibile tra le altre cose nel film del 1996 diretto da Anthony Minghella, Il paziente inglese. Nell'880 a.C., a Ninive, città irachena situata sulla riva sinistra del Tigri nel Nord della Mesopotamia, fu ritrovato un bassorilievo raffigurante tre guerrieri che nuotano lungo un corso d'acqua. E rimanendo in Italia, a Paestum, è possibile ammirare la Tomba del tuffatore, risalente al 480 a.C.
Tra le discipline più seguite e apprezzate ci sono quelle che riguardano la canoa. E qui occorre subito fare una distinzione tra canoa, canottaggio e kayak. La canoa, le cui radici affondano proprio nel nostro Paese, quando nel 1892 venne fondata a Torino la prima Federazione Internazionale di canoa, ha un solo remo e il sedile fisso e il vogatore sta in ginocchio. Il canottaggio, invece, ha remi separati e sedili mobili. Per quanto riguarda il kayak, si ha a che fare con un'imbarcazione dove il canoista è seduto e rema con una pagaia con due pale. Esistono poi altre varianti, meno conosciute, ma comunque interessanti. Uno è la canoa polo, ovvero una gara dove due squadre, composte da cinque canoisti ciascuno a bordo di una canoa lunga tra i due e i tre metri, si affrontano in una partita di due tempi da 10 minuti con lo scopo di segnare il maggior numero di gol, avvicinandosi concettualmente alla pallanuoto. Un altro è il dragonboat, sport nato in Cina dove su una canoa lunga 12 metri e larga un metro e mezzo salgono a bordo 20 canoisti per un peso di 250 chilogrammi.
Passando alla vela, rispetto agli altri sport d'acqua, è un po' meno accessibile dal punto di vista economico. È necessario inoltre conoscere bene alcune nozioni base per imparare a gestire tutti gli aspetti che riguardano la navigazione e poter cimentarsi in regate, sia amatoriali che professionali. Capitolo surf. Il surf è una delle grandi novità alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Cavalcare le onde in piedi su una tavola, planando lungo la parete dell'onda e riuscire a rimanere in piedi sulla tavola è l'obiettivo di questa disciplina. Da nopn confondere con il windsurf e il kitesurf. Il primo è una specialità della vela, dove bisogna muoversi sull'acqua su una tavola grazie all'azione propulsiva del vento sulla vela montata su un albero fissato alla tavola. Il secondo, invece, è anch'esso una specialità della vela ma anche una variante del surf e consiste nel farsi trainare da un aquilone spinto dalla propulsione del vento e manovrato impugnando una barra collegata al kite, l'aquilone appunto, da cavi lunghi tra i 22 e i 27 metri. E poi c'è lo stand up paddle. Si tratta di un'altra variante del surf dove l'obiettivo è rimanere in piedi sulla tavola, più grande rispetto a quella del surf vero e proprio, aiutandosi con una pagaia.
Lo sci nautico è stato ideato nel 1928 dall'americano Ralph Samuelson, che nel tentativo di fondere due sue passioni, lo sci e il surf, si inventò un traino da agganciare a un motoscafo attraverso una corda con impugnature di ferro ricoperte di gomma, alle quali uno sciatore può agganciarsi, scivolando sulla superficie dell'acqua sugli sci. Una variante dello sci d'acqua è il wakeboard, una disciplina che mischia lo sci nautico e lo snowboard.
Sport acquatici e turismo: ecco dove praticarli

Praia d'Arrifana Beach, Algarve, Portogallo (iStock)
Abbinare le vacanze all'attività fisica, allo sport e alle proprie passioni è diventato sempre più frequente. E a proposito di sport acquatici e turismo, sempre più persone programmano le ferie in base ai posti dove potersi divertire sull'acqua.
Partendo dal surf, se si vuole pensare in grande, occorre spostarsi dall'Italia e mettere in preventivo una spesa importante. È risaputo infatti che le spiagge migliori per cavalcare le onde sulla tavola si trovano negli Stati Uniti o nelle isole del Pacifico. Nella classifica dei posti ideali dove poter fare surf troviamo posti come la Gold Coas in Australia, Sumatra in Indonesia, Siargao Island nelle Filippine, ma anche Mavericks in California, Maui alle Hawaii, e poi ancora Jeffreys Bay in Sudafrica e Tamarindo in Costa Rica. Ma se non si ha intenzione di fare voli intercontinentali, in Europa c'è il Portogallo che offre numerosi posti dove divertirsi tra le onde. In particolare a Peniche, ma in generale tutta la regione dell'Algarve è indicata per praticare surf.
Anche in Italia, però, se si cerca bene è possibile praticare del buon surf. Partendo dalla Liguria, le tre località ideali per cavalcare la tavola sono Recco, Varazze e Levanto. Sull'Adriatico la meta preferita dai surfisti è Portonovo sulla Riviera del Conero, mentre sul Tirreno si trovano Forte dei Marmi, Ostia Lido e Santa Marinella, definita la perla del Tirreno. In Sardegna c'è Rena Majore e La Marinedda, mentre in Sicilia il luogo di punta è l'Isola delle Femmine.
Ma tra le passioni dei turisti c'è anche e soprattutto lo snorkeling. In Italia abbiamo tantissime località balneari dove osservare da vicino il fondale marino e la fauna che lo popola nuotando in superficie con boccaglio e pinne. Da Nord a Sud, partendo dalla Riserva marina protetta di Miramare nei pressi di Trieste in Friuli Venezia Giulia, passando per la Toscana nel Parco nazionale dell'arcipelago Toscano, fino in Puglia nella Riserva naturale di Torre Guaceto.
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La grande eco delle Olimpiadi pone l'interesse su alcune discipline da praticare in piscina, al mare o al lago. Non solo nuoto: dal canottaggio alla canoa e al kayak, passando per il surf, la vela e i tuffi. Senza scordare i non olimpici: rafting, sci nautico e snorkeling: ce n'è davvero per tutti i gusti.Sempre più persone programmano le vacanze in base ai posti dove potersi divertire sull'acqua.Lo speciale contiene due articoli.In Italia il 21,1% degli sportivi, ovvero 4 milioni e 265.000, pratica uno sport d'acqua. E per sport d'acqua non si intende soltanto il nuoto. Quando si associano le parole «acqua» e «sport», immediatamente e automaticamente si pensa infatti al nuoto, declinato in tutti i suoi stili e le sue forme, che sia in piscina o in mare aperto. Ma è proprio in mare, o nei laghi e nei fiumi, che gli sport acquatici trovano tantissime altre discipline, spesso poco conosciute e poco praticate, ma che, una volta scoperte, appassionano tantissimi sportivi e amanti dell'acqua. L'elenco è lungo: dal canottaggio alla canoa e al kayak, passando per il surf, la vela e i tuffi, il rafting, lo sci d'acqua, lo snorkeling: ce n'è davvero per tutti i gusti.Facendo un tuffo nel passato si scopre come già nell'antichità l'uomo praticasse il nuoto: in Egitto, per esempio, nella cosiddetta Valle delle pitture, sono stati scoperti disegni che ritraggono immagini di nuotatori e tuffatori, tanto che la zona è stata ribattezzata Grotta dei nuotatori, visibile tra le altre cose nel film del 1996 diretto da Anthony Minghella, Il paziente inglese. Nell'880 a.C., a Ninive, città irachena situata sulla riva sinistra del Tigri nel Nord della Mesopotamia, fu ritrovato un bassorilievo raffigurante tre guerrieri che nuotano lungo un corso d'acqua. E rimanendo in Italia, a Paestum, è possibile ammirare la Tomba del tuffatore, risalente al 480 a.C.Tra le discipline più seguite e apprezzate ci sono quelle che riguardano la canoa. E qui occorre subito fare una distinzione tra canoa, canottaggio e kayak. La canoa, le cui radici affondano proprio nel nostro Paese, quando nel 1892 venne fondata a Torino la prima Federazione Internazionale di canoa, ha un solo remo e il sedile fisso e il vogatore sta in ginocchio. Il canottaggio, invece, ha remi separati e sedili mobili. Per quanto riguarda il kayak, si ha a che fare con un'imbarcazione dove il canoista è seduto e rema con una pagaia con due pale. Esistono poi altre varianti, meno conosciute, ma comunque interessanti. Uno è la canoa polo, ovvero una gara dove due squadre, composte da cinque canoisti ciascuno a bordo di una canoa lunga tra i due e i tre metri, si affrontano in una partita di due tempi da 10 minuti con lo scopo di segnare il maggior numero di gol, avvicinandosi concettualmente alla pallanuoto. Un altro è il dragonboat, sport nato in Cina dove su una canoa lunga 12 metri e larga un metro e mezzo salgono a bordo 20 canoisti per un peso di 250 chilogrammi.Passando alla vela, rispetto agli altri sport d'acqua, è un po' meno accessibile dal punto di vista economico. È necessario inoltre conoscere bene alcune nozioni base per imparare a gestire tutti gli aspetti che riguardano la navigazione e poter cimentarsi in regate, sia amatoriali che professionali. Capitolo surf. Il surf è una delle grandi novità alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Cavalcare le onde in piedi su una tavola, planando lungo la parete dell'onda e riuscire a rimanere in piedi sulla tavola è l'obiettivo di questa disciplina. Da nopn confondere con il windsurf e il kitesurf. Il primo è una specialità della vela, dove bisogna muoversi sull'acqua su una tavola grazie all'azione propulsiva del vento sulla vela montata su un albero fissato alla tavola. Il secondo, invece, è anch'esso una specialità della vela ma anche una variante del surf e consiste nel farsi trainare da un aquilone spinto dalla propulsione del vento e manovrato impugnando una barra collegata al kite, l'aquilone appunto, da cavi lunghi tra i 22 e i 27 metri. E poi c'è lo stand up paddle. Si tratta di un'altra variante del surf dove l'obiettivo è rimanere in piedi sulla tavola, più grande rispetto a quella del surf vero e proprio, aiutandosi con una pagaia.Lo sci nautico è stato ideato nel 1928 dall'americano Ralph Samuelson, che nel tentativo di fondere due sue passioni, lo sci e il surf, si inventò un traino da agganciare a un motoscafo attraverso una corda con impugnature di ferro ricoperte di gomma, alle quali uno sciatore può agganciarsi, scivolando sulla superficie dell'acqua sugli sci. Una variante dello sci d'acqua è il wakeboard, una disciplina che mischia lo sci nautico e lo snowboard.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/4-milioni-italiani-sport-acqua-2654370362.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="sport-acquatici-e-turismo-ecco-dove-praticarli" data-post-id="2654370362" data-published-at="1627921319" data-use-pagination="False"> Sport acquatici e turismo: ecco dove praticarli Praia d'Arrifana Beach, Algarve, Portogallo (iStock) Abbinare le vacanze all'attività fisica, allo sport e alle proprie passioni è diventato sempre più frequente. E a proposito di sport acquatici e turismo, sempre più persone programmano le ferie in base ai posti dove potersi divertire sull'acqua.Partendo dal surf, se si vuole pensare in grande, occorre spostarsi dall'Italia e mettere in preventivo una spesa importante. È risaputo infatti che le spiagge migliori per cavalcare le onde sulla tavola si trovano negli Stati Uniti o nelle isole del Pacifico. Nella classifica dei posti ideali dove poter fare surf troviamo posti come la Gold Coas in Australia, Sumatra in Indonesia, Siargao Island nelle Filippine, ma anche Mavericks in California, Maui alle Hawaii, e poi ancora Jeffreys Bay in Sudafrica e Tamarindo in Costa Rica. Ma se non si ha intenzione di fare voli intercontinentali, in Europa c'è il Portogallo che offre numerosi posti dove divertirsi tra le onde. In particolare a Peniche, ma in generale tutta la regione dell'Algarve è indicata per praticare surf.Anche in Italia, però, se si cerca bene è possibile praticare del buon surf. Partendo dalla Liguria, le tre località ideali per cavalcare la tavola sono Recco, Varazze e Levanto. Sull'Adriatico la meta preferita dai surfisti è Portonovo sulla Riviera del Conero, mentre sul Tirreno si trovano Forte dei Marmi, Ostia Lido e Santa Marinella, definita la perla del Tirreno. In Sardegna c'è Rena Majore e La Marinedda, mentre in Sicilia il luogo di punta è l'Isola delle Femmine.Ma tra le passioni dei turisti c'è anche e soprattutto lo snorkeling. In Italia abbiamo tantissime località balneari dove osservare da vicino il fondale marino e la fauna che lo popola nuotando in superficie con boccaglio e pinne. Da Nord a Sud, partendo dalla Riserva marina protetta di Miramare nei pressi di Trieste in Friuli Venezia Giulia, passando per la Toscana nel Parco nazionale dell'arcipelago Toscano, fino in Puglia nella Riserva naturale di Torre Guaceto.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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